La lotta dei rider contro la precarietà è un segno dei tempi e il suo significato va al di là degli interessi della categoria

Il 4 giugno 2018 Luigi di Maio, non appena insediatosi quale Ministro dello sviluppo economico e del lavoro, ha invitato per un colloquio alcuni giovani riders bolognesi, protoganisti nel raggiungimento di un importante risultato.
Il 31 Maggio, infatti, il sindacato auto-organizzato dei riders (RUB), i sindacati UIL, FIOM, CISL, il comune di Bologna e le piattaforme del cibo SGNAM e MYMENU sottoscrivevano la “Carta dei diritti dei lavoratori digitali” (Figura 1), con l’obiettivo esplicito di “migliorare le condizioni di lavoro dei lavoratori e collaboratori digitali operanti nel Comune di Bologna“ attraverso l’introduzione di una serie di standard minimi che riguardano:

-il dovere della piattaforma di informare preventivamente il lavoratore in merito alle condizioni di lavoro (tipo di contratto, durata periodo di prova, retribuzioni, etc.) e ad alcuni aspetti caratteristici delle piattaforme, come per esempio i meccanismi di costruzione del rating reputazionale;
-il diritto dei lavoratori ad una retribuzione oraria fissa equa e dignitosa e comunque non inferiore ai minimi tabellari previsti dai contratti nazionali più prossimi ai riders in termini di prestazioni;
-l’indennità in caso di lavoro notturno, festivo o in condizioni metereologiche difficoltose, il diritto di rifiutare di svolgere il lavoro nel caso in cui le condizioni metereologiche costituiscano un pericolo per l’incolumità del lavoratore .
-il divieto di discriminazione e l’ obbligo di formulare in maniera scritta l’eventuale recesso dalla piattaforma;
-la disponibilità gratuita del kit di sicurezza necessario allo svolgimento del lavoro ed il rimborso per le spese di manutenzione funzionali all’attività lavorativa;
-la tutela dei dati personali e il diritto di informazione in merito all’esistenza di dati personali, alle modalità e alle finalità di utilizzo, il diritto di opporsi al loro utilizzo per fini di controllo;
-il diritto di formare un’organizzazione sindacale, di riunirsi fuori e durante l’orario di lavoro.
Infine, viene sancito il diritto a scioperare per un fine comune.
La carta, frutto di numerosi momenti di mobilitazione (Figura 2), dovrà essere recepita all’interno di accordi aziendali, ma per il momento, come ci spiega Nicola Quondamatteo, giovane rider a Bologna, le due piattaforme (ora fuse in una) non hanno ancora dato attuazione ai principi della Carta.

 

 

Da una lettura attenta, emergono però quelli che sono i meccanismi di controllo e sfruttamento possibili in assenza di una specifica regolamentazione.
Come analizzato approfonditamente dall’ILO , è necessario guardare alla distribuzione di potere tra lavoratori e imprenditori (e tra lavoratori e consumatori) per identificare le condizioni che rendono possibile lo sfruttamento ed il perseguimento esclusivo degli obiettivi di profitto (e ampliamento delle quote di mercato) della piattaforma (Figura 3 e Figura 4).
Se da una parte sembra ridursi l’asimmetria informativa tra lavoratore e consumatore, aumenta l’asimmetria tra lavoratore e piattaforma in maniera funzionale agli obiettivi di quest’ultima. Per esempio, un tassista Uber è costretto ad accettare una corsa senza conoscere i dettagli sulla destinazione e non è quindi libero di organizzare il suo tempo. In questo modo però Uber ha la garanzia che qualsiasi corsa verrà presa in carico, riducendo così il rischio che il consumatore si rivolga ad una piattaforma rivale. Un’altra forma di asimmetria informativa si verifica per esempio quando al guidatore viene consigliato un percorso sub-ottimale rispetto a quello classico, al fine di testare una nuova strada e raccogliere, ad insaputa del driver, dati utili (condizione della strada, traffico medio).

Allo stesso tempo, i rischi sono anch’essi distributi in maniera sbilanciata. Poche sono le assicurazioni in caso di incidente mentre, in caso di litigio con il consumatore, la piattaforma tende a difendere l’interesse del cliente piuttosto che proteggere il lavoratore, considerato infatti come autonomo e non come dipendente (il tema è controverso. Da una parte la sentenza inglese nel novembre 2017 sul caso Uber che riconosce i guidatori come “workers” a metà tra lavoratori subordinati e autonomi, dall’altra le due sentenze del Tribunale di Parigi -Gennaio 2018- sugli autisti Uber e del Tribunale di Torino -Maggio 2018- sui riders Foodora, che negano la natura subordinata del rapporto di lavoro). Inoltre, in molte piattaforme che impiegano lavoratori con basse qualifiche, il grado di sostituibilità è estremamente alto (Figura 5). Ciò induce meccanismi di maggiore sfruttamento che conducono spesso allo svolgimento di prestazioni senza retribuzione, come nel caso in cui una data prestazione è oggetto di una gara (tutti eseguono il lavoro ma solo il vincitore viene pagato), quando il cliente non è soddisfatto del risultato (es. Amazon Mechanical Turk), oppure nel caso in cui viene richiesto di essere particolarmente gentili ed accondiscendenti con il cliente (emotional labour).
Esistono inoltre modelli di management che, tramite l’utilizzo della tecnologia, permettono di esercitare un controllo e una sorveglianza costante sull’intensità della prestazione lavorativa, fino a contare il numero di click del mouse o il numero di chiamate fatte in orario di lavoro. Inoltre, l’organizzazione è tale da restringere fortemente la libertà di scelta. Per esempio, nel caso di Deliveroo, i riders devono rispondere ad un ordine in 30 secondi ignorandone le caratteristiche. Solo una volta raccolto il cibo al ristorante, il rider saprà la destinazione ma, qualora rifiutasse di effettuare la consegna, il suo diniego verrà registrato direttamente con effetto negativo sulla sua reputazione.
Inoltre, una forma di controllo più implicita ma anche più pervasiva avviene attraverso una ricca raccolta di dati per ciascun lavoratore sul tasso di accettazione/cancellazione, sul livello di reputazione e sul numero di scambi giornalieri andati a buon fine.

Queste informazioni vengono infatti utilizzare per costruire delle metriche e dei feedback il cui scopo è quello di aumentare la “liquidità del mercato”. Di nuovo, queste dinamiche sono tanto più accentuate quanto più basso è il valore aggiunto della prestazione. Molte piattaforme definiscono delle soglie minime al di sotto delle quali il lavoratore rischia di essere “disattivato”. Ciò induce dunque ad assumere comportamenti che rispondono agli incentivi posti dalla piattaforma a svantaggio però del lavoratore, come nel caso di Uber, prendere delle corse prima di averne conclusa una o accettare il prezzo variabile di ora in ora deciso dalla piattaforma. Inoltre, la costruzione del sistema reputazionale rappresenta a sua volta un dispositivo capace di aumentare lo sfruttamento del lavoratore che, una volta raggiunto un buon rating, avrà più difficoltà a cambiare piattaforma, a causa del tempo e del lavoro necessario per raggiungere un rating simile altrove. Inoltre la piattaforma spesso non favorisce la formazione di alcun network per i lavoratori, impedendone così una possibile interazione sociale ed eventuale organizzazione collettiva. Ciò aumenta l’asimmetria informativa tra lavoratori e piattaforma, impedisce lo scambio di idee e rende più difficoltoso discutere di problemi o cambiamenti in atto.
Proprio l’incontro e la possibilità di parlare della propria esperienza di lavoro è un passo fondamentale per poter costruire un’identità collettiva.
Come ci ha raccontanto Nicola, la RUB è nata grazie alla volontà di alcuni ragazzi di creare qualcosa che andasse contro l’individualismo della prestazione lavorativa e anche grazie al supporto di alcune realtà già attive sul territorio come il circolo Arci RitmoLento e il centro sociale TPO. Importante è stata anche la creazione di alcuni strumenti mutualistici di base, come la messa a disposizione di qualche bici di riserva e la disponibilità di persone “solidali” che hanno offerto le loro competenze ed il loro tempo per aiutare i giovani riders, facendo riparazioni di base oppure distribuendo volantini per propagandare la ciclo-officina.

L’obiettivo dei riders oggi è chiaro: ottenere una legge nazionale che riconosca la natura subordinata del rapporto di lavoro: questo secondo Nicola è l’unico modo per scardinare un modello di business che è tutto a svantaggio dei lavoratori. Nel mentre la categoria, come già previsto, è stata inquadrata in modo articolato nel contratto nazionale di lavoro della logistica, trasporti merci e spedizioni. Un prossimo incontro con il governo dovrebbe esserci a fine luglio. Intanto, i riders rafforzano le relazioni con altri gruppi attivi a livello europeo e a fine ottobre ci sarà una grande assemblea a Bruxelles.
Potremmo chiederci come mai ci sia così tanto interesse per una categoria di lavoratori che rappresenta una frazione piccola del totale della forza lavoro occupata. E’ Nicola a darci una risposta netta: “ i rider sono oggi il simbolo della precarietà , in cui si identificano tutti i giovani e i lavoratori costretti a lavorare in condizioni ingiuste e senza diritti, per questo la nostra lotta è un segno dei tempi e il suo significato va ben al di là della nostra categoria.”