È stata fortemente voluta dai Cinque Stelle, in particolare dall’allora premier Giuseppe Conte sostenuto dal ministro per lo Sviluppo economico Stefano Patuanelli. È stata accettata, senza approfondire troppo il tema, dal Partito democratico, preoccupato soprattutto della stabilità del Governo impegnato sul fronte dell’emergenza pandemia.
Parliamo del Decreto Rilancio del maggio del 2020 in cui è contenuto il bonus del 110% con il duplice obbiettivo di sostenere l’attività edilizia e di attuare misure nell’ottica del risparmio energetico e del risanamento ambientale. La legge prevedeva il finanziamento completo da parte dello Stato, più un ulteriore regalo del 10%, dei costi che i privati avrebbero sostenuto per migliorare l’efficienza energetica delle proprie abitazioni. Un’agevolazione attuata attraverso un credito di imposta che si aggiungeva ad altri bonus edilizi, come quelli che riguardavano le facciate (in questo caso con una copertura del 90%), le ristrutturazioni semplici, i mobili, l’eliminazione delle barriere architettoniche.
Buoni propositi che tuttavia hanno dimostrato alla prova dei fatti tutta la loro fragilità. Tanto che per ben tre volte il Governo è dovuto intervenire con successivi provvedimenti per bloccare le speculazioni, per porre limiti e procedure più rigide, per evitare il ripetersi di quella che l’attuale ministro dell’Economia, Daniele Franco, ha definito “una delle più grandi truffe che la Repubblica abbia mai visto”.
Sono almeno otto i punti deboli di queste misure: 1) il rischio di reati finanziari; 2) la scarsa efficacia delle misure previste; 3) l’esiguità dei risultati rispetto alle somme spese; 4) la spinta al lavoro nero e alle aziende “mordi e fuggi”; 5) il carattere regressivo dalla norma fiscale; 6) il peso particolarmente elevato sui conti pubblici; unito alla complessità dei meccanismi di cessione del credito; 7) la crescita “drogata” dell’attività edilizia; 8) l’esplosione dei costi. Esaminiamoli punto per punto.
- Le porte aperte ai reati finanziari
Secondo il rapporto presentato a febbraio dall’Agenzia delle entrate e dalla Guardia di finanza sui bonus edilizi sono emersi illeciti con frodi per 4,4 miliardi e sequestri per 2,3 miliardi di euro. La fantasia del malaffare ha avuto buon gioco nelle maglie larghe della legge: fatture false, lavori mai eseguiti, richieste di cessioni di crediti inesistenti. Uno Stato che paga “a piè di lista” è un’attrazione troppo forte per chi ritiene che la furbizia sia la caratteristica fondamentale del buon cittadino.
- La scarsa efficacia delle misure
Uno studio di Legambiente sottolinea che il riscaldamento domestico oggi può puntare su tecnologie a emissioni zero e su fonti rinnovabili, ma ecobonus e sussidi spingono ancora impianti alimentati da combustibili fossili. Non vengono infatti prese in considerazione “le alternative ai sistemi centralizzati alimentati a gas e gasolio, che nel nostro Paese caratterizzano soprattutto i grandi agglomerati urbani, e che esistono già e sono altamente competitive”. È ancora Legambiente ad affermare che “sussidi e incentivi che dovrebbero spingere la transizione verso sistemi più efficienti e a emissioni zero, come purtroppo non avviene, e che si rivelano invece privi di senso in un Paese impegnato nella decarbonizzazione, rappresentando un danno per il clima e rallentando gli investimenti nelle tecnologie pulite”.
- L’esiguità dei risultati rispetto alle spese
Il superbonus è già costato alle casse dello Stato più di 30 miliardi. Questi soldi sono serviti per migliorare l’efficienza energetica dell’1% del patrimonio immobiliare. Dato che i consumi degli edifici residenziali è circa il 30% del totale dei consumi di energia e dato che la migliore efficienza energetica (rappresentata dal guadagno di due classi nell’Ape, l’Attestato di prestazione energetica) si traduce in media in una minore spesa per riscaldamento e condizionamento tra il 20 e il 30%, ecco che con 30 miliardi si è ottenuto un risparmio irrisorio (valutabile tra lo 0,1 e lo 0,2%) con effetti modesti anche sul fronte delle emissioni nocive da fonti fossili.
- La spinta al lavoro nero e alle imprese “mordi e fuggi”
La possibilità di eseguire lavori (teoricamente) a costo zero per i proprietari ha inevitabilmente fatto esplodere la domanda sul mercato, anche per i limiti di tempo imposti per l’esecuzione dei lavori. Negli ultimi due anni 30mila nuove imprese edili, in gran parte con uno o due dipendenti, si sono iscritte alle Camere di commercio per partecipare al grande banchetto. La Campania guida la classifica delle Regione con maggior crescita, seguita dal Lazio, dalla Sicilia e dalla Sardegna. Una netta prevalenza del Sud rispetto al Nord. Una situazione che ha portato con sé il ricorso al lavoro nero, all’applicazione approssimativa delle regole per la sicurezza, alla possibile apertura alle infiltrazioni malavitose. Solo nell’ultimo provvedimento correttivo è stato previsto che i grandi lavori siano riservati alle imprese certificate per partecipare agli appalti pubblici.
- Il carattere regressivo della norma fiscale.
Secondo la Costituzione (art. 53) le imposte devono gravare sui cittadini in modo progressivo. Ebbene il superbonus favorisce palesemente i ricchi, i proprietari di immobili siano appartamenti in un condominio di città o villette al mare. Il tentativo del Governo di porre un limite Isee a 35mila euro per usufruire dell’agevolazione non ha superato il voto del Parlamento. Le tasse dei poveri, ma soprattutto quelle del ceto medio dato che i veri poveri pagano giustamente poche tasse, servono a finanziare i lavori dei ricchi che vedono addirittura aumentare senza oneri il valore delle loro proprietà.
- Il peso particolarmente elevato sui conti pubblici.
Sono trenta, come detto, i miliardi di spesa previsti. Ma la legge non pone nessun limite e infatti fino a qualche mese fa la procedura prevedeva che una banca, le Poste, la Cassa depositi e prestiti, o anche un'altra impresa, comprasse quel credito fornendo la liquidità necessaria per pagare i fornitori e gli operai. Ma l’espansione delle richieste ha di fatto completato in breve tempo gli spazi di bilancio che le banche, anche le maggiori, possono riservare ad operazioni di questo tipo. Il problema è all’esame del Parlamento: i fautori del superbonus propongono l’ennesimo scostamento di bilancio, in questo caso camuffato con il pagamento dei crediti con nuovi titoli di Stato. Sempre debito pubblico. Non c’è da stupirsi se chi ha concepito il superbonus non conosceva la legge per cui gli operatori del mercato hanno «un vincolo di compensazione» che li obbliga ad avere crediti fiscali, come quelli edilizi, non superiori al livello di imposte e contributi versati dalla banca.
- La crescita “drogata” dell’attività edilizia
Il superbonus ha indubbiamente contribuito al rilancio dell’attività edilizia dopo la brusca frenata nel 2020 dovuta alla pandemia. Nel 2021 la crescita è stata di oltre il 20% contribuendo per circa un terzo alla dinamica complessiva del Pil. “Ma – ha sottolineato il ministro Giancarlo Giorgetti – abbiamo drogato un settore in cui l’offerta di imprese e manodopera è limitata. Stiamo facendo salire i prezzi e contribuiamo all’inflazione”.
- L’esplosione dei costi
Ultimo, ma non meno importante è proprio il tema dei prezzi. Il superbonus "ha creato delle distorsioni: la prima di queste è un aumento straordinario dei prezzi delle componenti che servono a fare le ristrutturazioni". Lo ha affermato il premier Mario Draghi nella sua conferenza stampa di fine d’anno. E in effetti se il proprietario e l’impresa edile sanno che comunque i costi saranno sostenuti dai contribuenti perché affannarsi a risparmiare? Una parte piccola, ma non irrilevante, dal salto in avanti che ha fatto l’inflazione negli ultimi mesi è sicuramente dovuta alla mancanza dei meccanismi di conflitto di interessi che dovrebbero regolare la legge della domanda e dell’offerta. In fondo il superbonus è un provvedimento illiberale perché distorce le regole del mercato, interferisce nelle scelte economiche, moltiplica i compiti e le spese dello Stato.
In conclusione
Che cosa si sarebbe potuto fare al posto della peggiore legge della storia repubblicana? Bisogna sottolineare che sono state del tutto nobili e giuste le esigenze che sono state alla base del superbonus: il rilancio del settore edilizio e la necessità di compiere passi in avanti per il risparmio energetico e la lotta all’inquinamento.
Ma proprio sulla base dei punti deboli del superbonus si possono indicare alcuni elementi che avrebbero potuto evitare molti problemi.
In primo luogo evitare che un incentivo si trasformi in un regalo. Gli incentivi esistono in tutto il mondo, ma il superbonus è un’invenzione tutta italiana che nessuno (chissà perché?) ha preso a modello. Un bonus del 50% o poco più avrebbe costituito comunque una spinta ai lavori, ma sollecitando la responsabilità delle parti in causa. Rispettando peraltro anche la progressività che dovrebbe contraddistinguere le scelte fiscali.
In secondo luogo puntare veramente sulle fonti rinnovabili con in primo piano quell’energia solare che nel superbonus era semplicemente un’opzione tra le tante. E poi stabilire meccanismi più rigidi perché le spese corrispondano effettivamente agli stanziamenti previsti. E nello stesso tempo evitare che il sistema delle imprese divenga un terreno di scorribande della furbizia e del malaffare.
Resta una considerazione. Fatta salva la buona fede (e la buona volontà) dei proponenti forse competenza ed esperienza sarebbero state utili nel mettere a punto provvedimenti di così vasta portata e di così pesante impatto sui conti pubblici.
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