Molti sono contenti che il piano di salvataggio del Tesoro statunitense sia stato accolto con favore dai mercati azionari. Il punto non è se finalmente prevale l’«ottimismo» di alcuni contro il «pessimismo» di altri, questi sono solo degli stati d’animo, non dei ragionamenti.


La diagnosi che porta all’«ottimismo»: i prezzi delle obbligazioni con in pancia i mutui, che sono nel bilancio delle banche, non sono noti. Possono essere alti o bassi. Si sa solo che possono valere molto poco, altrimenti la crisi non ci sarebbe. Nessuna banca vuole quindi registrare le perdite. Nemmeno può far finta di niente. Se, infatti, un giorno le perdite fossero registrate, le banche dovrebbero svalutare il patrimonio netto e quindi ridurre il credito. Intanto che tengono le obbligazioni «tossiche» al prezzo d’acquisto, le banche non prestano denaro all’economia. Segue l’idea che, se si tolgono queste obbligazioni «tossiche» dal bilancio delle banche, l’economia riparte. Il piano Geithner incentiva i privati a comprare una parte delle obbligazioni tossiche delle banche con i denari pubblici. Il piano conta di attivare un’ondata di fiducia da parte dei privati che alzi il prezzo anche delle obbligazioni tossiche che restano nei bilanci delle banche. Il piano, infatti, non compra tutte le obbligazioni tossiche, ma una parte.
 
La diagnosi che porta al «pessimismo»: è implicito nel ragionamento esposto sopra che la crisi delle banche sia di liquidità, non di solvenza. È implicito anche che il credito è domandato, ma non offerto. Ossia, se le banche risolvono i loro problemi di liquidità, tornano a erogare i crediti che l’economia domanda. Se le cose sono messe in questo modo, allora siamo alla fine della crisi. È chiamato «ottimista» chi lo pensa, ma quel che conta non è il suo stato d’animo, ma la diagnosi. Se, invece, le cose non sono messe così, allora la crisi non è finita. Ossia, uno che pensa che la crisi sia di solvenza e che l’economia non chiederà più credito come una volta, è chiamato «pessimista», ma, di nuovo, questo è un problema diagnostico, non psicologico.
 
I punti cruciali sono allora: 1) illiquido o insolvente? e 2) la domanda di credito è costante?
 
Per chiarire: uno è solvente se è in grado di pagare nel corso del tempo i propri debiti. Può però essere in crisi di liquidità, ossia non in grado di pagare il debito che va in scadenza, nonostante sia «sano». In questo caso lo si finanzia e la crisi termina. Un operatore è insolvente se non è in grado di pagare il debito in scadenza, anche immaginandolo in grado di vendere tutte le altre attività. In questo caso non basta finanziarlo per un tempo limitato. La domanda di credito può mantenersi costante, nonostante le famiglie statunitensi stiano aumentando i risparmi per ridurre il debito cumulato negli ultimi anni, se, tornando la fiducia, le famiglie medesime smettono di ridurre il debito e il sistema centrato sul debito riparte.  

Ognuno scelga la propria diagnosi, relativamente agli Stati Uniti: A) una crisi di liquidità con domanda di credito costante, B) una crisi di insolvenza con domanda di credito decrescente, C) una crisi di liquidità con domanda di credito decrescente, D) una crisi di solvibilità con domanda di credito costante. Come si vede, non è semplice capire che cosa sta succedendo. Noi pensiamo che le combinazioni B) oppure C) siano le più probabili. 
  

I mercati che cosa pensano? Dipende dall’arco temporale. I prezzi delle azioni bancarie, che ultimamente sono saliti moltissimo, sono a un terzo del livello che registravano ai tempi in cui venne annunciato il primo piano di salvataggio, quello del predecessore di Geithner, Paulson. I prezzi delle obbligazioni emesse dalle banche ultimamente sono addirittura flessi.