Nell'acceso dibattito intorno al “salvataggio” delle banche italiane sono emersi due punti di vista nuovi: a) quello che immagina un intervento della banca centrale in acquisto dei crediti deteriorati, e b) quello che si immagina un intervento delle Casse previdenziali nel fondo Atlante, che compra i crediti deteriorati. Infine, come secondo argomento importante della settimana, torniamo a discutere del prezzo del petrolio, che da qualche tempo ha frenato la propria ascesa.
Un analista di Goldman Sachs (1) si immagina la banca centrale che interviene comprando i cattivi crediti. La cifra in gioco è pari a pochi mesi di acquisti di titoli di stato, quella che si ha da quando è in opera il Quantitative Easing. Precisamente, l'assorbimento dei cattivi crediti sarebbe pari a nove mesi di acquisti di titoli di stato. Tralasciando qui ogni obiezione di fattibilità – gli interventi pubblici di salvataggio sono proibiti nell'Euro-area. Che il salvataggio delle banche con la mano pubblica vada evitato perché è proibito emerge dall'idea che le Casse previdenziali (private) possano comprare una parte dei cattivi crediti attraverso il fondo Atlante che è l'ente (privato) preposto a dirigere il salvataggio delle banche (2).
Siamo così arrivati al nodo del prezzo dei cattivi crediti.
Premessa: in caso di ripresa si alzerebbe la forbice fra tassi attivi e passivi, perché la banca centrale cambierebbe la politica monetaria alzando i tassi, sicché le banche guadagnerebbero di più, con ciò potendo “spesare” velocemente i cattivi crediti, che comunque si ridurrebbero per effetto della ripresa. Ma così non è. E perciò il problema va risolto nel contesto di un'economia stagnante.
Se le banche (usiamo quest'espressione come se di banche ne avessimo una sola e pure mal messa, o, detto altrimenti, in caso di presenza di molte banche, è come se avessimo solo la media di banche mal messe senza varianza) fossero salvate dalla banca centrale, ecco che avremmo un trasferimento del costo del salvataggio sui contribuenti. Un bail-out (il sistema è salvato – bail-out: “tirar fuori” – con un intervento al fuori dal sistema bancario) in piena regola, quando, invece, si tenta con il bail-in (l'opposto, quindi il “tirar dentro”) di spingere verso il controllo privato (da parte degli azionisti e degli obbligazionisti subordinati) dei comportamenti poco prudenti delle banche. Il bail-in è difficile da attuare perchè tocca gli interessi della clientela “minuta” (3), che è numerosa e vota.
Chi stabilisce il prezzo dei cattivi crediti?
Tempo fa si pensava che fosse recuperabile il valore facciale dei cattivi crediti fino al 40%, ma dopo la crisi delle quattro banche minori delle scorso anno, il numero è passato al 20%. Se il prezzo lo stabilisce il mercato – alcuni direbbero i “fondi avvoltoio” - le banche – con i cattivi crediti valutati al 20% - si troverebbero a dover accantonare di più a fronte dei cattivi crediti rimasti, e/o a varare degli aumenti del capitale di rischio, con tutti i problemi di controllo che emergerebbero. Se, al contrario, il prezzo lo stabilisce il potere politico coadiuvato dalle prese di posizione dell'industria bancaria - e qui alcuni direbbero: “finalmente la soluzione nazionale” - ecco che una differenza positiva di prezzo rispetto a quello del mercato emergerebbe. I cattivi crediti verrebbero valutati al 30% del valore facciale (almeno).
Detto altrimenti, il mercato ha interesse a pagare meno che può i cattivi crediti, mentre le banche hanno l'interesse opposto (4). Un intervento pubblico anche indiretto (con garanzie sugli aumenti del capitale, come avvenuto con Atlante che ha capitalizzato le banche in crisi, e sugli acquisti di cattivi crediti) alzerebbe il prezzo di mercato, con ciò aiutando le banche, ma nel contempo rimandando la “resa dei conti” sulle responsabilità di gestione.
1 - https://next.ft.com/content/64a58aca-3701-3b11-8ac3-992c1650078f
4 - http://www.lavoce.info/archives/38744/come-far-crescere-il-mercato-dei-crediti-deteriorati-2/
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Il prezzo del petrolio è stato al centro dell'attenzione quando è caduto da 100 dollari al barile nel 2014 fino a 25 nel febbraio di quest'anno. Da allora è risalito fino a oltre 50 dollari, ma poi si è fermato, scendendo fino a 45 dollari. Come mai non riesce a risalire (3)? La caduta è stata il frutto della sovra produzione. La risalita è stata il frutto dell'attesa di un congelamento – ossia la produzione di petrolio che resta invariata nell'attesa che la domanda assorba l'offerta stabilizzando i prezzi - della produzione, decisione che doveva essere presa in aprile durante la riunione dei Paesi produttori – OPEC più la Russia - di Doha. A Doha non è stata presa alcuna decisione sul congelamento, perché gli Iraniani non si sono presentati ed i Sauditi hanno dichiarato che senza un accordo corale non si poteva parlare di congelamento. Il prezzo del barile a quel punto doveva cadere, proprio come avvenuto nelle prime ore di apertura del mercati, poi, invece, si è stabilizzato, ed, infine, è risalito.
Ed è risalito per una carenza temporanea di offerta, dovuta a scioperi, incendi e via dicendo (il grafico lo si trova qui: 4). Carenza di offerta che è andata poi ad esaurirsi (5).
5 - https://next.ft.com/content/3de9a0e7-9a5e-3c6b-afda-4ff702963a22
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