Facebook ha festeggiato i suoi primi dieci anni di vita regalando ai suoi iscritti la possibilità di rivivere la loro vita sul social network (un’arma di distruzione di massa retroattiva) e lanciando una nuova app, che si chiama Paper, e ha tutta l’intenzione di cambiare il modo con cui la gente s’informa, che è come dire che Facebook vuole fare anche il mestiere dei media.

La creatura di Mark Zuckerberg non vuole darsi limiti, esce dal suo core business e ne invade di limitrofi, rigenerandosi ogni volta che gli esperti ne sentenziano la morte imminente. Ogni mese un miliardo e duecentrentamila iscritti di Facebook interagiscono tra di loro, di questi più di 900 mila usano i prodotti che Facebook ha inventato per gli smartphone (che è stata la grande innovazione vitale del social network): è un patrimonio di vite e dati immenso, che fa gola a tutti, dalle intelligence di tutto il mondo ai venditori ai pubblicitari.

I grafici del fatturato non lasciano dubbi (1), l’azienda cresce e si moltiplica. Anche il burrascoso ingresso in Borsa, nel 2012, che ha segnato uno dei momenti più bui dell’azienda (e soprattutto dei suoi advisor: sbagliarono completamente nel fissare il prezzo delle azioni), è stato superato senza tanti patemi: la memoria è in generale corta, e poi ora sono tutti concentrati a capire se il fratello minore di Facebook, Twitter, riuscirà prima a o poi a fare qualche soldo (2).

Facebook è riuscito a registrare, nel 2013, un aumento dei ricavi del 55 per cento (il giorno dell’annuncio, il prezzo dell’azione è schizzato a 62 dollari), grazie a una competizione aggressiva sulle persone – ha drenato gli ingegneri migliori da Google – e sulle aziende, come dimostra l’acquisto miliardario di Instagram, fatto con l’unico obiettivo di impedire agli altri competitor di accaparrarsi un business tanto affine al suo (social network di immagini).

Ha avuto, e ha, problemi con la privacy, che è uno dei temi più importanti – e più redditizi – che riguardano il futuro di Facebook, ma ha avuto la fortuna che si scoprisse che il più grande trafficante di informazioni del mondo è il governo americano, e così buona parte della pressione è per ora più sulle spalle di Obama che di Zuckerberg (non può durare, s’intende: il governo americano non fa soldi con le informazioni degli altri, Facebook sì).

Che cosa succederà nei prossimi dieci anni? I sociologi dicono che l’effetto social network andrà attutendosi, che i ragazzi che verranno non saranno come quelli di oggi, ma Zuckerberg fa la scommessa opposta: interagire è un bisogno, rendiamolo sempre più ricco. Forse i “Like” andranno diminuendo, ma le connessioni no: basta guardare all’ultimo arrivato di casa Facebook, Paper. E’ nelle intenzioni del suo ideatore “the best personalized newspaper in the world” (3), e vuole essere un mix di news lette e di personalizzazione, cioè un nuovo modo di interagire e navigare attraverso le notizie, come se si sfogliasse un giornale che giorno dopo giorno ti assomiglia sempre di più.

Per alcuni esperti, si tratta del primo passo di Facebook verso una nuova esperienza da editore, con la grazia innata dell’interattività. Si sa che quello dei media non è un business facile – anzi, è a perdere – ma se davvero questa è la strada di Zuckerberg, sarà interessante capire che formula troverà per far sfruttare anche il meno fruttifero dei settori.

(1) http://www.usatoday.com/story/tech/2014/02/03/facebook-juggernaut/4849409/

(2) http://www.ilpost.it/2014/02/06/twitter-trimestrale-dati-finanziari/

(3) http://www.latimes.com/business/la-fi-tech-savvy-facebook-paper-20140205,0,970472.story#axzz2sYMiaX6t