Come noto, nella fase acuta della crisi del debito italiano dello scorso 9 novembre il punto di maggiore attenzione da parte degli investitori ed analisti è stato, ed è ancora, il livello dei tassi raggiunto in quel particolare momento, associato al ragionamento che la massa imponente del debito italiano avrebbe generato una tale mole di interessi passivi da rendere insignificante qualunque manovra finanziaria. Possiamo fare qualche considerazione sulla struttura e sul costo.
Struttura
Vediamo meglio com’è la distribuzione del debito e del suo costo. Dei 1.900 miliardi di debito pubblico complessivo circa 1.600 sono composti da titoli emessi dallo Stato italiano mentre i 300 mld rimanenti sono emessi da enti locali e altre istituzioni (Cassa Depositi e Prestiti, enti previdenziali, Ferrovie dello Stato, ecc.). La parte preponderante dei titoli di Stato, oltre 2/3, è rappresentata dai Buoni Poliennali del Tesoro (BTP), a tasso fisso e indicizzati all’inflazione (BTPi), mentre il restante è rappresentato dai Buoni Ordinari del Tesoro (BOT), dai Certificati di Credito del Tesoro (CCT) a tasso variabile, dai Certificati del Tesoro Zero coupon (CTZ) e dai titoli esteri. Questa composizione si è radicalmente modificata negli ultimi vent’anni (quindi a partire dalla crisi del 1992) a favore del tasso fisso (dal 40% è passata al 70%) rispetto al tasso variabile (dal oltre il 60% si è ridotta a circa il 20%) con una vita media che è raddoppiata (da 3,5 a 7 anni). Quindi, abbiamo un debito con flussi di interessi non aleatori e con una scadenza media sufficientemente lunga da rendere pianificabile il suo rientro (una situazione quindi diversa molto dal 1992).
Costo
Il 9 novembre 2011, momento di massima crisi, tutta la curva dei tassi italiani era sopra il 7%. Quindi, se il debito fosse stato interamente rinnovato a quella data il suo onere avrebbe comportato un deciso peggioramento delle finanze pubbliche italiane. Ovviamente si tratta di un esercizio teorico, a maggiore ragione con una vita media di 7 anni e non di 1 giorno. Il 26 gennaio il tasso medio era sceso al 4,6% circa rispetto al 7% circa del 9 novembre 2011, con un calo di 250 punti base (ovvero 2,5%) negli ultimi 3 mesi, valore che ad oggi si è ulteriormente ridotto. E’ altrettanto interessante considerare il livello dei tassi della crisi di 20 anni fa quando, con livelli di debito pubblico in rapporto al prodotto interno lordo simili a quelli attuali, il costo di rifinanziamento era al 14% e scese sotto il 10% solo nel 1994. Quindi, al netto del problema di come sviluppare la crescita economica e del mantenimento del bilancio in pareggio grazie all’avanzo primario positivo (oggetto determinante della politica di governo attuale non solo italiana), le variabili per il percorso di rientro del debito oggi sembrano più sostenibili che nel passato.
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