Possiamo fare di più per il nostro futuro? Dobbiamo. Sono rimasto molto colpito da Economy of Francesco, l'evento mondiale coordinato da Assisi e che ha coinvolto centinaia di giovani economisti, imprenditori e ricercatori under 35. Lo statement finale contiene sollecitazioni importanti, che non vanno ignorate.
Chiedono molto, i giovani: più etica, nuove istituzioni finanziarie, più sostenibilità ambientale, sociale, manageriale e spirituale, parità di genere, custodia dei beni comuni, lotta alla guerra e ai paradisi fiscali. Chiedono troppo? Rispondono: «Tutto questo – che noi viviamo già nel nostro lavoro e nei nostri stili di vita – lo chiediamo sapendo che è molto difficile e magari da molti considerato utopico. Noi invece crediamo che sia profetico e quindi che si possa chiedere, richiedere e chiedere ancora, perché ciò che oggi sembra impossibile, grazie al nostro impegno e alla nostra insistenza, domani lo sia meno. Voi adulti che avete in mano le redini dell’economia e delle imprese, avete fatto molto per noi giovani, ma potete fare di più. Il nostro tempo è troppo difficile per non chiedere l’impossibile. Abbiamo fiducia in voi e per questo vi chiediamo molto. Ma se chiedessimo di meno, non chiederemmo abbastanza». C'è anche un interessante videomessaggio di Papa Francesco indirizzato ai partecipanti: merita ascoltarlo, vi invito a farlo.
Next Generation
Bisogna cambiare prospettiva, sicuramente. Senza lasciar passare invano questo cupo periodo di pandemia, che ha messo in luce i peggiori difetti e le più meschine fragilità della nostra società, a cominciare dall'indifferenza. Penisiamo al piano di rilancio dell'Europa dopo il Covid-19 voluto dalla presidente Ursula von der Leyen: ci ostiniamo a chiamarlo recovery fund, fondo di recupero, ma l'iniziativa è Next Generation Ue. Non è solo forma, è anche sostanza. E verremo misurati - dalle generazioni future - su come sapremo (o non sapremo) gestire i fondi che arriveranno da Bruxelles.
Si parla molto di impact economy e di social impact: ovvero di imprese che pensano a "ricadute sociali" della loro attività già nei piani industriali e non solo a fine anno nei bilanci sociali. E si diffonde una finanza impegnata a sostenere progetti a connotazione sociale. Rischia di essere una moda, di attrarre qualche mascalzone. Ma è una strada interessante: per cui fa bene il Politecnico di Milano, con il Centro di competenza Tiresia che monitora questo fenomeno in Italia, a essere rigidamente selettivo.
L'economia civile
Per una prospettiva diversa c'è dunque bisogno di un "paradigma" diverso, invocato da molti. Io l'ho trovato negli anni recenti ed è made in Italy. Credo abbia il passo giusto per aiutarci a cambiare. È la economia civile: è stato Antonio Genovesi, interessante pensatore partenopeo, a introdurlo nei suoi insegnamenti all'Università di Napoli già nel 1754. Per vie carsiche sta tornando sotto i riflettori ed è una bella cosa. Le sue "lezioni" sono pubblicate da Vita e Pensiero. Non si limita a parlare soltanto di crescita, come accade con l'economia politica: la ritiene una componente dello sviluppo, che è anche dato dai beni relazionali e spirituali (non religiosi, ma culturali in senso più ampio). Non è la negazione del mercato, anzi. È il presupposto antropologico a cambiare: non homo homini lupus (dopo Plauto, alla Hobbes), ma homo homini natura amicus. Non è una ingenuità che diminuisce la competizione o la ricerca del profitto. È la differenza fondamentale dell'impegnarsi per il bene totale (più spietato) piuttosto che per il bene comune, che è più inclusivo.
Sviluppo, etimologicamente, significa liberarci dai vincoli che c'ingarbugliano, che ci limitano. Ed è un tema strettamente legato ai diritti e alle libertà, particolarmente cari alla ispirazione liberale della nostra testata.
L'elegia americana?
Ho respirato questa tensione positiva - di "sussulto civico" - guidando il webinar durante il quale è stato presentato il Rapporto Rota 2020 su Torino (chi vuole lo può ascoltare cliccando qui). Uno studio annuale, giunto alla ventunesima edizione, che offre una radiografia della città in cui sono nato. Augusta Taurinorum: alle prese con un declino significativo, ma non priva di qualità, cerca di "ripartire" provando a curarsi le ferite, dovute non soltanto alla amministrazione pentastellata guidata da Chiara Appendino ormai al capolinea. Una sineddoche per l'Italia, in fin dei conti, se è vero - come penso lo sia - che il capoluogo piemontese è sempre stato nella storia un laboratorio di anticipazioni. Le sfide amministrative per le città metropolitane della prossima primavera saranno una prova decisiva: anche per vedere se i nostri politici si muoveranno per bande contagiate dalla sindrome del pavone oppure animati dalla ricerca del bene comune.
Non dobbiamo stare fermi in attesa di ciò che accadrà.
Un imprenditore che ha assistito all'evento, Davide Canavesio, ha respirato l'aria dell'ultimo film di Ron Howard, "Elegia americana": lo ha annotato sul quotidiano La Stampa. Ovvero, per trasposizione, una città «persa, sconfitta, smarrita». È un richiamo alla realtà. Molti, però, hanno chiesto di reagire, di ripartire. Economisti, imprenditori, banchieri, intellettuali: uniamo le forze migliori, miglioriamo le competenze, riformiamo la classe dirigente mettendo da parte approssimazione e ignoranza.
Vale per Torino. Vale per l'Italia.
Mondo Economico agorà aperta
È questo il motivo per cui su Mondo Economico abbiamo pensato di aprire le porte ai giovani economisti e imprenditori under 35 che hanno partecipato a Economy of Francesco. Intanto, per avviare un dialogo intergenerazionale serio, di cui oggi c'è bisogno assoluto. Se desideriamo lasciare alle spalle l'economia estrattiva (ne ha parlato con passione sullla nostra testata l'industriale Andrea Illy), dobbiamo anche ascoltare con serietà le nuove generazioni: l'economia rigenerativa, con una definizione felice, oltre ad avere a cuore le sorti del nostro pianeta, pensa a una sostenibilità non egositica nei confronti di figli e nipoti.
Lo spazio aperto - e inizieremo molto presto - non è una scelta di facciata. Sarà una agorà libera, costruttiva e documentata. C'è una fastidiosa supponenza nei confronti dei giovani, soprattutto nel baraccone gerontocratico che è il nostro Belpaese. Intendiamoci, non è un automatismo politically correct: ci sono anziani più saggi di molti trentenni e viceversa. Ma non intendiamo guardare beffardi a coloro che approdano nel mondo del lavoro e della ricerca come se fossero criceti sulla ruota della vita.
Ragioneremo insieme su questioni serie, aprendo dibattiti e confronti fecondi.
È ciò di cui abbiamo più necessità in Italia: ascolto, formazione, competenza. Con parole civili e costruttive.
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