Dunque, lo sappiamo. La vicenda del Centro per l’intelligenza artificiale I3A è un pasticciaccio brutto, sia per l’Italia sia per Torino. E lo è per i piani che s’incrociano, per le questioni che tornano a ripresentarsi, per la miopia di una classe dirigente pubblica e privata (subalpina, ma non solo) che dovrebbe farsi da parte e che invece si aggrappa a logiche sterili per il bene comune.

Inutile girarci intorno

Avevamo indizi che sarebbe andata a finire così. Ne abbiamo scritto poco prima che la vicenda esplodesse. Eppure, la sostanza è questa: nonostante 21 milioni di euro già stanziati, Torino non avrà il Centro per l’ intelligenza artificiale, per cui dovrà partecipare a un bando, ma qualcosa di diverso e verticale per la mobilità sostenibile. Molta confusione, norme diverse, progetti differenti, ansia da PNRR, tempo che passa, burocrazia, tutto che resta fermo.

Una questione di «postura»

Nulla di nuovo nella cinta daziaria subalpina, intendiamoci. I sussulti recenti sbloccheranno lo stallo. Ma il problema resta. Perché c’è una “postura” sbagliata. Ed è interpretata, purtroppo, dalla classe dirigente di una Torino che si dice ad ambizione europea. Assistiamo ai giochetti e alle manine di una gerontocrazia (anagrafica, talvolta, ma soprattutto di pensiero) che cerca di portare a casa qualche risultato pensando ancora di essere la one company town ormai morta e sepolta. L’italo-americano Gianni Riotta, sempre un po’ troppo assorto nel suo ruolo pedagogico-educativo, bacchetta dalle colonne de la Repubblica sull’importanza di non cadere nelle logiche dei mille campanili. E ha ragione, ovviamente. Anche se fino a un certo punto: perché il Governo non ci fa una bella figura su questa vicenda (come tutti i parlamentari piemontesi) e perché pensa che il limite di Torino sia il campanilismo, ma è ben peggio.

Eppure, è ormai evidente. Qualcuno ha giocato con l’ibridazione tra I3A e automotive, pensando di far vedere che l’industria delle quattro ruote è ancora uno “zoccolo duro”, anzi “durissimo”. Strizzando l’occhio a chi non voleva portare sotto la Mole questa nuova realtà, alla fine, ha condotto una operazione di piccolo cabotaggio, perché questo non fa il bene né dell’Italia né di Torino. Ed è un peccato che a farne le spese siano persone entusiaste e capaci come il teologo dell’innovazione Luca Peyron, promotore intelligente dell’iniziativa due anni fa. La polpetta era avvelenata fin dall’inizio, temiamo.

L'altra vicenda

Il guaio, pensiamoci, è che esiste un’altra questione dirimente – sia per l’Italia sia per Torino – che s’interseca con l’I3A. E riguarda le intenzione che Stellantis ha sul capoluogo piemontese. Proviamo a dirci le cose con chiarezza? Senza stare a scomodare l’economia circolare, all’amministratore delegato Carlos Tavares piacerebbe fare di Torino il polo di smantellamento delle auto del gruppo. L’obiettivo viene infarcito di grandi parole, ma la sostanza è questa: grazie anche ai corridoi ferroviari ad alta capacità che nell’arco di un decennio dovrebbero diventare operativo (con buona pace dei no Tav), Torino si ritroverà al centro del Vecchio Continente nel trasporto veloce delle merci. E quindi sarebbe l’ideale farne lo sfasciacarrozze continentale di riferimento. A Mondo Economico, con sfumature assortite, più fonti riferiscono con precisione di questa prospettiva.

Stellantis e il polo dello smantellamento

Ma come? Sarebbe questo il livello di interlocuzione? Di nuovo, ci sembra una “postura” sbagliata, da fornitori automotive anni ’70 del secolo scorso che vanno con il cappello in mano da chi dice che l’Italia conta come tutti gli altri Paesi dove Stellantis è presente. A essere il primo cittadino, considerando ciò che è stata Torino per l’automotive, sarebbe stato più grintoso abbandonare il tavolo sdegnati (professor Lo Russo, per cortesia, non si faccia sedurre dall’ebbrezza democristiana del potere appena acquisito).

Insomma: dobbiamo proprio farci prendere in braccio e magari trovare i finanziamenti per diventare – da creatori delle auto – l’ultimo anello del sistema con un infimo valore aggiunto della produzione? Sarebbe questo il prezzo per avere la Panda elettrica a Mirafiori? E ancora: parliamo di economia circolare riempiendoci la bocca e non pensiamo, per dire, al problema dello smaltimento delle batterie con tutto ciò che ne consegue per lo smaltimento?

Diamoci una sveglia

No, signori, c’è qualcosa che non funziona. Le associazioni industriali e i politici (ce n’è ancora qualcuno?) battano un colpo ben assestato. Soprattutto chi sta silente (e trangugia), esca allo scoperto e favorisca uno scatto di reni per raggiungere una visione degna del nome. Può essere il momento giusto. Torino (e l’Italia) hanno ospitato da poco il gotha della finanza e della economia d’impatto, tra poche ore inizierà il Festival internazionale dell’economia, ci sono settori innovativi di tutto rispetto, in particolare nel digital e nel terziario. Serve davvero una “postura” diversa, non certo da sfasciacarrozze rassegnati se desideriamo sul serio diventare attrattivi e favorire il “reshoring” (e poi, non c'è solo Stellantis: perché non proporre idee ad alto valore aggiunto anche ad altri costruttori?).

Vale per il Piemonte, vale per l’Italia.

Insomma, artificiale o no, è questione di intelligenza sul futuro. Disponibili a ospitare un dibattito serio su Mondo Economico, schietto e senza fervorini. Ne discutiamo?