Da qualche tempo si discute dell’intervento cinese nella finanza e nell’economia dell’eurozona. Da qualche giorno si discute dell’intervento cinese in Italia.

1. Qual è la narrativa dominante?

I cinesi – le formiche - hanno oculatamente risparmiato e dunque hanno grandi risorse, sia come riserve della loro banca centrale sia come fondi sovrani (i fondi d’investimento di proprietà pubblica). Gli italiani – le cicale – hanno avuto una spesa pubblica maggiore delle entrate, per cui è stato accumulato un gran debito pubblico, il quale è da qualche mese sotto pressione. I mercati richiedono rendimenti maggiori. I maggiori rendimenti rendono più costoso il controllo del debito. Costando quest’ultimo di più, bisognerà tagliare molte volte ancora le spese e alzare molte volte ancora le entrate per frenarlo. I cinesi possono però comprare il debito italiano. Se ne comprano molto, ecco che i prezzi delle obbligazioni emesse dal Tesoro salgono, e quindi il rendimento scende (la cedola è fissa e quindi il rendimento scende solo se il prezzo sale). Scendendo il rendimento, il costo del debito diminuisce. In questo modo i cinesi aiutano l’Italia.

Perché mai dovrebbero farlo? Per interesse: tengono in vita l’eurozona, dove contano di investire sempre di più, essendo i cinesi saturi di attività finanziarie statunitensi, e contano di avere un potere negoziale molto alto. L’Italia ha un’economia di gran lunga maggiore di quella della Grecia, del Portogallo e dell’Irlanda messe insieme. Dunque, se essa deraglia, mette in crisi tutta l’economia europea. Salvando l’Italia, i cinesi salvano i propri investimenti futuri in Europa. Inoltre, possono negoziare l’ingresso nelle imprese italiane a prezzi – per loro – interessanti.

 

2. Dopo lo scheletro della narrativa si hanno gli arricchimenti

I cinesi sono virtuosi e gli italiani viziosi. La virtù essendo il risparmio e il vizio il debito. Le stesse idee sono condivise dal ministro delle Finanze tedesco, e da tanti altri.

Per molti l’arrivo dei cinesi è la nemesi: un paese corrotto e indebitato è giustamente punito con la vendita della propria argenteria, che, immancabilmente, è l'Eni, oppure Finmeccanica, o anche le grandi banche. Non si osa pensare alla vendita alle agenzie turistiche cinesi della costiera amalfitana, o del Canal Grande. Non siamo – si afferma larvatamente – mai stati capaci di governarci da soli. L’ultimo tentativo è stato quello di farsi governare dai tedeschi attraverso i vincoli del Trattato di Maastricht, ma non ha funzionato. Dunque ora è il momento dei cinesi. Naturalmente, un maligno potrebbe pensare che nessuno ama quest’intervento dei cinesi, ma spera di aggiungere un altro elemento polemico a danno del governo in carica.

Vi sono anche gli ideologizzati. Questi ammirano la crescita cinese. Solitamente non ricordano che essa è il frutto di ondate successive di investimenti colossali che prima o poi qualcuno dovrà pagare: per esempio, le enormi città senza abitanti dovranno prima o poi trovare qualcuno che vada ad abitarle, altrimenti il loro costo di costruzione si riverserà come crediti inesigibili sul sistema bancario che lo ha finanziato. Il salvataggio del sistema bancario sarà a danno del governo, e dunque aumenterà il debito pubblico cinese. A quelli che tornano ammirati dalla Cina si potrebbe ricordare che così avveniva anche negli anni Trenta per coloro che avevano appena visto in opera la modernizzazione: la Stazione Centrale di Milano, Roma Termini, eccetera. Lo stesso vale per le autostrade di Hitler e le centrali elettriche di Stalin. Ossia, le infrastrutture sono la specialità dei sistemi a partito unico.

 

3. Siamo sicuri che i virtuosi e i viziosi non siano le due facce della stessa medaglia?

Lo Spirito del Tempo è – salvo che per qualche sparuta tribù di economisti fuggita in Valtellina – quello di ammirare i paesi «neo-mercantilisti». Ossia, i paesi che esportano più di quanto importino. La differenza fra esportazioni e importazioni è l’accumularsi di crediti.

I cinesi, per esempio, per tenere il cambio hanno comprato il debito pubblico statunitense. Non lo avessero fatto, lo yuan si sarebbe apprezzato e i cinesi avrebbero esportato meno e importato di più. In questo caso, sarebbe saltato il modello di crescita trainato dalle esportazioni. I cinesi spingono la crescita del settore moderno – quello che esporta – e in questo modo alzano il livello della loro economia. Il prezzo che pagano è l’accumulare crediti verso l’estero. Crediti che ora cercano di diversificare, suddividendoli fra gli Stati Uniti e l’Europa. È da notare che negli Stati Uniti i cinesi comprano solo obbligazioni, essendo stato loro vietato di comprare azioni per il timore che arrivino a controllare le aziende strategiche.

Non che i tedeschi facciano una cosa diversa. Esportano splendide vetture in Grecia, mentre quest’ultima vende loro formaggi e vacanze a Mikonos. Si crea un surplus commerciale dei tedeschi che è debito dei greci verso la Germania. (Il cambio non riporta all’equilibrio, perché si ha l’euro e non il marco e la dracma.) Chi per decenni esporta più di quanto importi dovrebbe sapere che accumula crediti. Non può perciò pretendere che questi crediti siano necessariamente sani per un tempo infinito.

Dunque chi risparmia – i cinesi, i tedeschi – è virtuoso ma non è furbo: alla fine si trova sommerso dai crediti verso i viziosi. I quali per anni gongolano perché spendono più di quanto guadagnino, ma poi, quando debbono ripagare i debiti, si trovano a dover varare manovre di correzione che possono tramortirli. Se i viziosi tramortiscono, ecco che domanderanno molti meno beni e servizi dei virtuosi: per esempio, i paesi europei messi peggio compreranno meno automobili tedesche. I viziosi sono a pezzi, e la Germania va in recessione.

 

4. La narrativa e gli ancoraggi

La domanda, in conclusione, è se c’è chi crede per davvero nella narrativa dei viziosi e dei virtuosi in campo economico. Per quelli che ci credono, la risposta potrebbe essere questa. È molto difficile capire e accettare il mondo delle interdipendenze, dove nessuno è buono e nessuno è cattivo. Si finisce così per cercare degli ancoraggi, i quali sono quelli con la storia più lunga: le virtù e i vizi storici – veri o presunti – di ciascuno. Per esempio, l’ordine e la parsimonia dei protestanti, la tolleranza per la debolezza dei cattolici, la «mediorientalizzazione» dei greci, eccetera. Nel caso dei cinesi, la narrativa della loro virtù, che osserva compiaciuta le riserve valutarie ma dimentica le enormi città prive di abitanti, soddisfa il desiderio di mostrare come, nonostante un secolo di colonialismo, si siano risollevati al punto che stanno diventando i vincitori – con l’uditorio «terzomondista» estasiato da questa narrativa.

Per quelli che non ci credono, la risposta potrebbe essere questa. Non ci credono perché sanno che il mondo è interdipendente. Sanno però anche che nell’arena politica non si possono avere delle discussioni prive di richiami forti. Perciò ci si rifà agli ancoraggi per giungere allo scopo. Per esempio, se voi foste un politico tedesco avreste la scelta fra il dire: «Se non salviamo la Grecia, il nostro sistema finanziario sarà pesantemente colpito, perché ha investito in Grecia in maniera molto imprudente», oppure «Siamo europei e dobbiamo salvare la Grecia spendacciona, ma imponendo ai greci una politica di grande austerità così che imparino a vivere sobriamente, come facciamo noi da sempre». Quale dei due discorsi da fare alla televisione è il migliore?

L’articolo è uscito anche su Limesil 19 settembre 2011:
http://temi.repubblica.it/limes/la-partita-cinese-dei-bond-italiani/26728