Lo studio di lungo termine – discusso poi - mostra che la vulnerabilità dell'Italia è nelle scadenze prossime del debito e quello di breve termine – discusso poi - mostra come l'impatto del debito in scadenza - rinnovato a un costo maggiore anche in un contesto di crescita nulla - non fa esplodere il debito. Insomma, l'Italia è come un pugile che regge i colpi, ma non è ancora un pugile che attacchi. Questa è la ragione per la quale i mercati non si mettono l'”anima in pace”. Esiste uno spazio per operazioni al ribasso (: si guadagna vendendo i titoli presi a prestito per poi ricomprarli a un prezzo inferiore e riconsegnarli a chi li ha prestati) fintanto che non arrivano dei segnali espliciti dal mondo della politica e dalla Banca Centrale Europea volti a mostrare che si è intrapresa la strada del risanamento.
Lo studio della Commissione Europea (Public Finance in EMU, dicembre 2010) è la nostra fonte sul lungo termine. Si calcola la spesa pubblica legata all'invecchiamento della popolazione fino al 2060 a legislazione invariata (Tavola I.IV.1: Increase in age related expenditure as a percentage of GDP, pagina 68). Attualmente la spesa italiana per pensioni è pari al 14% del PIL. Nel 2060 sarà pari al 13,6% del PIL. La media dei paesi europei facenti parte dell'euro è pari oggi al 10,2% e crescerà fino al 12,5%. Attualmente la spesa italiana per curare gli anziani è pari al 5,9% del PIL. Nel 2060 sarà pari al 6,9% del PIL. La media dei paesi europei facenti parte dell'euro è pari oggi al 6,8% e crescerà fino al 8,2,%. Dunque a legislazione invariata non abbiamo una crescita maggiore della spesa rispetto a quella degli altri pur avendo una delle popolazioni più vecchie sia oggi che fra cinquanta anni. Lo studio calcola poi un indice di rischio (Tavola IV.III.1: List of indicators of budgetary risk, macrofinancial risk, and budget adjustment rigidity, pagina 221). La rischiosità dell'Italia è legata alla scadenza del debito pubblico nel prossimo futuro. Gli altri indicatori sono nella media.
Lo studio della Banca d'Italia (Rapporto sulla stabilità finanziaria, novembre 2011) simula gli effetti dello scenario peggiore nel breve termine (La dinamica del debito pubblico dell'Italia, pagina 14). Si suppone che vi sia un rialzo del 2,5% (duecentocinquanta punti base sopra il rendimento che si avrebbe in assenza di crisi) su tutta la curva dei rendimenti a partire dal 2012. Il debito è perciò rinnovato con un costo decisamente maggiore. Il deficit e il debito però non esplodono, perché i titoli che vanno in scadenza sono molti, ma non troppi. Questo forte rialzo del costo della raccolta si ripercuote sul bilancio dello stato. Si suppone anche che la crescita economica si annulli. La crescita nulla si ripercuote sul bilancio dello stato. Il risultato è che con lo scenario peggiore – fatti i conti - il rapporto fra il debito e il PIL resta invariato, ossia resta alto, ma non cresce.
Lo studio di lungo termine mostra che la vulnerabilità dell'Italia è nelle scadenze prossime del debito e quello di breve termine mostra come l'impatto del debito in scadenza - rinnovato a un costo maggiore anche in un contesto di crescita nulla - non fa esplodere il debito. Insomma, l'Italia è come un pugile che regge i colpi, ma non è ancora un pugile che attacchi. Questa è la ragione per la quale i mercati non si mettono l'”anima in pace”. Esiste uno spazio per operazioni al ribasso (: si guadagna vendendo i titoli presi a prestito per poi ricomprarli a un prezzo inferiore e riconsegnarli a chi li ha prestati) fintanto che non arrivano dei segnali espliciti dal mondo della politica volti a mostrare che si è intrapresa la strada del risanamento.
I temi alla fine sono due. La riforma delle pensioni e la crescita. La dinamica di lungo termine delle pensioni è – come abbiamo visto - sotto controllo, quella fuori controllo è la dinamica di medio termine - da qui al 2016 - con una spesa pensionistica che prima di vedere entrare a regime il contributivo crescerà di circa 30 miliardi di euro. Non è difficile immaginare che sulla riforma delle pensioni si possa creare un blocco difensivo della Lega e della Sinistra. Sulla crescita il discorso non è poi così diverso, perché si forma immediatamente un blocco a Sinistra. La liberalizzazione del mercato del lavoro nella prima fase crea, infatti, disoccupazione, perché evaporano i lavori poco produttivi. Poi il mercato del lavoro riprende. Il punto politico è quindi legato alla prima fase, quando i lavoratori meno produttivi sono espulsi (International Monetary Fund, Unemployment and labour market institutions: why reforms pay off, capitolo IV, I, 2003).
La decisione europea (Paul De Grauwe, The european central bank as a lender of last resort, Vox.eu, agosto 2011). I mercati pensano ancora che la Banca Centrale Europea non intenda impegnarsi nella stabilizzazione dei titoli di stato italiano. La Banca Centrale avrebbe, infatti, dovuto annunciare che intendeva dispiegare il proprio potenziale per acquistare i titoli di stato e che non avrebbe permesso che i prezzi delle obbligazioni scendessero al di sotto di un determinato livello. In questo modo avrebbe creato fiducia e gli investitori, consapevoli che la Banca centrale europea ha un enorme potenziale e che non avrebbe esitato a metterlo in campo, si sarebbero tenuti le le obbligazioni. E dunque, alla fine la Banca Centrale avrebbe comprato una quantità minore di obbligazioni. Ma perché la Bce non ha voluto adottare questa strategia di annunciare un impegno totale? L’idea – almeno fino Trichet - era che una Banca centrale non debba essere il prestatore di ultima istanza sui mercati dei titoli di stato all’interno di un’unione monetaria. Un'obiezione che incorpora un ragionamento importante (: l'azzardo morale, ossia l'incentivo per i governi a fare poco, perché agisce la banca centrale), e uno poco convincente (: il rischio di inflazione, che non c'è; la moneta creata dalla banca centrale per comprare il debito non entra, infatti, nel circuito economico reale).
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