Il cambio del rublo dipende dal saldo commerciale con l'estero da una parte, e dai movimenti dei capitali (verso o dall'estero) dall'altra. Il saldo commerciale dipende dall'andamento del prezzo (e dai volumi esportati) delle materie prime energetiche, mentre i movimenti dei capitali dipendono dalla "certezza del diritto". Il rublo forte si ha con un prezzo del petrolio e del gas molto elevato (e con i volumi esportati in espansione) – ciò che porta in forte avanzo la bilancia commerciale - e con la riduzione del timore che la ricchezza possa essere confiscata, per cui non conviene averla all'estero – ciò che frena la fuoriuscita di capitali. Il rublo debole è ovviamente il frutto della combinazione opposta: un prezzo del petrolio e del gas basso (e volumi esportati stabili o in contrazione) e con l'accresciuto timore che la ricchezza possa essere confiscata, per cui conviene averla all'estero.

Come si spiega la relazione fra prezzo del petrolio e del gas, certezza del diritto, e cambio del rublo? Un sistema consensuale come quello russo - basato sugli introiti energetici e basse imposte - può funzionare se la popolazione è scarsa e i lavori manuali vengono svolti da immigrati senza diritti. Ma la Russia non è un Emirato. Non può optare per il modello dell’emirato, e neppure per quello cinese. Nel primo caso la popolazione è troppo numerosa, e, comunque, la grande ambizione lo impedisce. Nel secondo, manca un apparato industriale distribuito in molti settori, e che cresca col contributo degli investimenti esteri. Il bilancio dello stato russo dipende perciò dagli introiti energetici in misura significativa. Si ricevono più servizi di quante imposte si paghino, perché la differenza è bilanciata dagli introiti energetici. Se il prezzo del petrolio e del gas (e i volumi) non salgono molto, alla lunga o si riducono i servizi oppure si alzano le imposte. Può perciò venire la tentazione di "confiscare i beni" per guadagnare il consenso.

Il cambio del rublo è stato stabile dopo la grende crisi del 1998 finchè era ancorato ad un paniere di dollari e euro, poi, con rinuncia al cambio semi-fisso e la scelta quello fluttuante, si è avuta una svalutazione, e da allora – ossia dal 2009 - il cambio oscilla, ma senza una vera direzione. Per immaginare il cambio futuro – vero quanto affermato fin qui – dobbiamo immaginare l'andamento delle nostre due variabili, ossia le materie prime e la "certezza del diritto".

Il Ministro dell’Economia Andrey Belousov ha, infatti, dichiarato che la riduzione globale della domanda di petrolio e l'arrivo dello shale gas portano “nel migliore dei casi la crescita a zero, nel peggiore portano l’economia in campo negativo”. L'opzione di bilanciare la caduta dei prezzi con una maggiore offerta - un aumento dell’estrazione di petrolio è – sempre secondo Belousov - “irrealistico”, perché i nuovi giacimenti della Siberia Orientale possono solo compensare l’esaurimento dei vecchi giacimenti. Il rallentamento della crescita del PIL sarà perciò marcato, dal 7% ante crisi verso il 2%. Il rispetto degli impegni di spesa pubblica è possibile solo con una crescita del 4-4,5%. Ecco che emerge la possibilità di una minore certezza del diritto per ottenere consenso e quindi la maggiore probabilità di una “fuga dei capitali”. Intanto che Belousov faceva queste dichiarazioni, la Banca Centrale della Russia ha pubblicato uno studio che mostra un avanzo della bilancia dei pagamenti correnti in contrazione: in surplus da 80 miliardi di dollari nel 2012 fino a 25 miliardi nel 2013, per poi passare a 9 miliardi di deficit nel 2015. La loro previsione si basa su un prezzo del barile appena superiore ai cento dollari nel 2015.

Attenzione che lo scenario qui delineato porta ad un rublo debole, non a un crack. La Russia registrò un disavanzo della bilancia dei pagamenti nel 1997, e nel 1998 il rublo collassò. Oggi la Russia ha delle riserve enormi pari a 500 miliardi di dollari contro i 20 della fine degli anni novanta, e non ha più il cambio fisso. Il crack valutario si produce, infatti, quando si ha il cambio fisso con poche riserve, mentre il disavanzo con l'estero aumenta. Per tenere il cambio fisso in presenza di un domanda crescente di valuta estera, la banca centrale usa le riserve, ossia vende valuta estera. Ma se non si vede una soluzione immediata, ecco che sorge la tentazione di indebitarsi in valuta locale per poi venderla, contando di rendere il debito usando meno valuta estera di quanta se ne era comprata. Se la banca centrale non ha abbastanza riserve per tenere il cambio, si ha il crack.