La speculazione, invece, non aveva ruolo, perché le scorte di petrolio non erano cresciute in quel periodo. “Speculare” vuole dire che tolgo dal mercato un bene che tutti vogliono, lo metto in magazzino, e poi lo tiro fuori quando il prezzo è salito. Nel periodo in cui il petrolio che ho tolto dal mercato manca, ecco che i prezzi salgono, perché la domanda preme. Proprio come facevano gli speculatori con la farina durante le guerre. Le polemiche sulla speculazione avevano uno scopo di propaganda, volevano mostrare come una banda di avidi finanzieri rovinasse la vita delle moltitudini di onesti padri di famiglia. Naturalmente, le moltitudini avrebbero, capito il proprio interesse, trovato asilo fra le braccia generose dei politici. Il prezzo del petrolio può passare in poco tempo da 150 a 50 dollari per ragioni squisitamente economiche, non c’è alcun bisogno di scomodare altre ipotesi, come l’avidità, figlia meritata di un mondo di senzadio. Il ragionamento che spiega la gran variabilità dei prezzi del petrolio è tratto da un lavoro, del 1980, di due economisti, J. Cremer e D. Salehi-Isfahani, le cui argomentazioni sono state riprese negli ultimi tempi dal premio Nobel P. Krugman.
Che cosa accade? Dopo che il prezzo del petrolio è diventato molto alto, la domanda si riduce, perché la gente usa meno i SUV. Se poi, come è accaduto proprio quest’anno, si entra in recessione, la domanda si riduce molto, oltre la naturale flessione dovuta all’alto prezzo alla pompa per i SUV. Si aveva all’inizio, con una gran crescita economica, una domanda superiore all’offerta, ma poi, arrivata la recessione, si ha un’offerta superiore alla domanda, ed i prezzi cadono. In maniera più formale. I prezzi sono instabili nel tratto in cui l’offerta con il tempo si è ridotta, perché sono stati raggiunti gli obiettivi di bilancio pubblico dei paesi petroliferi, ma la domanda è ancora rigida. I prezzi esplodono. Dopo un po’ il prezzo cade, ma l’offerta di petrolio è ancora rigida, e quindi l’offerta è maggiore della domanda. I prezzi crollano. Ecco il prezzo del petrolio che passa da 150 a 50 dollari, come se niente fosse. Il grafico 2 mostra il punto.
Da qui le serie difficoltà dei paesi petroliferi. Secondo una stima del Fondo Monetario Internazionale, il pareggio del bilancio pubblico dei diversi paesi si avrebbe con questi prezzi: Algeria 56, Kuwait 33, Azerbaijan 40, Bahrain 75, Iran 90, Oman 77, Iraq 111, Qatar 24, Kazakhstan 59, Arabia Saudita 49, Libia 47, Emirati Arabi Uniti 23. Come si vede siamo ben sopra le quotazioni correnti del barile. Secondo una stima del Council on Foreign Relations il pareggio del bilancio pubblico della Russia è a 70 dollari. In pochi mesi si è passati dal timore che esplodesse l’inflazione (da petrolio), dal timore che i paesi petroliferi comprassero tutto quanto con gli avanzi della loro bilancia commerciale (che finivano nei Fondi Sovrani), ai problemi di bilancio pubblico dei paesi petroliferi medesimi. Il tutto senza complotti né della finanza né degli “arabi”. La ragione di tanto mutamento è semplicemente nel meccanismo molto instabile di domanda rigida quando il prezzo sale, e di offerta rigida quando il prezzo scende che presiede la formazione dei prezzo del petrolio.
Pubblicato su La Stampa (inserto speciale "Il mondo nel 2009") il 19 dicembre 2008
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