Si immagini di avere dei paesi che hanno una quota notevole del proprio debito pubblico detenuto dall’estero. Gli interessi e il capitale possono essere ripagati a due condizioni: intanto, che non cresca più il debito, mentre inizia a crescere l’economia che genera le risorse per ripagarlo. Si immagini di avere dei paesi che hanno un’esposizione notevole del proprio settore bancario con l’estero. Le banche estere non sono più disposte a rinnovare i loro crediti. Lo stato allora interviene per garantire i debiti delle proprie banche. I debiti delle banche diventano debiti dello stato. E siamo daccapo. Gli interessi e il capitale possono essere ripagati a due condizioni: intanto, che non cresca più il debito, mentre inizia a crescere l’economia che genera le risorse per ripagarlo.

 

Si immagini che questi paesi – quelli con il solo gran debito pubblico, come la Grecia, e quelli con un piccolo debito pubblico, ma con un grosso debito bancario che diventa debito pubblico, come l’Irlanda, ma potrebbe essere anche il caso della Spagna – riescano a migliorare i propri conti pubblici tagliando le spese e alzando le entrate. Qualche cosa hanno pur fatto. Ma se non arriva la crescita economica il debito pubblico resta cospicuo, nonostante i tagli. L’onere del debito resta elevato per anni, e congela le risorse pubbliche. Il debito di questi paesi ha una qualità bassa e dunque chi lo compra richiede dei rendimenti alti. Gli alti rendimenti rendono più oneroso il debito, nonostante i tagli. La strada della svalutazione è bloccata, perché i paesi fanno parte di un’unione monetaria.

 

Si immagini che a questo punto intervengano gli altri stati dell’unione monetaria. Il loro sistema finanziario detiene quote cospicue del debito dei paesi in difficoltà. Se non intervengono, i loro crediti diventano «dubbi». Se, invece, finanziano i paesi in difficoltà, i loro crediti possono tornare «buoni». Di fronte a una crisi di liquidità (ossia, una difficoltà temporanea di finanziamento) si interviene e le cose si risolvono. Tutto bene. Ma ecco che sorge il dubbio che la crisi sia, invece, di solvibilità (ossia, i crediti non saranno mai interamente rimborsati). I paesi sani che finanziano i paesi in difficoltà possono trovarsi ad avere finanziato chi alla fine non li rimborserà. E dunque, oltre ai crediti pregressi, si troveranno nuovi crediti che non riavranno mai.

 

Si immagini che gli stati dei paesi sani chiedano una qualche protezione. L’impiegato postale di Atene paga il risanamento greco, ma, se si alza l’onere per il salvataggio della Grecia, anche l’impiegato postale di Amburgo deve pagare. Quest’ultimo si rifiuta di pagare per (quel che ritiene siano) gli errori degli altri. I suoi politici debbono allora vendergli qualche cosa che si chiama «salvataggio punitivo».

 

A questo punto abbiamo il salto di qualità. Sul mercato politico arriva l’offerta di un meccanismo temporalmente definito, di un qualche cosa che affermi che da una certa data in poi, se non si fanno certe cose, ne accadono delle altre. Ossia si procede d’autorità a ristrutturare il debito altrui. La sovranità degli stati mal messi sembra essere scomparsa. Gli stati sani possono voler forzare gli stati mal messi, ma gli stati mal messi possono rifiutarsi. Ecco che sorge l’incentivo perverso. Se si chiedono dei rendimenti molto elevati per il debito dei paesi mal messi, essi probabilmente saranno spinti a rinunciare alla difesa della propria sovranità, accettando di ristrutturare il proprio debito.

 

È quel che avveniva ai tempi della crisi dei cambi. Quando l’attacco al cambio partiva, erano alzati i tassi di interesse per difenderlo. Se il rialzo era notevole e la durata del rialzo non temporanea, si alzava troppo il costo della difesa, e il cambio era lasciato andare. Il sospetto che domani possa andare così spinge a chiedere oggi i rendimenti che proteggano dall’evento.

 

E l'Italia? Il suo debito è oggi più sano di quello degli altri paesi mal messi. In prospettiva, è più sano di quello di molti dei paesi ben messi. La riforma del sistema delle pensioni deve essere ancora fatta da altri paesi. Dunque non dovrebbero esserci problemi. Una spinta di rialzo dei rendimenti in molti dei paesi mal messi, combinata con una politica fiscale meno severa in patria, potrebbe però spingere i mercati a saggiare la tenuta del Belpaese.

 


Uscito il 1 dicembre 2010 su Limes:

http://temi.repubblica.it/limes/a-chi-fa-comodo-una-crisi-di-solvibilita/17407