Immaginiamo di camminare nei viali polverosi del Cairo e di incrociare un bambino che traina un carretto colmo di spazzatura. Incuriositi, decidiamo di seguirlo. Così facendo, scopriamo che il ragazzino porta il suo carico di rifiuti direttamente a casa, dove viene accolto con palese soddisfazione dal resto della famiglia. La scena può turbare il nostro animo (oltreché l’olfatto) occidentale. Pur con tutte le inefficienze del caso, nelle nostre città a raccogliere rifiuti ci pensano camion superaccessoriati, manovrati da uomini muscolosi, di solito vestiti con colori sgargianti. L’idea che di tutto questo se ne occupi un minorenne, se va bene aiutato da un asinello, non può che scandalizzarci.
Tuttavia, quel bambino rappresenta l’unità lavorativa di un comparto estremamente vitale nel Paese. Soprattutto in una megalopoli come Il Cairo. La questione dello smaltimento dei rifiuti nella capitale egiziana è già stata argomento di un reportage in passato firmato da Marco Trovato, giornalista attento alle storie nascoste nei Paesi in via di sviluppo. Quello citato però non è uno studio economico.
Nell’affrontare il tema, la prima domanda che viene da farsi è sulle cifre. Come si fa a calcolare, anche in maniera approssimativa, le 5mila tonnellate di rifiuti prodotti ogni giorno dai 18 milioni di abitanti del Cairo, quando nessuno può effettivamente confermare che nella capitale egiziana vi abiti questa popolazione? Non è un caso che altre ricerche abbiano raddoppiato le stime. Sulla spazzatura cairota c’è una discreta bibliografia giornalistica, ma nessuno è ancora riuscito a fornire numeri precisi.
L’argomento rientra nel grande tema del sommerso che si sta seguendo su queste colonne. La produzione di rifiuti al Cairo non si può calcolare. Non ci sono né regole né società atte alla gestione del comparto. La città infatti non ha un’Ama, o un’Amsa oppure un’Amiat. O una qualsiasi municipalizzata del settore. Ha però i suoi bambini che portano ai genitori il raccolto di una giornata di lavoro. Raccolto che poi, in casa, è sottoposto a una cernita minuziosa per il riciclaggio e lo smaltimento. Il tutto fuori da regole o controlli fiscali. Ma, se le cifre sono attendibili: 5mila tonnellate quotidiane per 18 milioni di abitanti, potremmo dire che la capitale egiziana naviga su una montagna di rifiuti che potrebbero trasformarsi nella sua gallina d’oro. Non solo. È abitata da una manovalanza che dispone di una non comune competenza tecnica.
Facciamo però dei passi indietro. Di solito quando la statistica è approssimativa, i numeri andrebbero rivisti all’eccesso. Noi non possiamo confermare che i residenti del Cairo – quindi produttori di “rumenta” – siano 18 milioni. Chi conosce la città sa che sarebbe impossibile realizzare un censimento per esempio ad al-Qarafa, la città dei morti, il cimitero musulmano che abusivamente è abitato da n famiglie. Di conseguenza sono altrettanto passibili di revisione quelle tonnellate di immondizia prodotte. Cinque o diecimila che esse siano. O forse più.
D’altra parte una certezza la si può individuare in quei 320 euro stimati dai media, anch’essi esemplificativi, che sono ricavabili dal riciclaggio di una tonnellata di plastica. Plastica alla quale si aggiungono vetro, metalli – ovviamente riciclabili – e poi il cosiddetto compost, utilizzato come mangime per il bestiame. Poniamo il caso che delle 5mila tonnellate di rifiuti complessivi, anche solo un migliaio sia plastica. Vorrebbe dire 320mila euro di ricavi al giorno, quindi 117 milioni annui. Milioni che sfuggono totalmente al fisco. Ecco quindi che il nostro piccolo eroe dell’inizio della storia assume un ruolo fondamentale nella filiera produttiva di un comparto a tutti ignoto.
De Soto, plurinominato nelle precedenti puntate, potrebbe fare qualcosa. Insieme all’amministrazione urbana potrebbe cominciare a far luce su quanti siano gli addetti al comparto (bambino + asinello). In questo modo si arriverebbe a due risultati. Con una serie di conteggi, si potrebbe avere già un censimento della popolazione cairota. Male non farebbe. Ma soprattutto si potrebbe disciplinare, quindi far emergere, un’attività produttiva utile per l’economia nazionale. Insomma, l’Egitto potrebbe specializzarsi nel riciclaggio di rifiuti. Il know how c’è, anche se non segue gli standard più avanzati. Manca tutto il resto. Leggi igiene, sicurezza. Non è poca cosa. Ma va riconosciuto che il primo passo è stato fatto.
Ci sono solo due ostacoli. Il Cairo è senza sindaco da quasi un anno. Stessa situazione ad Alessandria, Mansoura, Tanta, Port Said e Luxor. Quindi, pur con tutta la sua buona volontà, con chi parla de Soto? Cosa ben peggiore è che al momento lo smaltimento dei rifiuti nella capitale è nelle mani dei copti. I cristiani d’Egitto, i bambini di cui sopra, si sono specializzati nel riciclo della spazzatura. Se ne può immaginare un profitto elevato, ma i cui calcoli non sono ancora iniziati. Anche perché non si sa nemmeno quanti siano i copti residenti al Cairo. Possiamo comunque solo immaginare la meticolosità dell’organizzazione. Se lo Stato intervenisse – e pare che lo stia già facendo grazie a delle consulenze con l’Italia e la Spagna – sarebbe minacciata la stabilità economica di una minoranza religiosa. I copti interpreterebbero l’ingerenza come una ripicca confessionale da parte della Fratellanza musulmana. E non basterebbe de Soto per convincerli del contrario.
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