Il calcolo. Parte prima
1) Si calcolano gli utili delle banche. 2) Si stimano le perdite potenziali, sui crediti e sui titoli «tossici». 3) Agli utili si sottraggono le perdite sui crediti e sui titoli «tossici» dei diversi anni. 4) La differenza è il fabbisogno di capitale di rischio.
Il calcolo pratico. Parte seconda
1) Gli utili sono la linea verde; dal 2008 al 2010, essi quasi si dimezzano, passando da 800 miliardi a 500, poi si riprendono fino a tornare a 800 miliardi nel 2014. 2) Le perdite sui crediti e sui titoli «tossici» sono l’istogramma blu; essi ammontano a 800 miliardi nel 2008, 2009, 2010, poi scendono. 3) Se si tolgono le perdite sui crediti e sui titoli «tossici», le banche sono in perdita fino al 2010, come mostra la line rossa, di cui riparleremo. 4) La differenza sono gli aumenti di capitale di rischio.
Il calcolo pratico. Dettagli. Parte terza
1) Gli utili si riprendono, ma non velocemente, dopo il 2010, perché le banche debbono ridurre la leva creditizia, quindi prestano di meno e guadagnano di meno. 2) Quando gli utili si riprendono e le perdite sui crediti e sui titoli «tossici» si riducono, e questo avviene dopo il 2010, le banche tornano a distribuire dividendi. 3) Di conseguenza, la differenza fra la linea verde e l’istogramma non è eguale alla linea rossa; alla differenza fra utili e registrazione delle perdite sono sottratti i dividendi. Per questa ragione la linea rossa è chiamata retained earnings.
Conclusioni
Chi sottoscrive gli aumenti di capitale? I privati possono temere che il rischio sia eccessivo, vuoi perché lo scenario generale non è chiarissimo, vuoi perché possono non fidarsi dei risultati dichiarati. Il settore pubblico può farlo, ma deve tener conto sia degli interessi dei contribuenti (se sottoscrive a prezzi alti, li sfavorisce), sia dell’andamento dei propri conti (i debiti pubblici sono in espansione).
La dinamica degli utili, la linea blu, mostra come questi, senza poste straordinarie, tornino nel 2014 a essere eguali a quelli del 2008. Intanto però le azioni sono cresciute di numero per gli aumenti di capitale. Gli utili per azione sono quindi minori. Se i prezzi delle azioni, in sede di aumento del capitale, sono alti, gli azionisti esistenti non ci rimettono, ma ci rimettono quelli nuovi. Viceversa, se sono bassi, quelli esistenti ci rimettono, ma non ci rimettono quelli nuovi. Lo stato e i privati che vogliono sottoscrivere gli aumenti di capitale hanno quindi tutto l’interesse a sottoscrivere a prezzi bassi. Chi ha le azioni oggi rischia molto: i prezzi delle azioni possono, infatti, essere troppo alti rispetto agli utili (per azione) di domani.
(1) Stability Risk and the Effectiveness of Policy Response. Capitolo primo, pagina 31 e seguenti del Rapporto:
http://www.imf.org/external/pubs/ft/gfsr/2009/01/index.htm
(2) http://www.centroeinaudi.it/notizie/hic-rhodus,-hic-salta.html
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