I tanto discussi tagli alle spese di Stato non sono monopolio del governo Monti. Anche il premier britannico, David Cameron, è alle prese con un’operazione analoga. Anzi, per alcuni aspetti, ancora più dolorosa. Con un’importante riduzione di budget a sua disposizione, si prevede che il ministro della difesa, Philip Hammond, abbia il triste onore di passare alla storia come uno dei pochi responsabili della sicurezza di Sua Maestà con un portafoglio ridotto. Da qui a dieci anni, la difesa britannica risparmierà complessivamente 38 miliardi di sterline, più o meno 25 miliardi di euro, 5 miliardi in più rispetto alle spese a cui il ministero della difesa italiano si è dichiarato disposto a rinunciare. Un differenziale non significativo da un punto di vista numerico, ma fondamentale se si paragonano Regno Unito e Italia per quanto riguarda il loro rispettivo impegno militare sullo scacchiere internazionale.

Il ministro italiano, Giampaolo Di Paola, sta puntando a ottimizzare la ripartizione delle risorse. Meno personale, più tecnologia. Affinché i salvati dai tagli ricevano un migliore supporto tecnico e meccanico. In pratica, meno soldati per carrarmati più efficienti. L’idea, sulla carta, ha senso. I nostri militari però preferiscono aspettare nell’esprimere giudizi.

In Gran Bretagna invece, dove l’establishment è più pragmatico – specie quello in uniforme – non si è stati a dare tante giustificazioni. «Dopo aver ereditato dal precedente governo un buco nel bilancio – ha detto Hammond ai Comuni qualche giorno fa – abbiamo dovuto prendere decisioni difficili per trasformare in realtà la nostra visione di un esercito flessibile e adattabile, ma cionondimeno formidabile». Fatti quattro conti, gli effettivi passeranno da 102 mila a 82 mila, mentre i riservisti raddoppieranno fino a toccare quota 30 mila. Nel 1978, in piena guerra fredda, le Forze armate britanniche erano composte da 163 mila uomini. Le recentissime celebrazioni del Diamond Jubilee, per i sessant’anni di regno di Elisabetta II, hanno intenerito i cuori dei militari. Veder sfilare le giubbe rosse sul Mall di fronte a Buckingham Palace fa sempre un certo effetto. E sapere che la parata del prossimo Trooping the colours sarà ridotta fa rattristare anche il più integerrimo dei sergenti. La commozione nel veder cancellati alcuni gloriosi reggimenti è tanta. Quattro battaglioni di fanteria e due sezioni dei corpi armati verranno eliminati. Tuttavia, quel che sta decidendo il governo va preso come un ordine. «Dopo un decennio di operazioni all’estero, dobbiamo trasformare l’esercito e renderlo più bilanciato e pronto per le sfide del futuro», ha aggiunto Hammond.

Il problema sta nelle ricadute sulla politica internazionale. Il Regno Unito potrà permettersi in futuro un impegno di così ampio respiro com’è quello attuale? Per inciso: il comparto difesa, alla pari di diplomazia ed economia, è tornato a svolgere un ruolo prioritario nella dimostrazione della forza di un Paese. Come pure della sua immagine. Il basco militare sta attraversando una nuova stagione di lustro. Alla stregua della feluca, o più semplicemente della produttività economica. I soldati

inglesi quindi si domandano cosa sarà del Paese una volta che loro saranno così pochi.

Non si sta parlando solo di Afghanistan, ma anche di Iraq e alcune aree dell’Africa. Le stesse Falkland, di cui quest’anno ricorre il trentesimo anniversario del conflitto con l’Argentina, chiedono una presenza significativa in loco. E poi ci sono le operazioni hit and run di cui Londra si è sempre vantata. Intelligence, forze speciali e commando. Insomma, tutta l’antologia cinematografica che va dagli 007 ai “Quattro dell’oca selvaggia” è supportata da un reale impegno della difesa britannica su scala internazionale. L’esempio libico è l’ultimo. Anche se non dei migliori. I soldati di Sua Maestà ne fanno un discorso di prestigio dell’intero Paese. Con una punta di nostalgia per il vecchio Impero e con la preoccupazione di essere scavalcati anche in questo campo. O meglio, scavalcato il Regno Unito lo è già da tempo. Sono gli Usa infatti a dettare il passo, con i britannici diligentemente dietro. Quel che si teme a Londra è di perdere ulteriori posizioni. Lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), osservatorio notoriamente pacifista e puntuale nell’analizzare i singoli apparati di difesa nazionale, pone il Regno Unito in quarta posizione, a livello mondiale, per gli investimenti nel comparto (Figura A). Dopo gli Usa, la Russia e la Cina. A Londra sta anche bene essere dietro a questi giganti. La pragmatica appunto: di più non si può fare, quindi ok. Il problema è l’essere incalzata dalla Francia. Gli inglesi non apprezzerebbero di dover cedere il posto ai “mangia rane”. Il presidente francese, François Hollande, si è recentemente fatto filmare ai comandi di un sottomarino nucleare: “La Terrible”. Era dal 1974 che un inquilino dell’Eliseo non scendeva in immersione. Il messaggio di Hollande è chiaro. La difesa francese può dormire sonni tranquilli. Lo stesso non si può dire per i partner Nato – Gran Bretagna in primis – i quali tagliano il personale in uniforme. Parigi va in controtendenza. E così cerca di acquisire importanza a livello internazionale. Tuttavia, c’è chi giustifica la scelta di Cameron. Proprio il Sipri, nel rapporto annuale 2012, riconosce al premier britannico il merito di aver agito in anticipo. Invece che correre ai ripari come sta facendo l’Italia, il Regno Unito ha scelto una strada sofferta sul breve periodo, che però sul lungo è assai probabile si rivelerà vantaggiosa. L’istituto svedese riconosce a Cameron e Hammond una strategia militare che nemmeno gli alti ufficiali inglesi sembrano cogliere. Londra si è resa conto di aver fallito in Afghanistan e in Iraq. Anche se non lo dice apertis verbis. Tanto vale snellire quindi. Rinunciare ai grandi contingenti, che in ambito Nato saranno sempre più monopolio di Washington, e avere a disposizione i commando da inviare un po’ ovunque. Così facendo la tattica militare è soddisfatta. Non si spende molto, i riservisti sono sempre pronti e quando c’è da partire si fanno in fretta le valige. Quello che Downing Street non riesce a colmare è la strategia politica. Perché i raid sulla Libia sono facili da effettuare. Ma una volta eliminato Gheddafi, è necessario

trovare un sostituto. In questo caso, o si sta presenti in loco per lungo tempo, come in Afghanistan – ma così si ritorna al dispiegamento di un contingente – oppure si tiene sotto controllo il potenziale teatro di intervento con preventive operazioni di intelligence. Solo che anche le barbe finte costano. Ma questo è un discorso a parte. A Londra, in controtendenza a molti governi europei, le questioni di intelligence sono di competenza del ministero degli esteri. Spetterà alla diplomazia quindi tappare i buchi della difesa?

http://www.sipri.org/yearbook/2012/files/SIPRIYBc04sV.pdf