Hanno tra i 15 e i 34 anni; non studiano, non lavorano e non frequentano corsi di formazione. É questo l’identikit dei NEET, acronimo per Not in Employment, Education and Training
Hanno tra i 15 e i 34 anni; non studiano, non lavorano e non frequentano corsi di formazione. É questo l’identikit dei NEET, acronimo per Not in Employment, Education and Training; una fascia della popolazione o, più precisamente, una percentuale di giovani, che si collocano al di fuori sia del mercato del lavoro sia del settore educativo-formativo.
Quello dei NEET, termine coniato per la prima volta nel 1999 in Gran Bretagna dalla Social Exclusion Unit (l’equivalente inglese dell’organo italiano della Commissione di Indagine sull’Esclusione Sociale), si rivela inoltre essere un importante e completo indicatore di riferimento sulla condizione delle nuove generazioni: nel computo del numero totale vengono infatti considerati non solo i giovani disoccupati ma anche quelli “inattivi”, ovvero sia coloro che sono impegnati nella ricerca di un lavoro sia i giovani scoraggiati che hanno smesso di cercarlo.
I nuovi dati Eurostat vedono il nostro Paese primeggiare nella classifica europea: Macedonia, Italia e Grecia si riconfermano maglia nera del 2017. Situazione molto diversa rispetto a quella di Austria, Paesi Bassi e Svezia dove la già bassa percentuale di NEET registra un ulteriore calo (in Svezia scende fino al 6,9%, circa un quinto del dato macedone).
Nella Figura 1 sono rappresentate le percentuali di NEET per paese europeo nel 2017. Dal grafico è possibile notare come i paesi in cui si registrano i valori più alti sono quelli mediterranei, seguiti dalle nazioni dell’est che tuttavia non si discostano eccessivamente dalla media europea (14,7%) e, al di sotto di tale benchmark, si collochino i paesi del nord europa.
Ciò che sembra accomunare tutti i paesi presi in esame è invece la distribuzione di NEET per genere: la percentuale di donne è infatti nettamente superiore rispetto a quella degli uomini e, talvolta, come in Polonia, Repubblica Slovacca e Romania, diventa addirittura il doppio (Figura 2). Dal momento che, stando ai dati Eurostat, le donne sono in media più istruite degli uomini, ad incidere significativamente sulle percentuali di donne NEET è la difficoltà che queste ultime possono incontrare nel trovare un posto di lavoro, specialmente a causa di pregiudizi di genere.
Si è già precedentemente fatto cenno all’elevata percentuale di NEET in Italia, ora è tempo di approfondire la situazione del nostro paese indagandone le dinamiche interne (Figura 3).
Più della metà dei NEET presenti nel nostro territorio proviene dalle regioni del Sud Italia (oltre il 60%); sebbene la percentuale del Nord sia nettamente inferiore, attorno al 30%, la quota minore di NEET si registra nelle regioni del Centro (circa 15%), vedasi Figura 4. È plausibile pensare che il dato del Mezzogiorno sia influenzato dal fenomeno del lavoro in nero lì particolarmente radicato: i giovani che lavorano in nero sfuggono infatti alle rilevazioni statistiche e pertanto, pur lavorando, vengono identificati come NEET.
Quello che i numeri non ci dicono sono tuttavia le motivazioni che hanno spinto questi giovani a lasciare gli studi e a smettere di cercare lavoro. Quali sono i fattori che li hanno condotti verso una situazione statica di inattività? Le difficoltà strutturali del mercato del lavoro italiano possono essere additate come le cause principali del problema?
La popolazione dei NEET è molto eterogenea e variegata, ma con problematiche simili. In aggiunta ai lavoratori in nero sopracitati, categoria che consideriamo a sé stante poiché hanno un “impiego”; vi sono i demotivati, coloro che in possesso di un diploma non sono riusciti a trovare subito un lavoro e demoralizzatisi hanno smesso di cercarlo; e infine vi sono i laureati che posseggono competenze ritenute obsolete dalle imprese.
Il rischio concreto è che la situazione di questi giovani si trasformi nel tempo in disoccupazione strutturale, con onerose conseguenze sul sistema degli ammortizzatori sociali.
Se si analizza la quota dei NEET suddivisa per genere si può notare come il quadro italiano sia tristemente in linea con quello europeo (Figura 5): anche da noi la percentuale di donne è in media superiore dell’8% rispetto a quella degli uomini.
Un ulteriore effetto negativo dell’alto tasso di disoccupazione degli under 34 è che, come documentato da molti studi, entrare tardi nel mondo del lavoro porta conseguenze negative non solo sulle carriere professionali dei singoli e sulla loro retribuzione ma anche sulle loro scelte familiari; senza contare che influenza inoltre negativamente il loro rapporto con le istituzioni e contribuisce a sviluppare un atteggiamento di difesa verso il cambiamento.
Uno dei fattori chiave che può parzialmente spiegare l’eccedenza di NEET in Italia rispetto alla situazione degli altri paesi europei è l’inefficienza dell’intero percorso di transizione scuola-lavoro: è infatti evidente l’assenza di strumenti efficaci per supportare i giovani ed orientarli durante la ricerca di un lavoro, strumenti che li seguano e li sostengano nel passaggio tra le due delicate fasi di fine del percorso scolastico e di ingresso nel mondo del lavoro.
Al termine del ciclo di studi, la maggior parte dei giovani si trova sprovvista di competenze ed esperienze adeguate alle richieste delle aziende e, pertanto, il rischio concreto è che molti non trovino un lavoro compatibile con la propria formazione e le proprie aspettative e che quindi o smettano di cercarlo o vadano all’estero.
Secondo i dati del “Rapporto Giovani 2018” dell’Istituto Toniolo, sebbene gli under 34 italiani esprimano un giudizio generale favorevole sulla scuola nostrana, sono tuttavia concordi nell’affermare che questa non reca in concreto nessun beneficio significativo né per trovare lavoro di qualità né per capire come funziona il mercato del lavoro. Questi due aspetti dovrebbero essere quindi senza ombra di dubbio potenziati al fine di rafforzare il percorso di transizione scuola-lavoro.
Al fine di garantire l’efficacia e il successo di tale transizione, si rivela fondamentale il ruolo delle politiche attive per espandere la domanda di lavoro e, contemporaneamente, migliorare i canali di incontro tra domanda e offerta.
Dal 2014 l’Italia sta beneficiando dei fondi del Piano Garanzia Giovani, finanziato dall’Unione Europea, con il solo scopo di “riattivare” i NEET attraverso investimenti in politiche attive volte all’orientamento, all’istruzione, alla formazione e all’inserimento al lavoro. L’obiettivo di queste politiche deve dunque essere quello di attrezzare i giovani a fronteggiare sia il mercato del lavoro odierno sia il cambiamento così da renderli capaci di cogliere le opportunità di un mondo del lavoro fluido, sempre in movimento.
Sprecare il grande capitale umano rappresentato dalle nuove generazioni potrebbe rivelarsi fatale in termini di prospettive di crescita e di sviluppo del nostro Paese. Per questa ragione il leitmotiv delle politiche attive che verranno attuate per fronteggiare la situazione deve essere la valorizzazione del talento e delle energie dei giovani, attraverso miglioramenti della qualità dell’offerta formativa in termini di life skills e opportunità di tirocini, così da favorire e incoraggiare una ricerca attiva nel mercato del lavoro.
Unicamente attraverso l’impegno congiunto di scuole, atenei e imprese sarà possibile offrire ai giovani una formazione specialistica ed orientata al futuro così da evitare una situazione di cronicizzazione della disoccupazione degli under 34. La valorizzazione del capitale umano inizia proprio dai banchi di scuola.
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