«Non mi occupo più del mercato inglese, mi occupo dell’America e del Wall Street Journal». Forse questa è la dichiarazione più sincera che Rupert Murdoch ha rilasciato davanti alla commissione parlamentare britannica che indaga sullo scandalo delle intercettazioni illegali nei tabloid. Da tempo il boss di News Corp. preferisce passare il suo tempo a New York e influenzare la scena politica americana con il suo tabloid (il New York Post), con il suo giornale finanziario (il Wall Street Journal) e con la sua tv ammiraglia (la Fox News).

Ma proprio lì è in corso una rivolta: si sta aprendo il fronte invetigativo – Fbi e Congresso vogliono vederci chiaro, per motivi diversi, ma il risultato sperato è uno: ridurre lo strapotere murdocchiano – e ci sono tormenti all’interno del board.

Il punto, come è sottolineato dall’Economist con una copertina bellissima e un editoriale molto franco (1), è il futuro di Rupert all’interno del gruppo: lui sta diventando un problema. Si chiama, scrive il Financial Times (2), «Murdoch discount», una specie di tassa che riflette l’ansia dei mercati nei confronti del tycoon ottantenne.

Secondo l’analista di Nomura, Michael Nathanson, il gruppo può essere diviso in: «good News» (network, tv, tv a pagamento e Sky Italia); «bad News» (film, settimanali e libri); «toxic News» (i quotidiani). Per questo, secondo molti ci dovrebbero essere degli scorpori di alcune attività e una sostanziale ristrutturazione delle aree di business – lo scandalo in Inghilterra potrebbe essere il pretesto giusto – ma Murdoch è contrario. Vuole i suoi quotidiani (la famosa frase recita: «Se un giorno non ci sarà più la carta stampata, l’ultimo giornale a chiudere sarà uno dei miei») e vuole che si vada avanti compatti. Solo così, dice, si può avere quella potenza indispensabile per ottenere sempre maggiori risultati – vedi BSkyB: il gruppo ci proverà ancora a riprendersi questa tv satellitare, è strategicamente troppo importante.

Come ha raccontato Bloomberg (3), molti investitori del board di News Corp. non vogliono perdere quest’occasione per rimettere in ordine alcune cose: la successione (basta figli) e l’assetto in alcuni paesi (soprattutto l’Inghilterra). Ma se la ribellione è palpabile, è anche difficile che vada a buon fine: Murdoch ripete che non vuole lasciare e il secondo investitore più grande dopo i Murdoch, il principe saudita Alwaleed bin Talal, pare sostenere l’attuale regime (4). Sembrava avesse abbandonato i manager quando dichiarò di avere un alto senso etico e invocò trasversalmente le dimissioni di Rebekah Brooks. Ma ora pare di nuovo pronto a sostenere Murdoch (5).

(1) http://www.economist.com/node/18988526

(2) http://www.ft.com/intl/cms/s/0/877c4878-b3e1-11e0-8339-00144feabdc0.html

(3) http://www.bloomberg.com/news/2011-07-18/news-corp-said-to-consider-naming-chase-carey-as-ceo-suceeding-murdoch.html

(4) http://www.adweek.com/news/press/arab-warren-buffett-talk-murdoch-piers-morgan-133586

(5) http://blogs.forbes.com/kerryadolan/2011/07/20/news-corp-shareholder-prince-alwaleed-restates-support-for-murdochs/