Martedì 22 settembre un altro importante tassello della Delega Fiscale (legge 23/2014) si è aggiunto alle novità normative in materia tributaria. Il Decreto Legislativo n. 147 del 2015, recante misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale.
Le novità normative introdotte a favore delle imprese, molte e significative, ridisegnano gran parte della fiscalità nazionale ed internazionale. Una disposizione di rilevanza internazionale, fra le altre, appare particolarmente innovativa: l’introduzione, ex articolo 14 del Decreto Legislativo in oggetto, della cosiddetta “branch exemption”.
Analogamente al riconoscimento del credito d’imposta per le imposte assolte all’estero, il regime di branch exemption si prefigge lo scopo di eliminare la doppia imposizione che normalmente si verifica a livello internazionale quando vengono a combinarsi diversi regimi impositivi, ispirati, nello Stato della residenza, al c.d. worldwide principle e, nello Stato della fonte, al c.d. source principle. In particolare, lo strumento in esame consente di escludere tout court da imposizione in Italia i redditi prodotti da una branch estera.
La norma è destinata a rivoluzionare uno dei capisaldi della nostra disciplina interna riguardante la fiscalità internazionale. L’istituto viene inserito nell’ordinamento italiano per il tramite del nuovo articolo 168-ter del TUIR (il testo unico delle imposte sui redditi), con l’obiettivo di agevolare la competitività delle imprese italiane che operano all’estero per il tramite di stabili organizzazioni (i.e. filiali estere). In altre parole, si introduce la possibilità di non fare assumere alcuna rilevanza fiscale in Italia agli utili ed alle perdite realizzati dalle filiali estere. Le imprese italiane, dunque, potranno optare per il regime di branch exemption, spostando la tassazione dei redditi delle filiali estere nel solo Stato dove queste sono localizzate.
Si tenga presente che tale opzione è irrevocabile, deve essere esercitata al momento di costituzione della filiale estera, ha effetto nel medesimo periodo d’imposta in cui è esercitata ed è valida solo qualora le filiali siano localizzate in Stati che consentono un adeguato scambio di informazioni (cosiddetti Paesi “white list”).
Al fine di consentire alle imprese italiane con filiali estere già esistenti di adeguare i propri sistemi contabili all’opzione per la branch exemption, il legislatore ha stabilito che queste possono esercitare l’opzione entro il secondo periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo (con effetto dal periodo d’imposta nel corso del quale è esercitata l’opzione).
In forza di questo nuovo istituto, dunque, l’Italia consente alle proprie imprese che dispongono di filiali all’estero di poter beneficiare delle agevolazioni fiscali previste dalle legislazioni di altri Paesi, così come di un tax rate più basso rispetto a quello nazionale. Nonostante la branch exemption rafforzi il principio della tassazione su base territoriale, non viene meno il principio di tassazione mondiale previsto dal nostro ordinamento (si tratta pur sempre di un regime opzionale, operante con esclusivo riferimento al reddito d’impresa).
L’obiettivo del legislatore tributario è quello di favorire l’internazionalizzazione delle imprese italiane, fornendo la possibilità di considerare tamquam non esset ai fini fiscali il risultato conseguito dalle filiali fiscalmente residenti all’estero. L’introduzione del regime di branch exemption non può che essere accolta nel nostro ordinamento con estremo favore, poiché consente alle imprese italiane una facoltà in più che, nella grande maggioranza dei casi, dovrebbe migliorare la competitività dei nostri operatori economici sui mercati esteri.
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