La diffusione a macchia d'olio dei velivoli privi di pilota sta creando un mercato molto promettente ma solleva questioni tuttora irrisolte.

Cos'avranno in comune le aviazioni militari e, in parte, gli eserciti e le marine di un numero sempre maggiore di Paesi nel prossimo futuro? Per i pianificatori militari e gli stati maggiori la risposta è univoca e sicura: gli aerei da combattimento realizzati a partire dal prossimo decennio saranno in gran parte privi di pilota.

L'assenza dell'uomo a bordo dei principali sistemi d'arma fa sì che essi possano essere teleguidati da operatori posti anche a decine di migliaia di chilometri dal luogo d'impiego (come accade già da oltre un decennio). Oppure, per metterli al sicuro da ogni rischio d'interferenze o, addirittura, di dirottamento (nel dicembre 2007 un esemplare del RQ-170 Sentinel, il più avanzato ricognitore Usa, all'epoca ancora in fase sperimentale, destinato a sostituire i celeberrimi aerei-spia U-2, fu fatto atterrare indenne in Iran dall'esercito khomeinista, che s'impadronì così di tecnologie avanzatissime), possano recare a bordo sistemi di controllo con capacità sempre più ampie di prendere decisioni autonome: voli pre-pianificati e con software in grado di riprogrammare continuamente la missione in base alla situazione esterna percepita, adottando nuovi percorsi di volo in funzione delle minacce individuate o cambiando obiettivi e bersagli durante il percorso..

Tutto ciò prefigura, di fatto, la possibilità di una sorta di futura guerra tra macchine nei più delicati teatri geo-politici mondiali. Aprendo il terreno a problematiche sempre più spinose e a questioni tuttora irrisolte per le delicatissime implicazioni politico-giuridiche che ne derivano.
Si può decidere, anche a migliaia di chilometri di distanza, di aprire il fuoco o bombardare un obiettivo (Figura 1)?

Chi è il responsabile, morale ma anche giuridico, di un'uccisione "remota" che può coinvolgere civili innocenti (Figura 2) o dei danni inferti a beni o infrastrutture a volte costosissime? Oppure, sotto il profilo etico, che reale autonomia attribuire a questa sorta di Robocop armati? Qual è la soglia invalicabile in fatto di "licenza di uccidere"? Chi risponde di vittime e danni da essi causati? Quesiti sulla cui soluzione ci si accapiglierà, con buona probabilità senza soluzioni condivise, per numerosi decenni a venire. Ciò che appare comunque verosimile è un preoccupante abbassamento della soglia d'impiego di tali mezzi, se non è più a rischio la vita (o la cattura) di equipaggi nazionali, ma solo (si fa per dire…) quella di nemici veri o potenziali.

Per restare ad aspetti a noi più vicini e concreti, sia sul piano temporale sia su quello economico-industriale, la tendenza sempre più spinta a ricorrere agli UCAV (Unmanned aerial combat vehicle, più comunemente conosciuti come droni) si spiega in gran pare per i molti vantaggi-chiave che offre l'eliminazione dell'uomo a bordo di un aereo: si risparmia il peso suo e degli apparati necessari a proteggerne la vita e l'azione (seggiolino eiettabile, paracadute e kit di sopravvivenza marini e terrestri, ossigeno, tutti gli apparati di presentazione visiva dei dati di volo) e, quindi, si possono ridurre le dimensioni del velivolo, che diventa più facilmente stealth (furtivo).

Oppure si può aumentare il carico utile in modo corrispondente. Inoltre le prestazioni possono essere spinte a livelli altrimenti impensabili, sia per l'autonomia (due giorni di volo sono una durata ormai consueta e, per alcuni velivoli da ricognizione, le 60/70 ore consecutive, consumi permettendo, sono in vista, valori del tutto impensabili con un equipaggio a bordo), sia per le prestazioni (già ora gli Ucav possono effettuare, senza difficoltà tecniche, accelerazioni da 10-12 g, valore che indica lo stress cui è sottoposto il corpo di piloti e astronauti, consentendo virate finora impossibili nel dogfight, il combattimento aereo ravvicinato, mentre il corpo umano sopporta livelli non superiori a 7g). Risparmiando, sempre e comunque, largamente sui costi di costruzione e gestione.

L'assenza del pilota elimina, come accennato, il pericolo di prigionie politicamente rischiose in caso di abbattimento, consentendo quindi un uso più disinvolto e "spendibile" dei velivoli: molti ricorderanno il forte disagio dell'opinione pubblica e del governo italiani quando il maggiore Gianmarco Bellini e il capitano Maurizio Cocciolone furono catturati in Iraq dal regime di Saddam Hussein nel gennaio 1991, durante la prima guerra del Golfo.

Inoltre, questi aerei possono effettuare missioni molto delicate: è possibile colpire con precisione obiettivi puntuali (sono ormai routine le eliminazioni di terroristi, o presunti tali, che da oltre un decennio Stati Uniti e Israele effettuano a distanze anche considerevoli dai loro territori). Oppure sorvegliare in permanenza e furtivamente obiettivi sensibili in Paesi ostili, monitorando attività inconfessabili e pericolose, come quelle svolte nel centro di ricerche atomiche siriano di al-Kibar, poi distrutto da un attacco aereo israeliano nel settembre 2007, evitando così l'intervento di forze militari terrestri, spesso politicamente troppo delicato ed economicamente ben più oneroso.

La possibilità di sfruttare questi numerosi vantaggi ha scatenato un'autentica gara alla costruzione o all'acquisto di Ucav: sono ormai oltre una dozzina i Paesi (Figura 3) in grado di realizzare aerei militari senza pilota in circa 60 tipologie differenti, addirittura oltre un migliaio quelle civili o cosiddette "duali", con finalità miste civili e/o militari, a seconda della missione assegnata.Grazie alla relativa semplicità costruttiva - legata soprattutto al fatto che non occorre riportare alla base il pilota sano e salvo e che le tecnologie di controllo remoto e di visione dettagliata a distanza, largamente mature, sono ormai un patrimonio diffuso - in questo novero sono entrati Paesi pressoché privi di tradizioni aeronautiche come Iran, Turchia, India, Pakistan e Taiwan, che hanno seguito le orme di Usa e Israele (i precursori), Cina, Russia e diversi europei, tra cui l'Italia. Ma ancor più sorprendente è il fatto che ben 87 Paesi ne siano dotati (erano 73 appena un paio di anni fa), dal Botswana alla Georgia, dal Messico al Perù e alle Filippine, metà dei quali possiede modelli in grado di portare carichi bellici (Figura 4), secondo quanto sostiene Peter W. Singer, direttore del "Center for 21st Century Security and Intelligence" alla Brookings Institution e uno dei maggiori esperti mondiali del settore.

La diffusione a macchia d'olio di questi velivoli sta creando perciò un mercato molto promettente: secondo stime prudenziali del Pentagono, il fatturato dovrebbe salire da una decina circa di miliardi di dollari del 2014 ai 18 miliardi della metà del prossimo decennio e ai 25 circa di metà del terzo decennio (Figura 5). La Nato ritiene che nel 2035 metà del suo parco-velivoli (6.000 aerei) sarà costituito da Ucav: ciò significa che tra qualche anno si costruiranno quasi soltanto aerei militari non pilotati.

Questo tipo di velivoli sta inoltre per produrre una rivoluzione tanto radicale quanto silenziosa anche in campo navale, con gli Stati Uniti anche qui in veste di precursori: dalle attuali possenti portaerei nucleari essi passeranno alle "porta-Ucav", assai più piccole, "furtive", spendibili e meno costose sia da costruire (per la Gerald Ford, prototipo in allestimento dell'ultima serie "tradizionale", si stima di spendere 13-14 miliardi di dollari) sia da gestire. Il velivolo su cui si baseranno è già in fase di avanzato collaudo: si tratta dell' X-47B Pegasus, di cui la marina americana conta di acquistare molte decine di esemplari a partire dal 2017, per renderli operativi dal 2019, a un costo compreso tra 38 e 75 milioni di dollari l'uno. L'X-47B, un programma finanziato con 1,4 miliardi di dollari in otto anni dalla DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency), l'agenzia del Pentagono per lo sviluppo di nuove tecnologie militari, avrà il vantaggio cruciale di disporre di un raggio di azione quasi doppio di quello del discusso aereo F-35 C (versione navale con pilota a bordo che forse sarà pronta per fine decennio) a un costo tra 2 e 3 volte inferiore.Inoltre la sua autonomia, considerata la possibilità di rifornimento in volo, sarà pressoché illimitata. E la capacità di carico bellico, dalla attuali 2 tonnellate, raddoppierà a 4,5 tonnellate nella versione "C", già in sviluppo (valore che non sfigura rispetto alle 8,1 tonnellate attribuite al F-35C). L'importanza attribuita a questo progetto è tale che il Wall Street Journal, per solennizzare il primo volo effettuato partendo dalla portaerei Bush, il 15 maggio 2013, ha parafrasato la celebre frase di Neil Armstrong il giorno del suo sbarco sulla Luna, definendolo "un piccolo passo per un drone, un grande balzo per i voli senza pilota".

In questo contesto spicca il ritardo dell'Europa. Malgrado un accordo a tre tra Airbus Defence and Space, Dassault Aviation e Alenia Aermacchi, del gruppo Finmeccanica, raggiunto al Salone di Le Bourget nel 2013 per il programma MALE 2020, del valore di 1 miliardo di euro, in grado di sostituire i rivali Usa Predator e Reaper, finora  i Paesi europei sono andati avanti in ordine sparso, pur realizzando prototipi notevolmente avanzati come il francese Dassault nEUROn , tanto da divenire "colonie" per i prodotti israeliani e soprattutto statunitensi: sono infatti americani i Predator venduti a Italia (12 velivoli), Gran Bretagna (10), Francia (7) e recentemente Olanda (4).

L'industria italiana, nel suo piccolo, è molto attiva nel settore: Alenia Aermacchi ha realizzato i dimostratori tecnologici Sky X e Sky Y, Piaggio Aero ha presentato di recente il P-180 Hammer Head che ha riscosso molto interesse nel Golfo Persico, mentre Selex ES produce da anni il più piccolo Falco, venduto al Pakistan e a un Paese del Medio Oriente non specificato, che l'Onu impiega in appoggio ai "caschi blu" schierati in Congo.

Va infine citata quella che, dal punto di vista tecnologico, è forse la "punta di diamante" del settore: quella dei veicoli spaziali non pilotati per uso militare, il cui prototipo
X-37 B, una sorta di shuttle in miniatura (lungo 9 metri e del peso di 5 tonnellate, viene inviato nello spazio nell'ogiva di un missile e ritorna alla base pilotato da terra), compie da 8 anni voli regolari, nel più assoluto segreto, per durate ormai dell'ordine di un anno e mezzo: oggi è felicemente in orbita una missione iniziata il 13 dicembre 2012.