Andrew Cuomo, governatore democratico dello stato di New York, ha tanta voglia di candidarsi alle presidenziali del 2016. Manca ancora tanto tempo, e il pettegolezzo politico è tutto concentrato su Hillary Clinton e sulle sue, di ambizioni. Ma Cuomo si porta avanti con i lavori, anche perché, a differenza dell’ex segretario di stato ed ex first lady, ha la possibilità di farsi notare con iniziative, leggi, progetti politici applicati alla realtà. L’obiettivo è mettere in piedi la sua rivoluzione liberal battendo il rivoluzionario liberal in chief, il presidente Barack Obama.

Obama continua a incontrare intoppi sulla sua strada, come dimostra la sconfitta al Senato sul progetto di legge per ridurre l’accesso alle armi (1) che infatti ha scatenato la furia del presidente. Cuomo invece scivola via veloce sulla riforma delle armi, come sui matrimoni gay, per non parlare del regolamento di conti dopo lo choc finanziario e il collasso di Wall Street.

Secondo il New York Magazine, Cuomo sta andando molto bene (2). Gode di grande popolarità, e soprattutto è parecchio bravo nei negoziati con i repubblicani, cosa che invece non si può dire del presidente Obama. Certamente a livello di stato è tutto più semplice, e lo è ancora di più in quel paradiso liberal che è New York. Ma questo non basta a spiegare l’arte di Cuomo che ha affinato l’arte della trattativa a una scuola parecchio florida, come è stata quella clintoniana. Pesa semmai sulla sicurezza e l’autostima del governatore l’ingombrante papà, Mario, che ancora tutti ricordano come “l’unico Cuomo”, nonostante non sia mai riuscito ad arrivare a contendersi la Casa Bianca con un repubblicano (nel 1991 ci arrivò, a quella corsa, proprio Bill Clinton, per il quale Andrew andò a lavorare: i complessi di Edipo si sprecano, tra il padre naturale e quello politico).

Quel che Andrew non si perdona è di non avere l’arte oratoria del padre: ci scherza su, minimizza, ma chi lo conosce ripete che il governatore vorrebbe non doversi schermare dietro a questa falsa ironia, vorrebbe saper parlare così. Ma dopo la scorpacciata di straordinaria retorica che ci ha fatto fare Obama, forse ora gli americani hanno voglia di maggiore concretezza (soltanto in Italia si continua a citare il presidente come se avesse ancora un tocco magico, come se le sue parole avessero davvero cambiato il mondo, come se buona parte delle promesse non fosse evaporata lasciando una leadership molto meno scintillante).

E sulla concretezza Cuomo va molto forte. In un bell’articolo pubblicato sul magazine New Republic, si spiega che il governatore non è ideologico, vive di compromessi, ma è molto efficace. La differenza tra Mario e Andrew è stata sintetizzata così: “Mario è napoletano al 100 per cento, quindi per natura è un filosofo. Andrew per metà è siciliano... e questo significa che con le buone o con le cattive riesce comunque a fare le cose”. Il paragone con l’Italia a noi suona un po’ vago, visto che “fare le cose” non è esattamente una fotografia credibile del nostro paese, ma rende bene l’idea dell’arte di Andrew. Che sarebbe una “rottura” nei confronti dell’attuale presidenza, ma che non è affatto detto che sia decisiva. Perché anche Hillary è fatta di questa pasta, pure se non ha nulla di siciliano.

 

(1) http://www.nytimes.com/2013/04/19/us/politics/passing-2-measures-senate-winds-down-gun-debate.html?hp&_r=0

(2) http://nymag.com/news/features/andrew-cuomo-2013-4/

(3) http://www.newrepublic.com/article/112891/andrew-cuomos-two-dads-mario-cuomo-and-bill-clinton