Dalla metà di settembre i mercati azionari negli Stati Uniti e in Europa avevano smesso di salire, mentre il mercato giapponese è flesso. Ogni volta che i mercati occidentali arrivavano ai massimi precedenti, scendevano poco, per poi risalire. Oggi invece sono scesi molto, ma la caduta dei mercati occidentali non è ancora significativa, se osservata con l’analisi statistica delle tendenze dei prezzi. La ragione della flessione di oggi, per come rimbalza sui media, è che gli andamenti economici sottostanti le attività finanziarie – l’occupazione, la produzione industriale – sono diventati «meno vivaci». In altre parole, con gli indicatori «reali» che migliorano a un passo ridotto, si avrà un’uscita dalla crisi meno veloce, e quindi le azioni, salite moltissimo da marzo, si stanno prendendo una «pausa». Insomma, niente di grave. Può darsi che sia così, noi restiamo tuttavia scettici. Abbiamo degli indicatori – non astrusi, e che vadano oltre l’osservazione quotidiana – capaci di dirci come stanno per davvero le cose?

 

Il flusso dei fondi dei diversi settori è illuminante. Il settore privato (famiglie e imprese) negli Stati Uniti sta riducendo il proprio debito con forza. Il settore pubblico (centrale e periferico) sta aumentando il proprio debito con forza. I due flussi – quello in riduzione e quello in espansione – quasi si compensano. La situazione è simile a quella del Giappone quando il settore privato, a partire dal 1990, riduceva il debito, mentre il settore pubblico lo accresceva. Il Giappone non è andato in depressione, ma ha vissuto una stagnazione ventennale.
 
Dunque l’economia statunitense non si avvita, nonostante la forte caduta del credito assorbito dal settore privato, perché il credito è ora assorbito dal settore pubblico. Cruciale è il comportamento – anticiclico – del settore pubblico. Né d’altro canto si ha molta scelta: se la politica monetaria non è in grado da sola di «tirar fuori dalle secche» l’economia, ecco che si passa alla politica fiscale. C’è chi sostiene che il deficit pubblico è eccessivo, c’è chi lo giudica modesto per «tirarsi fuori dai guai. Non stiamo discutendo la crescita del deficit e del debito nel lungo termine, che è altra e complessa questione, ma la crescita da qui all’anno prossimo.
 
Se l’economia privata non si riprende velocemente, si troverà l'anno prossimo con un bilancio pubblico non espansivo. Quel che conta, infatti, è la variazione del deficit pubblico. Se quest’anno il deficit passa dal 5 al 10% del Pil, si avrà una spinta espansiva. Se il prossimo anno il deficit passa dal 10 al 5%, si  avrà una spinta recessiva, nonostante il deficit pubblico sia ancora elevato rispetto alla sua media – restando, infatti, intorno al 5% (2). Dunque, se il settore privato non si riprende, perché vuole continuare a ridurre il proprio debito, e quello pubblico continua a spendere – sempre in largo deficit – ma a spendere meno, non si avrà ripresa, se non nella forma di un «mini-rimbalzo».
 
La tenuta dei prezzi delle azioni, assente nel futuro la crescita del debito del settore privato, finisce quindi con il dipendere da un più elevato deficit pubblico rispetto a quello previsto. Il mercato obbligazionario non sembra temere un deficit ancora maggiore, e continua a veleggiare registrando rendimenti contenutissimi.