I mercati azionari continuano a salire. Le domande è: 1) salgono per davvero?; 2) le prospettive sono cambiate?


L’ultima volta che si è avuta un’ascesa violenta dei prezzi delle azioni è stato dopo il minimo di novembre dello scorso anno. Lo Standard & Poor’s era caduto fino a 750 punti, poi era risalito fino a 900 a gennaio. Da allora è precipitato arrivando fin sotto i 700 punti, e ora sta risalendo verso gli 800. Gli altri mercati seguono le tendenze dello Standard & Poor’s. La volta scorsa che era risalito con violenza si era in un vuoto di informazioni: la forte flessione economica dell’ultimo trimestre del 2008 non si era ancora mostrata, e i risultati societari, sempre dell’ultimo trimestre del 2008, che hanno registrato una riduzione di entità notevole, non erano ancora usciti. Oggi siamo di nuovo in un vuoto di informazioni relativamente agli andamenti dell’economia e delle imprese quotate.
 
E questa è la prima caratteristica che hanno in comune l’ultima ascesa e quella in corso. La seconda caratteristica è che, per quanto in ascesa violenta, i prezzi sono ancora all’interno della tendenza primaria a flettere, misurata come la regressione lineare dei valori settimanali a partire da quando la borsa nella primavera del 2008 ha iniziato a cedere, con una deviazione standard in alto e in basso. Grafico 1.
 
Dunque i prezzi non stanno salendo «per davvero», si spostano con violenza all’interno di una canale in discesa. Si potrebbe obiettare che vi sono segnali di miglioramento da parte delle banche, Citi e Bank of America hanno dichiarato che avranno risultati simili a quelli, notevoli, del 2007. La società di consulenza McKinsey ha simulato il conto economico delle maggiori banche statunitensi, che il sito Naked Capitalism ha divulgato. Abbiamo nella tabella, mostrata sotto, lo scenario migliore (i numeri in nero) e quello medio (i numeri in blu). Si noti che non è sfuggito di mano lo scenario peggiore. I redditi (revenues) del 2009 rispetto a quelli del 2008 flettono leggermente, i costi operativi (opex) restano invariati. Il risultato finale perciò dipende da quante perdite sono registrate (provisions). Se i risultati delle banche sono giudicati come la semplice differenza fra ricavi e costi, allora abbiamo un risultato operativo lordo, ossia senza la registrazione delle perdite sulle obbligazioni «tossiche», piatto.
 
Si noti, infine, che i ricavi non arrivano a eguagliare quelli del 2008 nemmeno nel 2013, e che i costi operativi sono, nel periodo, invariati. Il settore bancario, in conclusione, migliora i risultati effettivi nel tempo, man mano che si riducono le perdite sulle obbligazioni «tossiche», ma il risultato corrente resta all'incirca lo stesso nel periodo. Ultima osservazione, i profitti complessivi dal 2008 al 2013 sono all'incirca gli stessi, ma il numero di azioni è cresciuto per le iniezioni di capitale di rischio; ergo, l’utile per azione nel periodo diminuisce. Dunque un vero miglioramento del settore che è stato l'epicentro della crisi non è ancora «nelle carte».


il_canale_in_discesa_da_maggio_2008
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banche_usa_secondo_mc_kinsey
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