La Banca Centrale degli Stati Uniti (FED) ha comprato con le operazioni dette di Quantitative Easing (QE) prima i titoli con in pancia i mutui ipotecari, poi i titoli del Tesoro, e poi ancora anche i titoli con in pancia le attività più diverse. Li ha comprati dalle banche commerciali, che li avevano, o che li compravano sul mercato per conto della Banca Centrale. In questo modo si è evitata una crisi maggiore, ma prima o poi i conti debbono tornare.

La FED, infatti, corre il rischio di finire per dover pagare una grande ammontare di interessi per remunerare le riserve delle banche commerciali. La Banca Centrale ha comprato i succitati titoli “creando riserve” presso se stessa a favore delle banche commerciali. Per ora siamo a 1,6 mila miliardi di dollari. Se però quest'anno continua a comprare obbligazioni, come dai suoi annunci, avrà altri 1,1 miliardi di dollari. Totale 2,5 mila miliardi di dollari. Oggi paga le riserve bancarie lo 0,25%. Facciamo che un giorno rialzi i tassi, ciò che prima o poi accadrà. Poniamo intorno al 2,0%. Il due per cento di duemilacinquecento sono cinquanta miliardi di dollari che andranno alle banche come interessi sulle riserve.

Una cifra colossale, superiore agli utili delle banche maggiori. Dopo essere state salvate, esse lucreranno ancora. Non è difficile immaginare la reazione, che i giornali anglosassoni etichettano come “populista”. Come altro denaro dato a questi signori? Oltre alle banche statunitensi abbiamo come titolari delle riserve anche alcune banche europee. Come altro denaro dato anche agli stranieri?

La Banca Centrale – si noti che essa rende al Tesoro le cedole che incassa, perciò il costo del debito pubblico per la parte assorbita dalla Banca Centrale è nullo – potrebbe vendere i titoli del Tesoro e così ridurre le riserve prima di alzare i tassi sulle riserve. In questo caso, però, incorrerebbe in perdite, perché i prezzi realizzati vendendo sarebbero probabilmente inferiori a quelli pagati in acquisto.

Oggi c'è chi sostiene che la correzione in corso nei mercati azionari tragga origine dal dubbio che la FED possa smettere con i QE. Ossia, che incominci a dar peso più ai costi che ai benefici.

Quali sono i benefici? Il Quantitative Easing alimenta la crescita economica? C’è chi lo pensa e chi no. Il cuore del problema è che il QE dovrebbe spingere i mercati finanziari a mutare i prezzi relativi. Gli investimenti delle famiglie e delle banche dovrebbero ridursi nelle attività che sono (supposte essere) a basso rischio, come le obbligazioni del Tesoro. Dovrebbero ridursi, perché i rendimenti – grazie al QE - sono scesi troppo e perciò si cercano dei rendimenti maggiori. Gli investimenti dovrebbero crescere nelle attività più rischiose, ma a maggior rendimento, come le obbligazioni emesse dalle imprese e le azioni. Anche gli impieghi delle banche si dovrebbero muovere dalle obbligazioni al credito alle famiglie e alle imprese. Le imprese, grazie al minor costo del capitale di rischio e del debito, dovrebbero, alla fine del processo, investire e assumere. Il QE è un modo nuovo per far crescere l’economia. Ma questo riguarda quella “reale”, attraverso la trasmissione degli impulsi dai mercati finanziari a quelli reali.

Se però le imprese non investono e non assumono abbastanza, come sta avvenendo, il QE non stimola la crescita economica. Piuttosto stimola le operazioni finanziarie, come sta avvenendo da tempo. E, infatti, è il timore che il QE finisca che spinge i mercati azionari all'ingiù, come sta accadendo. Uno dei meccanismi di trasmissione del QE verso i mercati finanziari, è stato quello di vendere i dollari per finanziare gli acquisti di azioni.