Ora che la Gran Bretagna sta tornando alla normalità e i momenti peggiori della crisi sembrano ormai sorpassati, è scattata la caccia alle ragioni dei tumulti. Che cosa ha scatenato la furia distruttiva dei ragazzi della sottoclasse – è la parola della settimana – nonché di molti «insospettabili»? La notizia di questi giorni è che tra i riottosi finiti alla sbarra figurano anche benestanti, studenti e persone che un lavoro ce l’hanno. E che quindi hanno qualcosa da perdere, eccome.
Tenere tutti i fili insieme è naturalmente difficile. Come si fa a sbattere sul lettino di Freud un paese che ha diversi secoli di storia da nazione fatta e finita, e cavarsela con una sbrigativa sessione? Non si può. Il lavoro sarà dunque lungo. Intanto proviamo a fare un po’ d’ordine.
Uno degli argomenti più gettonati è correlare le sommosse ai tagli del governo. Chi disputa questa tesi dice che gli effetti «pieni» non si sentiranno fino al prossimo anno. Ma il diavolo sta nei particolari. Full implementation non significa che il processo non sia già iniziato. Otto Youth Club su tredici, nel borough di Haringey (dove si trova Tottenham), hanno ad esempio chiuso nello spazio di dodici mesi – inchiesta Guardian. I ragazzi che li frequentavano ora non sanno bene cosa fare, stanno in strada, la polizia li ferma e la tensione sale.
L’uso che la polizia britannica fa dell’articolo 60 – stop-and-search powers – è riconosciuto come «sproporzionato» quando si riferisce alla popolazione nera. Fermare per controlli e perquisizioni a lungo andare può creare un senso di «un peso e due misure», specie in quei quartieri (come Hackney) protagonisti della gentrification. Ovvero scelti dai bianchi perché più vantaggiosi dal punto di vista dei prezzi degli immobili.
Londra, infatti, non ha le banlieux alla francese: l’edilizia sociale è stata spalmata a macchia di leopardo per tutta la città. Questo vuol dire che le case popolari stanno anche a Chelsea e Kensington, dove i prezzi al metro quadro sono a livello stellare. La scelta dunque è stata saggia perché non ha creato ghetti, o almeno non volutamente, ma può rendere la sperequazione ancora più stridente.
Ancora. La società britannica è certamente tollerante, ma pure molto classista. I figli dell’avvocato non giocheranno mai al parchetto con i bambini dei council estates, anche se ci abitano di fronte. Conducono vite parallele, a partire dalla scuola. Già la scelta delle elementari può incidere pesantemente sulla carriera futura. Una buona primaria porta a una buona secondaria – Nick Clegg e David Cameron sono andati, rispettivamente, alla Westminster School e a Eton: «licei» da 30.000 sterline all’anno di retta – e quindi al tempio della classe dirigente, quel Russell Group (l’associazione che riunisce le migliori 20 università del Regno Unito) dove finisce la gran parte dei finanziamenti dello Stato all’università. Inutile dire che al termine del paradiso c’è Oxbridge – crasi per Oxford e Cambridge.
Perdere il treno che porta ai vertici della società nei primi anni significa spesso passare il resto della vita dove si è nati o giù di lì. Nonostante tredici anni di governo laburista, la mobilità sociale in Gran Bretagna si è infatti ridotta ai minimi. Uno studio della London School of Economics mostra come, alla fine degli anni Novanta, la percentuale dei 23enni con una laurea appartenenti al 20% della popolazione più povera sia del 9%. Nel 1981 era del 6%. Tre punti percentuali in trent’anni. Niente rispetto al 46% riscontrato tra il 20% della popolazione più abbiente. Ovvero una differenza del 37% – era il 14% nel 1981.
E siccome il reddito è legato in massima parte all’istruzione, ecco che il circolo vizioso della povertà perpetua è presto spiegato. Non sempre è stato così. Margaret Thatcher era figlia di un droghiere e John Major di un piccolo commerciante – i Major vivevano a Brixton, uno dei quartieri più duri di Londra. Che dire di Cameron e Boris Johnson, il sindaco della capitale, entrambi rampolli di famiglie ricche? Insomma, la distanza fra governanti e governati si è fatta sempre più ampia, tanto quanto si è ridotta la fiducia accordata dai cittadini ai politici. Lo scandalo delle spese gonfiate dei parlamentari dell’anno passato ha assestato un ulteriore colpo a questa percezione. «Quando vediamo deputati chiedere rimborsi per flat-screen tv e finire in carcere per aver truccato la nota-spese, è chiaro che ai giovani di tutte le classi non si dà un gran esempio», ha notato David Wilson, professore di criminologia alla Birmingham City University.
Wilson si è spinto addirittura a collegare quella dipendenza mista ad arrogante senso di diritto – entitlement – spesso affibbiato alla sottoclasse quando si parla di benefits alla upper class. «Vale per i politici, i banchieri, i calciatori». Ma poi sarà vero che la cultura dei sussidi «a babbo morto» è parte del ritratto? Sì e no.
Intrappola le persone nel sistema (conviene a volte non lavorare piuttosto che lavorare con un umile impiego), ma ha salvato la Gran Bretagna dai rivers of blood del post-colonialismo e ha permesso alla Lady di ferro di riconvertire il paese negli anni Ottanta – impossibile trasformare un tornitore in trader della City. Il risultato però è un prezzo salato. A novembre 2010, si ha che 5,7 milioni di britannici in età lavorativa prendono un qualche sussidio – 4,86 milioni vivono nelle case popolari.
Concludendo. La rabbia dei giorni scorsi pare essere stata guidata da una minoranza di delinquenti che sovente ha legami con le gang di strada dei quartieri poveri. I teppisti, però, si sono mossi, se non in un mare, quanto meno in una piscina d’insoddisfazione latente che, mischiando come in un caleidoscopio i punti di cui sopra e molti altri, ha permesso questo scoppio quasi catartico di violenza. Rubare è stata una componente; un’altra, a mio parere, la voglia di mostrare il proprio fastidio rancoroso all’establishment.
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