Quando è stato eletto premier d’Inghilterra, David Cameron era convinto che vendersi un po’ più europeista della media del suo partito conservatore non gli avrebbe causato problemi, anzi. I compagni di coalizione, i liberaldemocratici, sono eurofili (e allora ancora si pensava che fosse importante andare d’accordo con i propri partner) e il regno laburista più che decennale aveva fatto digerire la questione europea a buona parte degli stomaci naturalmente euroscettici degli inglesi.

Con tutti i guai che aveva, Cameron pensava che essere moderati con Bruxelles avrebbe pagato. Poi è iniziata la crisi dell’euro, l’Unione europea è esplosa, il nord s’è diviso dal sud, il sud s’è ribellato al nord, molti paesi hanno chiesto il bailout, altri non l’hanno fatto ma avrebbero dovuto, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha preso il controllo della situazione, tirandosi dietro il carrozzone francese, e l’Europa ha iniziato ad avviarsi più consapevolmente verso una coesione politica più efficace. E’ a quel punto che Cameron s’è trovato isolato, e con un bel guaio interno al partito, interno al paese e con il resto del mondo.

Gli americani, terrorizzati all’idea di perdere il loro cavallo anglosassone nel consesso europeo e allo stesso tempo convinti che una lite tra Regno Unito e resto del continente sarebbe disastroso per tutti, hanno alzato la voce: Cameron stai buono dentro all’Unione, negozia quel che vuoi ma non uscirne mai, ci servi lì dentro (1). Cameron ha risposto con il suo ottimismo poco convincente (2): negozieremo quel che c’è da negoziare per perseguire l’interesse inglese, e se per caso dovessimo finire dall’Ue, beh, non è così grave.

Non vuole un referendum subito, sostiene il premier, perché bisogna prima capire quanto Bruxelles è disposta a concedere a Londra pur di mantenere integra l’Unione europea (non si sa nemmeno come gestire la fuoriuscita di un membro, non è mai accaduto prima). Questo “ottimismo e fiducia” sono un assaggino di quel che Cameron dirà nel discorso sull’Europa, che è stato rimandato per mesi – non devono essere così ottimisti i collaboratori del premier, evidentemente – e poi è stato fissato, in modo affatto diplomatico, per il 22 gennaio, che però è una data cruciale per i franco-tedeschi, perché è il giorno della firma del Trattato dell’Eliseo, del 1963, che segnò l’inizio della grande collaborazione tra Parigi e Berlino.

La questione europea è una trappola per Cameron. Il magazine Spectator ha dedicato la copertina (3) all’argomento e un lungo articolo in cui si ricapitolano i passaggi chiave del tormento europeo, con la conclusione che Cameron, pur dicendosi contrario, ha accidentalmente già portato il suo paese a un passo dall’uscita. Wolfgang Munchau, editorialista del Financial Times, è convinto (4) addirittura che si tratti di una questione di lana caprina: il Regno Unito non è più al centro dell’Unione da tempo, i giochi li guidano i franco-tedeschi, le regole attuali non proteggerebbero nemmeno più di tanto Londra da un’eventuale implosione dell’euro e al limite, una volta che si è usciti, si potrà rientrare (che bisogna vederli, gli inglesi, una volta usciti che rientrano).

I costi di una fuoriuscita non sono però chiari: l’Economist aveva dedicato a dicembre una lunga inchiesta (5) alla questione, cercando di quantificare i costi economici e quelli politici. I numeri sono controversi: basta mettere a confronto quest’analisi dell’Independent (6) e si vedrà che a seconda del valore dato alla permanenza del Regno Unito in Europa variano tutti i risultati. Non si tratta di un calcolo economico, per quanto sia preponderante per un paese che considera l’Europa un mercato unico e nulla più, ma politico, e le conseguenze in questo senso non sono quantificabili.

Se non in termini di popolarità del premier, che ovviamente vorrebbe cavalcare l’onda euroscettica che ha colto anche i laburisti. Ma una visione di lungo periodo è tutt’un’altra cosa.

 

  1. http://www.bbc.co.uk/news/uk-politics-20961651

  2. http://www.guardian.co.uk/politics/2013/jan/14/david-cameron-britain-collapse-eu

  3. http://www.spectator.co.uk/features/8814511/the-accidental-exit/

  4. http://www.ft.com/intl/cms/s/0/659572a6-5b57-11e2-9d4c-00144feab49a.html#axzz2HwpCtktM

  5. http://www.economist.com/news/briefing/21567914-how-britain-could-fall-out-european-union-and-what-it-would-mean-making-break

  6. http://www.independent.co.uk/news/world/europe/what-if-britain-left-the-eu-7904469.html