L’impatto della crisi politica egiziana sull’economia mondiale potrebbe essere immaginato come trasmesso da un duplice canale: attraverso la minor produzione di petrolio e attraverso l’interruzione delle rotte che ne consentono il trasporto. In entrambi i casi, i numeri smentiscono la paura. La produzione di petrolio egiziana è inferiore all’1% di quella mondiale, e il trasporto di petrolio attraverso il Canale di Suez è pari all’1% del totale trasportato. (Durante la crisi del 1956 dall’Egitto passava, invece, quasi il 9% del petrolio mondiale, e la crisi fu avvertita.) Perciò la crisi politica egiziana è economicamente pericolosa solo se si allarga verso i produttori di petrolio maggiori, che, in ordine crescente, sono Libia, Algeria, Iraq e Arabia Saudita (1). Se le cose stanno così, ossia se l’impatto dell’Egitto sul prezzo del petrolio è assai modesto, allora perché la sua ascesa è spesso associata nei commenti alla crisi politica egiziana? Una spiegazione è appunto quella dell’«effetto domino» (2). Come ai tempi della guerra del Vietnam, il timore è che la crisi politica si allarghi fino a lambire i paesi che contano nella produzione del petrolio.
(1) http://www.econbrowser.com/archives/2011/01/geopolitical_un.html
(2) http://en.wikipedia.org/wiki/Domino_theory
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