In Italia sulla vicenda delle banche si sostiene tutto e il contrario di tutto. In parte perché l'argomento è molto tecnico e quindi davvero difficile da raccontare, in parte perché si intrecciano dietro la vicenda molti interessi che quasi sempre si nascondono dietro le retoriche.

Negli ultimi giorni la combinazione che va per la maggiore è quella che sostiene che a) i correntisti possono stare tranquilli (vero), b) il risparmio sarà quindi tutelato - dipende se si intende quello dei correntisti che è vero fino a cento mila euro, oppure quello degli obbligazionisti subordinati, che hanno dei titoli relativamente rischiosi, oppure quello degli azionisti, che investono in titoli rischiosi per definizione), c) il sistema bancario italiano è solido, mentre è meno solido quello degli altri paesi che hanno le banche piene di titoli tossici. I quali ultimi sono per una parte cospicua difficili da quantificare (vero), mentre i cattivi crediti italiani sono quantificabili (dipende).

Per arrivare al dibattito sull'attualità è necessario partire da una disquisizione tecnica. I ricavi di una banca sono: a) la differenza fra i tassi attivi – quelli praticati alla clientela - e passivi – quelli legati al costo della raccolta, che danno luogo al “margine di interesse”, e b) le commissioni di gestione, che traggono origine dal risparmio gestito, che portano al “margine di intermediazione”. I ricavi a), e b) debbono pagare i costi di funzionamento, nonché coprire le perdite che emergono dai crediti di difficile riscossione (i cosiddetti “cattivi” crediti). I quali ultimi sono valutati in condizioni normali a meno della metà del loro valore facciale, ossia alla fine li si riscuote, ma perdendo circa la metà dell'investimento. Se la banca però genera un buon reddito e se i cattivi crediti non sono numerosi, non si hanno problemi sul fronte della registrazione delle perdite di questi ultimi.

Bene, oggi abbiamo una politica monetaria ultra espansiva. Il costo della raccolta è compresso, ma anche i ricavi, perché i tassi attivi si formano – con l'aggiunta dei costi di funzionamento e di un premio per far fronte agli eventuali nuovi cattivi crediti - a partire dal rendimento dei titoli di stato, che sono oggi bassissimi. Una cosa è, infatti, raccogliere al due per cento con i BTP che rendono il quattro per cento, ed un'altra è raccogliere anche a zero con i BTP che rendono l'uno per cento.

Le banche guadagnano meno, intanto che la crisi ormai in corso da molti anni alimenta i cattivi crediti, perché un numero sempre maggiore di imprese è in difficoltà. Quattro anni fa scattò il “what ever it takes” della Banca Centrale Europea. Le banche hanno così potuto vendere i titoli di stato in loro possesso per ottenere dalla Banca Centrale la liquidità necessaria per erogare un volume maggiore di crediti. Questi crediti sono però in parte finiti per alimentare le aziende meno efficienti. Una trappola scattata a suo tempo in Giappone – la trappole delle banche dette “zombie”. Le banche alimentano le imprese meno efficienti al fine di farle sopravvivere e fanno così con lo scopo di non registrare i crediti erogati come inesigibili. Il sistema regge, ma il credito è incanalato dove non è investito in modo efficiente (1). Il sistema tiene, ma è meno efficiente, e poi continua ad accumulare cattivi crediti.

I cattivi crediti si possono sempre riscuotere, ma non più alla metà del loro valore facciale, bensì, a causa della crisi, a un quarto (si parla sempre di medie). Le perdite di una banca perciò aumentano, se si riscuotono i cattivi crediti. La banca deve come conseguenza aumentare il capitale di rischio per far fronte all'emergenza dei cattivi crediti che valgono ora la metà di prima. I vecchi soci possono sottoscrivere questo aumento del capitale, esponendosi sempre di più verso la banca, oppure non sottoscrivere e dunque perderne il controllo o vederlo limitato, come accaduto ad alcune Fondazioni. Certo che dei nuovi soci possono sottoscrivere un ulteriore aumento del capitale, ma questo lo fanno a condizione di non rischiare troppo, e quindi sottoscriveranno le nuove azioni solo se queste avranno un prezzo basso, tale da scontare anche lo scenario peggiore.

Questo schema è applicabile in misura diversa a tutte le banche che sono in difficoltà – cattivi crediti, soci in fuga, eccetera. Da qui l'invenzione del fondo Atlante – alimentato dalle banche più robuste - che per ora ha sottoscritto gli aumenti del capitale di alcune banche deboli, e che dovrebbe comprare i cattivi crediti più contundenti presenti nel sistema. Che è come dire che senza un intervento esterno di un qualche organismo – per ora molto limitato - il sistema non regge.

Immaginiamo una banca che abbia un attivo di 100 e cattivi crediti (lordi) per 16. Se questi ultimi si recuperano per la metà, le perdite sono pari a 8, se, invece, si recuperano per un quarto le perdite sono pari a 12. Il capitale di rischio è perciò sotto stress nel secondo caso. Se esso poi non fosse sufficiente, oltre agli azionisti che perdono il loro investimento, ecco che dovrebbero concorrere alle perdite anche i detentori di obbligazioni subordinate. I dirigenti della banche sono sensibili alle perdite degli azionisti, i politici sono sensibili alle perdite degli obbligazionisti subordinati (2). Ma anche gli obbligazionisti subordinati possono impensierire i dirigenti delle banche, perché si potrebbe formare una “fuga” in massa dalla banca vissuta come “fedifraga”. Per questa ragione le banche non vogliono vendere i cattivi crediti a chi li valuta ad un quarto (come i fondi detti “avvoltoio”), mentre li vorrebbero vendere a chi li valuta la metà (una “bad bank” che salvi i bilanci delle banche anche sapendo i i cattivi crediti valgono meno). Abbiamo affermato che i cattivi crediti (le “sofferenze”) sono pari a 16, ma nella realtà italiana una parte (quasi la metà) è stata ammortizzata, quindi il numero da cui partire è 8, che è molto meno grave. Attenzione però, alcune banche possono avere dei numeri ben peggiori di questo 8.

Se il sistema fosse messo in condizione di reggere per qualche tempo, ecco che - con l'arrivo della ripresa - le cose si aggiusterebbero. La ripresa, infatti, porta in alto i tassi attivi – ossia termina la politica ultra-lasca della banca centrale - e quindi le banche tornano a guadagnare, e, sempre con la ripresa, migliora l'andamento delle imprese che sono all'origine dei cattivi crediti, che si riducono. La vicenda delle banche italiane è tutta racchiusa in questo passaggio: come tenere in piedi le banche che guadagnano poco e sono sommerse dai cattivi crediti intanto che si aspetta l'arrivo della ripresa. Con molti nuovi fondi Atlante, insieme con l'arrivo di garanzie pubbliche. Un altro percorso non si intravvede.

(1) http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2740338

(2) http://www.centroeinaudi.it/le-voci-del-centro/send/2-le-voci-del-centro/832-piazzate-anti-banche.html