Come sono cambiati i valori dei CDS (Credit Default Swap = Costo della copertura dal Rischio di Fallimento) e dei Rating (Classificazione) dell’area euro dal 25 ottobre (vedi “Rating e CDS”, Lettera Economica (1)) al 5 dicembre? Ritorniamo su quel tema in quanto l’analisi della relazione tra queste due variabili ha prodotto qualche risultato interessante, in particolare l’anticipazione del declassamento del Belgio da parte di Standard & Poors (S&P) da AA+ a AA con prospettive (outlook) negative, valore di fatto coincidente con l’idea che ci eravamo fatti (da AA+ ad AA-). L’annuncio della rivisitazione da parte di S&P del debito di 15 paesi appartenenti all’eurozona suggerisce di verificare quale può essere non tanto la direzione, forse scontata, quanto l’intensità del fenomeno, meno scontata.
Prima di tutto notiamo che tra S&P e Moody’s c’è un grado di “cattiveria” diverso, la seconda essendo decisamente più aggressiva (il nostro è un tentativo di rating delle agenzie di rating). Ad esempio, l’Irlanda oggi è valutata Ba1 da Moody’s, valore che corrisponde a BB+ di S&P che, invece, la valuta BBB+, ben 3 punti in più!!!! In termini di spread e tassi questa differenza è un’infinità: infatti, per Moody’s l’Irlanda è spazzatura (junk bond) mentre per S&P no (ricordiamo che il confine tra spazzatura e non è BBB-). Stessa sorte per il Portogallo: Ba2 per Moody’s (spazzatura) e BBB- per S&P (affidabile).
Usciamo da questo garbuglio e vediamo cosa dicono gli spread sui CDS a 5 anni (scala verticale del grafico) confrontati con gli attuali rating di S&P (scala orizzontale del grafico). Premesso che la Grecia è l’unico paese ad avere subito un peggioramento dei valori rispetto ad ottobre, segnalando l’ipotesi dell’uscita dall’euro (ormai ci vogliono quasi € 8.000 per assicurare € 10.000 dal rischio di fallimento), si nota che la pattuglia dei “periferici” è aumentata con l’aggiunta del Belgio. Inoltre, gli spread attuali non mostrano alcuna aspettativa di riduzione del rating dei paesi con tripla A mentre sono più probabili le riduzioni di Portogallo, Irlanda e, in misura minore, Spagna e Belgio.
Lo scenario che sembra prospettarsi è il seguente: l’uscita della Grecia dall’euro e la contestuale eliminazione del coinvolgimento dei privati (leggi banche francesi e tedesche, come già ventilato). Il risanamento dell’Italia si scarica positivamente non solo sulla riduzione del rischio Italia, ma anche sulla percezione del rischio di Germania e Francia. Dove invece non si vedono ancora segnali incoraggianti è sull’altro spread (“Lo spread di cui non si parla”, Lettera Economica (2)), quello che misura la percezione del rischio di fallimento delle banche e che continua a mantenersi su livelli critici, nonostante l’evidente miglioramento del livello dei tassi dei titoli governativi.
Da questo punto di vista non aspettiamoci alcun segnale premonitore dalla “triplice” (le tre agenzie di rating), come l’esperienza ha ormai ampiamente dimostrato. Inoltre, la rigidità dello spread interbancario sembra dimostrare ancora una volta sia l’inadeguatezza dei criteri su cui si basano i test di solvibilità, sia la volontà politica di affrontare questo tema cruciale per la costruzione dei percorsi di crescita necessari per il rientro dei debiti pubblici. La confusione su questo tema è ancora grande ed alimentata da un flusso insufficiente di informazioni, ma resta il fatto che all’interno delle singole banche la percezione del rischio resta troppo elevata.
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