Il "soffitto di cristallo" può rendere difficile per le donne raggiungere l'apice di un'occupazione, specialmente in campo scientifico
Ursula von der Leyen presidente della Commissione Europea, Christine Lagarde al posto di Mario Draghi alla BCE: si tratta di eccezioni o di una nuova regola di parità tra i sessi? Pensiamo che, per il momento, prevalga la prima ipotesi: e argomenteremo sulla base di un esempio: i settori cosiddetti STEM, (che sta per Science Technology Engineering and Mathematics), pressoché universalmente considerati di estrema importanza per l'espansione non solo delle economie nazionali ma anche dell’economia globale e delle società umane nelle loro diverse forme, che vedono le donne fortemente sottorappresentate.
Rispetto alla loro percentuale nella popolazione, le donne non solo hanno meno probabilità di avere una laurea in materie scientifiche o ingegneria ma hanno anche una minore probabilità di essere impiegate come scienziate o ingegneri. Per quanto concerne il mondo accademico, è stato dimostrato che le donne sono sottorappresentate a tutti i livelli: rispetto ai loro colleghi uomini le accademiche hanno sia un’inferiore probabilità di essere invitate a prender parte ai comitati scientifici di carattere consultivo sia un minor numero di cattedre; a tal proposito si prenda come esempio il caso degli Stati Uniti dove solalmente il 21 per cento delle cattedre in discipline scientifiche e il 5 per cento delle cattedre in ingegneria sono “rosa”. Nel complesso, le donne rappresentano dunque una minoranza dei ricercatori del mondo.
Nonostante la crescente domanda di statistiche comparabili a livello internazionale sulle donne nella scienza, i dati nazionali conrontabili tra loro sono molto pochi e il loro uso nel processo decisionale per la progettazione di politiche volte a ridurre questo gap rimane spesso limitato. Se si considerano i ricercatori in ambiti STEM impiegati full-time, ossia a tempo pieno, donde la sigla FTE (Full-time Equivalent) nei paesi Europei, la percentuale di donne sfiora la soglia del 50 per cento per cento solo in paesi relativamente giovani, come Bulgaria, Lettonia, Moldavia e Serbia mentre è al di sotto del 30 per cento in Francia, Germania e Paesi Bassi (Figura 1).
Anche per quanto concerne invece nazioni extra europee (Figura 2), la percentuale di donne ricercatrici FTE ha raggiunto un livello considerevole ed è tutt’ora in crescita in particolare in paesi che possono essere considerati periferici, come Guatemala e Tunisia. Una situazione analoga si registra se si considera il numero di ricercatori scientifici HC (Headcount) che comprende quelli impiegati part-time (Figura 2 e Figura 3)
Se ci si focalizza sui dati italiani, viceversa (Figura 4), si può notare come nonostante la percentuale di ricercatrici donna stia lentamente ma progressivamente crescendo a partire dal 1998, nel 2015, dopo 17 anni, sia stata raggiunta solamente la soglia del 35 per cento.
In aggiunta, se si considerano i dati a disposizione relativi al numero di ricercatori sia FTE sia HC in Europa, si può notare che il gap tra percentuale di ricercatori e ricercatrici nel 2015 è particolarmente ampio anche in Austria, Svezia, Finlandia e Danimarca (Figura 5 e Figura 6).
Il dibattito sulla sottorappresentazione delle donne nei campi STEM può inoltre essere collegato al dibattito sulla sottorappresentazione delle donne nei consigli di amministrazione. Se si analizzano i dati relativi alla frazione di donne nei consigli di amministrazione delle imprese nei settori STEM e non STEM è possibile notare che in media le aziende STEM hanno un 1,8 per cento in meno di donne nei board direttivi rispetto alle aziende non STEM. Rispetto alla media campionaria pari al 7,56 percento, ciò rappresenta un consistente gap di leadership economicamente significativo nei settori STEM. Le donne sono dunque sottorappresentate nei consigli di amministrazione sia nell’ambito delle risorse naturali, dell’estrazione e della produzione, sia dei settori legati alle attività finanziarie.
Sono numerose le possibili ragioni proposte per spiegare il numero relativamente basso di donne nei campi STEM (Figura 7) e queste possono essere suddivise nelle due principali categorie delle spiegazioni sociali e delle spiegazioni psicologiche. Non si tratta dunque di DNA bensì di cultura, basti pensare che ben il 97 per cento dei Premi Nobel scientifici è stato finora assegnato a uomini.
Indubbiamente le discriminazioni, sia palesi sia occulte, subite dalle donne nei campi STEM portano a un minor numero di donne in questo settore (Figura 8). Negli anni '80, i ricercatori hanno dimostrato un pregiudizio valutativo generale nei confronti delle donne. A una facoltà di scienze, per esempio, era stato inviato il materiale di uno studente che stava facendo domanda per un posto di direttore di laboratorio presso la loro università. I materiali erano gli stessi per ogni partecipante, ma a ciascuna domanda veniva assegnato in modo casuale un nome maschile o femminile. I ricercatori hanno scoperto che i membri della facoltà hanno valutato i candidati maschi come più competenti e più favorevoli rispetto al candidato femminile, nonostante le domande fossero identiche.
Dagli anni ’80 ad oggi purtroppo non è cambiato molto, poichè gli stereotipi sono ancora straordinariamente forti e marcati. Un'indagine condotta da OpinionWay nel 2015 in Italia e in altri quattro paesi europei, ha fatto emergere che solo il 10 per cento degli intervistati ritiene che le donne abbiano particolari attitudini per la scienza mentre ben il 67 per cento è convinto che non abbiano le capacità necessarie per una carriera scientifica di alto livello. Nel nostro paese il pregiudizio è superiore alla media europea ed è pari al 70 per cento del campione. Secondo l’opinione della maggioranza degli intervistati le donne sono più portate per le le scienze sociali (38 per cento), per la comunicazione (20 per cento), per le lingue (13 per cento e per l'arte (8 per cento). Le scienze vengono alla fine (10 per cento) seguite da management e politica (5 per cento).
Il cosiddetto “soffitto di cristallo” la barriera apparentemente trasparente e invisibile della carriera scientifica femminile è creato soprattutto da resistenze culturali ed è a scuola che si manifestano le prime discriminazioni. Il "gender gap" inizia proprio durante l'adolescenza: solo il 35 per cento delle donne si è sentita incoraggiata a fare studi scientifici, il 9 per cento ha avuto invece segnali negativi al riguardo. Nelle discipline STEM, il sostegno e l'incoraggiamento di un mentore può fare una grande differenza nella decisione di continuare o meno a perseguire una carriera in tale ambito. Questo si rivela essere vero in particolare per le persone più giovani che possono affrontare molti ostacoli all’inizio delle loro carriere e che, per tale ragione, guardano a coloro che hanno esperienza nel loro settore per ricevere aiuto e consigli.
Stando all’opinione comune, accade spesso che gli individui di un particolare genere siano considerati più adatti a particolari carriere o aree di studio rispetto a quelli dell'altro sesso. Sebbene le donne che entrano tradizionalmente nelle professioni maschili affrontino stereotipi negativi che suggeriscono che non sono donne "vere", questi stereotipi non sembrano scoraggiare le donne nella stessa misura in cui simili stereotipi possono dissuadere gli uomini dal perseguire professioni non tradizionali.
Anche se gli uomini nelle occupazioni dominate dalle donne possono fare i conti con stereotipi negativi sulla loro virilità, talvolta possono anche trarne certi benefici. Nel 1992 fu suggerito che le donne nelle occupazioni dominate dagli uomini tendevano a colpire un soffitto di cristallo; mentre gli uomini nelle occupazioni dominate dalle donne possono salire su una sorta di "scala mobile di cristallo". Mentre il soffitto di cristallo può rendere difficile per le donne raggiungere l'apice di un'occupazione, la "scala mobile di cristallo" consente agli uomini di eccellere in una professione dominata dalle donne.
Un’altra possibile motivazione volta a giustificare parzialmente la sottorappresentazione femminile nell’ambito delle STEM è quello che viene comunemente definito l’effetto “Ape regina”, effetto che spiega come le donne di successo nelle carriere tradizionalmente dominate dagli uomini non considerano il loro successo come la prova che gli stereotipi negativi sulle capacità quantitative e analitiche delle donne siano sbagliati, ma piuttosto come prova che loro stesse sono personalmente eccezioni alla regola. Non è pertanto impensabile che tali donne potrebbero effettivamente svolgere un ruolo attivo nel perpetuare, piuttosto che nell’abolire, questi stereotipi negativi. A questo proposito uno studio del 2004 ha rilevato che mentre gli studenti di dottorato in diverse discipline non mostravano differenze di genere nell'impegno lavorativo o nella soddisfazione lavorativa, i docenti della stessa università ritenevano che le studentesse fossero meno impegnate nel lavoro rispetto agli studenti maschi. Ciò che si è rivelato particolarmente sorprendente è che queste opinioni erano fortemente sostenute da membri di facoltà femminili anzichè dai membri di facoltà maschili.
Se da un lato la presenza di donne ai vertici può rappresentare un ostacolo all’ingresso per altre concorrenti dello stesso sesso, dall’altro ha un evidente effetto positivo di tipo motivazionale. In una ricerca Microsoft condotta su 12 paesi europei, tra cui l’Italia, è emerso quanto sia fondamentale per le ragazze prendere delle donne a modello nelle STEM. In presenza di un role model, infatti, le ragazze non solo si interessano maggiormente ai contenuti di queste discipline ma dimostrano anche più passione negli argomenti trattati e determinazione nel cercare di intraprendere una carriera in questi ambiti.
Oltre alla logica dei role model è però importante ricordare che è necessario cambiare mentalità e aprire i propri orizzonti abbandonando i vecchi pregiudizi, al fine di raggiungere l’obiettivo di inclusione e di riduzione del gender gap nel settore delle STEM così come in quello della politica e del business.
Come afferma Anne-Marie Slaughter, avvocatessa e politologa statunitense,“È l'ambiente di lavoro a dover cambiare, non le donne”.
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