Il 18 settembre 2014 si terrà il referendum sull’indipendenza della Scozia dal Regno Unito dopo tre secoli dall’Atto di Unione che fece nascere lo stato unitario. Sebbene secondo i sondaggi, ad oggi, non ci sarebbe una maggioranza per l’indipendenza, sono stati svolti diversi studi da parte dei governi britannico e scozzese sulle conseguenze economiche, politiche e legali della secessione. Il tema è importante oltre che per il caso specifico anche per fare considerazioni più generali sull’importanza di avere una moneta comune, come nell’area Euro.

Dal punto di vista economico un tema importante è quello della scelta della moneta da parte di una futura Scozia indipendente. Le ipotesi sono quattro: mantenere la sterlina all’interno di una unione monetaria con il Regno Unito, mantenere la sterlina in maniera unilaterale, creare una nuova moneta nazionale, entrare nell’euro. Già dal tipo di alternative considerate si vede come l’autonomia monetaria sia solo una delle ipotesi, mentre tutte le altre si fondano su un qualche tipo di unione monetaria. Per un paese che da trecento anni ha la stessa moneta del Regno Unito cambiare conio (e due terzi delle esportazioni scozzesi hanno come destinazione il resto del Regno Unito) ha dei costi di transazione molto elevati che potrebbero ridurre significativamente l’attività economica oltre il Vallo di Adriano. Inoltre il mantenimento della sterlina permetterà alle imprese scozzesi di continuare ad accedere facilmente al mercato finanziario londinese.

Il governo scozzese sostiene fortemente la prima ipotesi (e indicata da un gruppo di accademici incaricati dallo stesso di analizzare le alternative, composto da Andrew Hughes-Hallett, Jim Mirrlees, Frances Ruane  e Joseph Stiglitz) fondata sull’idea che l’attuale area della sterlina sia un’area valutaria ottimale. Questa convinzione si basa sugli intensi scambi commerciali, sul simile livello di produttività e di pil pro capite, la mobilità dei lavoratori (il 50% dell’emigrazione da e verso la Scozia è legata al Regno Unito), la sincronia dei cicli economici (legata anche al fatto di essere state sottoposte alle stesse politiche monetarie e fiscali), la simile struttura delle istituzioni economiche come il mercato del lavoro e quello dei capitali. Data la forte volatilità del mercato dei cambi, un aumento del valore della moneta scozzese rispetto alla sterlina avrebbe forti effetti negativi sulle esportazioni dalla Scozia al Regno Unito, e conseguentemente sulla produzione e l’occupazione. In sostanza, i costi diretti ed indiretti di una moneta autonoma sembrano essere per la Scozia superiori ai benefici. Tuttavia, una unione monetaria basata sulla sterlina ricreerebbe tutte le questioni relative ai vincoli delle politiche fiscali dei paesi membri che sono alla base dei trattati che gestiscono l’euro.

Secondo il governo scozzese, la politica monetaria comune verrebbe realizzata attraverso la Bank of England e nel Monetary Policy Committee e nel Financial Policy Committee, gli organi che prendono le decisioni relative al tasso di interesse e alla stabilità del sistema finanziario,  verrebbero nominati alcuni membri da parte della Scozia.

Le altre possibilità vengono considerate un second best per diverse ragioni. Esclusa per le ragioni dette prima l’idea di una moneta scozzese, l’ipotesi di utilizzare unilateralmente la sterlina (“sterlinizzazione”) presenta il beneficio di non avere costi di transazione e di eliminare il rischio che forti variazioni del tasso di cambio abbiano effetti sul commercio con il Regno Unito, ma priverebbe il paese di una banca centrale e quindi di una politica monetaria che tenga conto delle sue necessità (la Bank of England fisserebbe i tassi di interesse sulla base dell’andamento dell’economia del Regno Unito) e di un soggetto che possa fungere da prestatore di ultima istanza nel caso di crisi bancarie.

La scelta di aderire all’euro darebbe luogo ad un processo di transizione molto lungo che prevedrebbe innanzitutto la nascita dello stato Scozzese e delle sue istituzioni di politica fiscale e monetaria ed il raggiungimento dei parametri fissati dal Patto di Stabilità e Crescita. Allo stesso tempo, continuando ad usare la sterlina fino all’adesione all’uro, la Scozia dovrebbe anche negoziare un accordo con il Regno Unito, per cui si troverebbe a gestire due transizioni allo stesso tempo. Inoltre legherebbe la politica monetaria in Scozia alla situazione economica degli altri paesi dell’area euro, con i quali la correlazione dei cicli economici non è molto elevata.

In definitiva, in un mondo di elevata mobilità del capitale l’incentivo ad avere una propria moneta è limitato (in particolare se una significativa quota del prodotto dipende dalla volatilità del prezzo del gas e del petrolio) in presenza di un’integrazione economica durata oltre trecento anni. Allo stesso tempo per paesi che hanno una valuta comune e forti scambi commerciali, come quelli dell’area euro, il costo del ritorno alla moneta nazionale è probabilmente superiore al suo beneficio.