C’è il mega porto costruito per ospitare l’America’s cup del 2007 e costato 1,8 miliardi di euro; la Città della scienza, interamente progettata da Santiago Calatrava e che, espansione dopo espansione, ha accumulato fatture per 1,3 miliardi; l’aeroporto di Castellón, 500 milioni di investimenti ma nemmeno un volo dalla sua inaugurazione, datata 2011, perché le piste di atterraggio sono troppo corte. E poi ancora: lo stadio Nou Mestalla, che doveva diventare la cattedrale del calcio spagnolo, ma i cui lavori sono fermi da quattro anni; o il nuovo circuito cittadino, costruito per dare a Valencia un Gp di Formula 1 tutto suo: inaugurato nel 2008, ospiterà l’ultima corsa l’anno prossimo, perché incassa 10 milioni l’anno e ne spende 48.

Chi vuole toccare con mano la bolla immobiliare spagnola deve recarsi a Valencia, la città dove, negli anni in cui imperava il re mattone, ogni progetto faraonico è diventato realtà. Fino a che la bolla è esplosa, lasciando la Comunidad Valenciana e la sua capitale con le casse esangui e con lo stock di debito regionale più alto del Paese (29,3 per cento del Pil). La Regione ha già ottenuto un piano di salvataggio dal governo centrale ma la situazione non accenna a migliorare, anche perché un servizio al debito di 1,3 mld di euro annui e una spesa corrente di 9 mld solo per sanità ed educazione divorano gli 8,3 mld di trasferimenti che arrivano annualmente da Madrid. Ci vorrebbe un altro boom immobiliare, quello che prima della crisi portava nelle casse regionali 2,4 mld di euro l’anno. Il mattone si è però fermato e, nel 2012, gli introiti fiscali legati all’immobiliare sono crollati a 630 milioni. Il deficit sta tutto lì, in un’economia che non c’è più. Sono invece rimasti gli Elefantes blancos, come sono definite da queste parti le faraoniche opere pubbliche costruite per alimentare la speculazione. L’espressione fa riferimento alla consuetudine, in voga tra i regnanti thailandesi, di regalare ai sudditi troppo in vista un elefante albino, animale sacro per la religione indù. Mantenere uno di questi mammiferi era però assai dispendioso, e il prezioso omaggio finiva col mandare in rovina il malcapitato. Lo skyline di Valencia oggi appare così: un deserto di cemento su cui pascolano elefanti bianchi che nessuno può più mantenere.

Valencia è diventata la città simbolo del crollo che ha investito tutta la Spagna, quello delle costruzioni. Secondo i dati dell’Ine (Istituto nazionale di statistica), negli ultimi cinque anni il numero degli occupati nel settore è sceso da 2,7 milioni ad appena un milione. Se si considera anche l’indotto, lo scoppio della bolla ha lasciato senza lavoro 2,5 milioni di spagnoli. La crisi è iniziata dal settore privato e si è estesa, dal 2010, anche alle opere pubbliche, il cui budget per il settore delle costruzioni è sceso da 46 a 7,3 mld annui. Se si osserva il consumo di materiali edili, il crollo è ancora più evidente: secondo gli ultimi dati forniti da Seopan, l’associazione nazionale delle imprese costruttrici, il consumo di cemento è passato dai 55 milioni di tonnellate del periodo pre-crisi, ai 13,5 milioni del 2012. Il dazio pagato alla crescita ipertrofica del mattone nei quindici anni d’oro dell’economia iberica (1992 – 2007) ha lasciato un’eredità pesante, in cui un mercato già saturo si scontra con un’offerta massiccia ma che non trova sbocchi. Fino al 2011, i prezzi degli immobili a uso residenziale avevano tenuto, registrando una contrazione minore rispetto agli altri Piigs colpiti dalla crisi immobiliare, come l’Irlanda. Nel 2012 però l’indice dei prezzi delle abitazioni è crollato del 13,7 per cento, il dato peggiore di tutta la zona euro. Rispetto al 2007, anno di inizio della crisi, la contrazione è stata del 25 per cento. Ma, secondo il think tank economico Instituto Juan de Mariana, per riportare i prezzi in linea con le aspettative di mercato ci sarà bisogno di un’ulteriore caduta di almeno 15 punti percentuali.

La situazione è destinata a deteriorarsi ulteriormente nel 2013, anche perché a dicembre dello scorso anno sono terminati gli sgravi fiscali (Iva al 4 per cento e deducibilità Irpef) decisi dal governo nel 2011 per rilanciare il settore. Ancora peggiore il dato sulle ipoteche: l’anno scorso ne sono state concesse 274mila, l’80 per cento in meno che nel 2006.

In un articolo precedente, abbiamo esaminato la lunga serie di default delle casse di risparmio e delle piccole banche spagnole, un processo dovuto al deterioramento dei titoli legati alla cartolarizzazzione dei mutui. In una situazione ancor più difficile si trovano le aziende di promozione immobiliare. Martinsa-Fadesa, fino alla crisi la prima impresa del settore, è fallita nel 2008, lasciando dietro di sé un debito di 7 miliardi di euro, il più grande della storia finanziaria spagnola. Questo record è stato insidiato l’8 marzo scorso da Reyal Urbis, che è entrata in amministrazione controllata per un debito di 4,2 miliardi di euro. Da quando le banche in default hanno ceduto i propri titoli tossici a Sareb, la bad bank statale, le principali società immobiliari hanno svalutato i propri crediti del 50 per cento. Mentre le principali promotrici del Paese cadono una a una, l’esposizione problematica legata ai crediti del mattone acquista peso nei bilanci delle banche. Sareb possiede oggi il più grande portafoglio di crediti legati al mattone di tutta la Spagna, seguito a ruota dalle principali banche. Nell’ultimo esercizio il peso di questi titoli nei bilanci delle grandi banche spagnole (La Caixa, Santander, Bbva, Banco Popular e Banco Sabadell) è passato da 72 a 113mld. Anche in seguito alle richieste del governo, gli accantonamenti a copertura di questi crediti sono raddoppiati (da 24 a 51 miliardi). Uno sforzo che ha prosciugato i dividendi di molte banche. Solo Santander è però riuscita a racimolare capitali sufficienti a ridurre il peso dei crediti in sofferenza finiti nella pancia delle grandi banche in seguito agli accorpamenti. Anche il peso delle proprietà immobiliari nel portafoglio delle banche è cresciuto e oggi Sareb può disporre del principale parco di immobili del Paese. Tutti gli esperti guardano alla bad bank come al volano che dovrebbe guidare gli aggiustamenti di prezzo necessari a fare ripartire il mercato, ma per il momento le speranze sono rimaste disattese.

Secondo le stime del catasto spagnolo ci sono 3,4 milioni di case inutilizzate in Spagna, il 13,4 per cento del totale, la percentuale più alta tra i principali paesi europei. Di queste, oltre 800mila sono abitazioni di nuova costruzione che non si riescono a vendere. Un numero che invece di scendere aumenta, perché mentre vengono lentamente portate a termine molte costruzioni iniziate a ridosso della crisi, la domanda langue. Eppure il problema della casa in Spagna affetta un numero crescente di persone. Dall’inizio della crisi sono stati eseguiti 400mila provvedimenti di sfratto, 312 per ogni giorno lavorativo. Non ci sono dati certi su quanti di questi riguardassero le prime case, ma il problema ha assunto una dimensione tale da essere considerato una vera e propria emergenza sociale. A rilanciare il problema, lo scorso 15 marzo, è stata la Corte di giustizia europea, che ha bocciato la legislazione iberica sugli sfratti perché troppo sbilanciata in favore delle banche e contraria al diritto dell’Unione.

Il rilancio della Spagna passa da qui: dall’incontro tra una domanda latente e un’offerta che fatica a trovare sbocchi. Fino a che non si troveranno delle soluzioni per favorire la ripresa del settore immobiliare, la crisi finanziaria, economica e sociale che attanaglia il Paese è destinata a continuare.