La necessità di riforme del sistema penale italiano è un nervo scoperto da troppo tempo. Il Governo Meloni, al momento della sua formazione, ha affidato a Carlo Nordio il Ministero della Giustizia. Le credenziali di Nordio rappresentavano, sulla carta, una garanzia per un possibile disegno complessivo di riforma.

Carlo Nordio è un ex pubblico ministero, apprezzato per il rispetto che ha sempre assicurato, nonostante l’incarico di accusatore, alle garanzie degli indagati. Smessa la toga, si era sempre prodigato, come commentatore, come conferenziere e come editorialista, nel difendere e promuovere i caratteri essenziali di un diritto penale liberale.

Ma non solo, Nordio aveva presieduto l’ennesima Commissione ministeriale di riforma del Codice penale. I risultati, come quelli raggiunti da un altro predecessore, Giuliano Pisapia, erano sicuramente incoraggianti. Il progetto di nuovo Codice penale sarebbe stato un evidente passo in avanti rispetto a quello ancora in vigore che era stato emanato nel 1930, in pieno periodo fascista, e che era, e resta, fortemente indebitato con la cultura autoritaria di quel regime repressivo delle libertà individuali. Lo stesso Codice del 1930, il Codice Rocco in nome del Ministro del tempo, aveva infatti rimpiazzato il precedente codice penale dell’Italia post-unitaria, il Codice Zanardelli, che era invece un codice di chiara impronta liberale.

Una delle caratteristiche che maggiormente distingue il Codice Rocco è la severità delle pene previste unita a una descrizione delle fattispecie che si caratterizza per una tendenza all’espansione delle condotte penalmente sanzionate. La definizione della condotta, infatti, tende a lasciare un significativo spazio interpretativo che si accompagna quindi alla possibilità di una evidente stretta repressiva. Purtroppo, però, i migliori progetti di riforma tendono a restare nei cassetti di qualche ministero a prendere la polvere, e così è stato sia del lavoro condotto da Giuliano Pisapia, sia di quello guidato da Carlo Nordio.

Al Codice penale Rocco si affiancava, in una visione sistematica complessiva, un Codice di procedura penale, emanato nello stesso anno, di chiara impronta inquisitoria, con un forte squilibrio tra accusa e difesa, in favore della pubblica accusa.
Nel corso del regime repubblicano, e seguendo i nuovi principi della Carta costituzionale del 1948, ispirata a valori democratici, si era attivata una ridefinizione, in chiave interpretativa, delle norme del codice penale maggiormente in contrasto con il mutato sentimento culturale e politico dell’Italia democratica. In questo sforzo un ruolo primario va riconosciuto alla Corte costituzionale, la quale ha dichiarato il contrasto con la costituzione di molte norme incriminatrici del Codice Rocco.
Nel 1988, poi, venne approvato ed entrò in vigore il nuovo Codice di Procedura penale, il Codice Vassalli, dal nome dell’allora Ministro della Giustizia, che ribaltava il modello processuale inquisitorio – incompatibile con i principi liberali – e introduceva un processo accusatorio, cercando la propria ispirazione nei modelli adversarial in voga negli ordinamenti anglo-americani.

Tornando a Carlo Nordio, fare il Ministro della Giustizia impone ovviamente un onere maggiore rispetto a quello di commentatore o di esperto della materia. Si deve passare dalle proclamazioni di principio, dagli articoli perfetti e condivisibili, alla capacità di promuovere un disegno ampio di riforma e, soprattutto, trovare il consenso politico per realizzare tali progetti.

Alfredo Rocco - Fonte: Wikipedia

L’inizio non è stato coerente con le premesse liberali.

Appena insediato, sulla scia di un fatto di cronaca – l’organizzazione di un rave party – il Ministro ha contribuito a tipizzare e sanzionare un nuovo reato – il rave party, appunto – operazione della cui utilità si è subito dubitato.

Questo è un altro tratto tipico della legislazione italiana in materia penale: in un sistema che certo non fa difetto di norme sanzionatorie, si inserisce sempre un qualche nuovo reato sull’onda emotiva di qualche fatto di cronaca. La tristemente nota funzione simbolico espressiva di cui parla il giurista Giovanni Fiandaca. Si tratta, di solito, di norme fortemente ideologiche, di scarsa utilità pratica. Servono solo a chi le emana per affermare un qualche profilo identitario e per fare la cosa peggiore in materia di legislazione, soprattutto penale: rispondere agli umori dell’opinione pubblica.

Sulla stessa scia, poi, venne un altro intervento normativo, l’introduzione del reato universale che sanziona la gestazione per altri. Reato universale perché lo stato italiano, secondo la prospettiva del legislatore, dovrebbe contrastare tale pratica anche se realizzata al di fuori del confine nazionale e quindi anche se realizzata in sistemi giuridici che la ammettono. A prescindere dall’opinione circa tale pratica, non si tratta evidentemente di un approccio liberale.
E ancora, lo stesso Ministro ha favorito l’emanazione di un pacchetto di norme volte ad inasprire le condotte di resistenza a pubblico ufficiale: se c’è un profilo, come si è visto, che non manca nel sistema penale è quello della severità delle sanzioni penali.
Veniamo alla cronaca più recente. Il governo ha approvato il 15 giugno 2023 un disegno di legge (cosiddetto ddl Nordio, approvato in prima lettura al Senato il 13 febbraio scorso, ora all’esame della Camera) che interviene su alcuni profili sia di diritto sia di procedura penale.

Sul piano sostanziale, viene abrogato il reato di abuso d’ufficio. Si tratta di una fattispecie travagliata, oggetto nel passato di interventi che hanno cercato di meglio definire i contenuti della condotta sanzionata. Secondo i promotori della abrogazione, tale ipotesi di reato è troppo generica nella definizione, con il rischio di produrre come unico effetto il timore da parte del pubblico ufficiale di assumere le decisioni di propria competenza. Inoltre, tale norma si dimostrerebbe priva di reale contenuto sanzionatorio viste anche le scarse sentenze di condanna che si registrano (solo 18 condanne nell’anno 2021 a fronte di oltre 4700 contestazioni). Infatti, il più delle volte l’abuso di ufficio veniva contestato assieme ad altri reati: corruzione, concussione.

Secondo i critici dell’abolizione, però, l’esiguità delle condanne non sarebbe in grado di esprimere la generale funzione di prevenzione attuata da tale previsione di reato. Inoltre, la semplice abrogazione non sarà risolutiva, anche in ragione degli obblighi derivanti dalla partecipazione dell’Italia all’Unione europea: una previsione simile è presente in tutti gli ordinamenti europei, tanto che i promotori della abrogazione riconoscono che in futuro non è escluso un intervento additivo. Non necessariamente, infatti, le condotte prima sanzionate dall’abuso d’ufficio saranno coperte dagli altri reati concorrenti.

Più utile, invece, la riforma relativa ad alcuni aspetti procedurali. In primo luogo, per l’emanazione di misure cautelari è prevista ora la competenza di un giudice non più monocratico ma collegiale, questo per consentire una maggiore ponderazione prima dell’emanazione di provvedimenti fortemente limitativi della libertà dell’indagato.

È stata poi introdotta una stretta – che ha suscitato molto clamore – sulla divulgazione di una particolare categoria di atti di indagine, le intercettazioni telefoniche. Chi critica tale stretta sostiene che si tratterebbe di una ingiusta limitazione del diritto di informazione dell’opinione pubblica. La critica, però, non colpisce nel segno.

Le intercettazioni sono appunto atti di indagine, cioè vengono effettuate – correttamente – a insaputa dell’intercettato. E avvengono durante la fase iniziale del procedimento penale, che non è ancora il “processo”. Il processo, infatti, nella tradizione accusatoria e non inquisitoria, è il momento pubblico per eccellenza. Anzi: l’unico momento pubblico, che però nulla ha a che vedere con il concetto di democrazia. Dove esiste la giuria come giudice del fatto, i giurati sono isolati dall’opinione pubblica per tutta la durata del loro incarico, proprio perché non ne subiscano gli umori. E ancora, le indagini, e i risultati delle stesse, sono atto di una parte, l’accusa, mentre il processo per essere tale presuppone che l’accusato vi partecipi con le proprie difese. Il processo postula il contraddittorio delle parti, altrimenti non è processo. Se il processo è dibattimentale – diversi riti alternativi, infatti, vengono definiti a porte chiuse – chiunque, anche i cronisti, può assistervi, ascoltare le testimonianze e osservare la formazione della prova, tale solo se assunta in contraddittorio. Non esiste lesione del processo nel limitare la diffusione delle intercettazioni. Si limita invece la formazione di un pregiudizio, che è farsi un’idea senza aver ascoltato la posizione dell’accusato. Altrimenti lo strumento più “democratico” diventa il linciaggio. Appunto, quel che si vorrebbe evitare.

Queste ultime misure paiono essere maggiormente coerenti con una impostazione rispettosa dei principi liberali del sistema penale.

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Il vero banco di prova delle capacità di riforma nel sistema penale sarà rappresentato dalla annunciata, e però sempre rimandata, modifica costituzionale relativa alla separazione delle carriere tra Giudici e Pubblici Ministeri. Nel sistema processuale accusatorio, infatti, l’accusa e la difesa devono essere poste su un autentico piano di parità processuale. L’ordinamento giudiziario italiano, invece, resta improntato all’organizzazione frutto del vecchio modello processuale inquisitorio. Tale tratto deve essere superato.

Per perseguire questo obiettivo, però, è necessaria una riforma della Costituzione, che richiede un iter di approvazione rafforzato e complesso e, soprattutto, richiede coesione politica circa gli obiettivi perseguiti. Ed è questo il punto: il favore da parte delle forze politiche presenti in parlamento verso una tale impostazione liberale è sicuramente minoritario. Riuscirà il Ministro Nordio a vincere tale pregiudizio negativo? Sarà in grado di realizzare le proposte che sosteneva da commentatore?
L’arte politica è assai più complessa: alla propria personale opinione va affiancata la capacità di persuasione. Questa la sfida del Ministro. Staremo a vedere.