Il decreto sul superbonus varato dal Governo, e sostenuto con convinzione dal ministro Giancarlo Giorgetti, ha disinnescato una mina che rischiava di portare l’Italia alla deriva nella navigazione europea. Il blocco della cessione dei crediti, che il Governo di Mario Draghi era riuscito solo in parte ad attuare, ora è diventato totale e definitivo e chiude le porta ad una pratica che lo stesso ministro ha definito “scellerata”.

Un pericolo per i conti pubblici

Draghi aveva più volte sottolineato la pericolosità del superbonus per i conti pubblici, ma non era riuscito a porre dei limiti sostanziali data l’opposizione del 5 Stelle che rappresentavano un sostegno essenziale al suo governo di larghe intese. E non sorprende ora che i 5 Stelle, emarginati politicamente e ridimensionati elettoralmente, rimangano i più fieri sostenitori di una misura che nel giugno scorso avevo giudicato su Mondo Economico, forse esagerando un po’, la legge peggiore della storia repubblicana.

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Nessun Paese ha varato incentivi così alti

Risulta ora sempre più evidente come la finalità nascosta della legge, varata dal primo governo (quello giallo-verde) di Giuseppe Conte fosse non tanto il risanamento energetico o il rilancio del settore edilizio. Per questi sarebbero bastati incentivi parziali come quelli che hanno deliberato tutti i paesi europei, incentivi legati al reddito e con uno stanziamento ben preciso secondo le compatibilità dei bilanci.

L’Italia non ha seguito questa strada: ha varato un bonus non solo senza limiti di spesa, ma con un premio del 10% a chi lo avrebbe utilizzato e soprattutto lasciando via libera alla cessione anche più volte dei crediti fiscali così ottenuti.

Una moneta parallela fuori dai controlli

La giustificazione ufficiale era quella di rendere possibile far utilizzare l’incentivo anche agli incapienti, cioè ai cittadini-contribuenti che avendo un reddito basso o nullo non avrebbero potuto utilizzare i crediti nella propria dichiarazione dei redditi.

L’effetto reale è stato quello di creare una circolazione monetaria parallela, al di fuori del controllo dello Stato o della Banca centrale.

In pratica si è sviluppata una moneta alternativa a quella ufficiale cercando così di forzare i vincoli di bilancio e le garanzie sottoscritte negli accordi che hanno dato vita alla moneta unica.

Il credito d’imposta, nominalmente della durata di cinque anni, non può infatti venire contabilizzato come costo solo alla scadenza, ma deve essere considerato una creazione di liquidità immediata nella misura in cui è liberamente negoziabile. Se la cessione del credito è libera questo è infatti definito “pagabile”.

I rilievi di Eurostat

E come ha ricordato Luca Ascoli, direttore statistiche finanza pubblica di Eurostat, in audizione il 14 febbraio in Commissione Finanze e Tesoro del Senato: «Nel caso in cui il credito fiscale è definito pagabile, l’impatto si ha nel momento in cui si svolge l’attività che fa nascere il credito (lavoro edile); nel caso in cui il credito fiscale è definito non pagabile, l’impatto sarà costituito dalle mancate entrate fiscali future (per il superbonus 5 anni)».

Ecco quindi che i limiti alla cessione dei crediti decisi dal Governo sono diventati indispensabili perché il peso dei cento miliardi già mobilitati per il superbonus non gravi immediatamente sul bilancio bloccando la possibilità di qualunque altra spesa.

Un’improvvida nostalgia per la lira

Arrivati a questo punto diventa chiara la logica che ha guidato la volontà e l’ostinazione dei 5 Stelle nel varare e difendere i superbonus: dare una spallata alla moneta unica europea in coerenza con le campagne “No euro” che avevano contrassegnato la nascita e le prime mosse del movimento. Il superbonus doveva diventare il cavallo di Troia per rompere le regole monetarie europee per tornare agli anni delle svalutazioni competitive e di una lira cenerentola tra le monete. Un’improvvida nostalgia del passato.