Siamo alle solite. Mentre la seconda versione del piano vaccinale prometteva di portarci fuori dalla pandemia entro settembre, l’affaire AstraZeneca riavvolge il nastro, non sappiamo di quanti giorni, settimane, o mesi. A questo proposito, siamo certamente interessati a conoscere il giudizio di Ema, che intuiamo positivo. La trascurabilità del rischio vaccinale è concreta, il rapporto tra benefici e costi convincente, la relazione tra vaccino ed eventi avversi probabilmente difficile da provare e altrettanto difficile da escludere: Ma in linea con quanto accade con tutti i farmaci, che non a caso espongono avvertenze e controindicazioni nei lunghi “bugiardini”.
Il vaccino è un farmaco come gli altri?
Dal punto di vista farmacologico sì, ma dal punto di vista concreto no. Allo stato di ciò che sappiamo, la vaccinazione di massa è la strategia adottata da tutti i paesi per uscire dalla pandemia, o quanto meno ridurla allo stato di malattia controllabile, come tante altre. La gestione della pandemia ha comportato la compressione di diritti come quello di circolazione, di istruzione, di lavorare, per assicurare il diritto alla salute. Di certo, è una situazione di eccezione, accettabile nella misura in cui sia limitata nel tempo, che sia proporzionata e che possa essere compensata. Ora, il tempo di ritorno alla normalità, già lungo per molte ragioni, si sta prolungando per la crisi dei vaccini.
La compressione dei diritti
In alcuni casi la compressione dei diritti è stata proporzionata lungo i mesi dell’emergenza, cercando un rapporto conveniente (ossia meno dannoso) tra i costi e i benefici delle restrizioni. È il caso del lockdown delle attività economiche, che è stato allentato tra la prima e la seconda ondata, in ragione delle conseguenze sul Pil nella prima (-18,8% il Pil trimestrale vs. 2019 nel secondo semestre, -6,6% nel quarto): il lockdown dei semafori (in autunno 2020) infatti non ha più chiuso il 45% delle attività produttive (come in primavera), ma solo quelle a maggiore rischio di assembramenti.
Va osservato che il criterio di proporzionalità è stato applicato all’economia, ma non alla scuola. E questa è una differenza non da poco. La scuola italiana, purtroppo, è stata tra quelle più chiuse, senza proporzionare le chiusure all’andamento dei contagi, per esempio considerando le differenze tra le scuole con più classi in quarantena, con poche classi in quarantena e addirittura con nessuna classe in quarantena. Invece, quando sono state prese le misure di chiusura su un territorio, esse hanno riguardato sia le scuole virus-free che le altre.
Le compensazioni
Inoltre, c’è la questione delle misure compensative. Ogni diritto compresso non può essere sempre compensato, indennizzato o rimediato in un tempo successivo. C’è una forte asimmetria tra i ristori e sostegni economici e gli impatti negativi procurati dalle restrizioni. Un vuoto di reddito può essere sostituito da un trasferimento, ma un posto di lavoro cancellato non si ricrea con trasferimenti e un ritardo o un vuoto educativo è rimediabile a seconda di chi ne è colpito e della famiglia degli allievi.
Le reti di welfare per evitare o rimediare a questo danno non esistono o non sono sufficienti, per questo la compressione della scuola dovrebbe essere il più possibile temporanea e, nel frattempo, almeno proporzionata e non agire come un interruttore binario. I mezzi e i dati per politiche basate sulla consapevolezza della situazione ci sarebbero.
Privacy e non privacy
Lo stato di urgenza e necessità che si è determinato ormai 13 mesi fa ha poi, non si sa come, deciso di incidere sulla compressione di alcuni diritti (scuola, economia in alcuni settori, circolazione) e non su altri, e questo è incomprensibile. Facciamo due esempi. Quando si è trattato di identificare una tecnologia per il tracciamento dei contagi, che ha evitato l’allargamento della pandemia nei paesi asiatici, si è difeso il diritto alla privacy come intoccabile. Il risultato è stato una App (Immuni), facoltativa e con molte operazioni volontarie e manuali che di fatto l’hanno resa poco utile. Tra l’altro, non si capisce perché il tracciamento tecnologico sia lesivo della privacy, ossia l’autorità sanitaria non possa conoscere automaticamente i nostri contatti, quando fossimo positivi, mentre la stessa informazione dobbiamo dichiararla (senza aver diritto di mentire) agli addetti umani al contact tracing.
Come l’Europa ha sospeso il patto di stabilità dei bilanci pubblici, avrebbe dovuto sospendere l’applicazione del GDPR per la durata della pandemia. Un altro diritto che parrebbe incomprimibile è quello di non curarsi. Sì, è scritto in costituzione esattamente come il diritto alla circolazione e il diritto all’istruzione. Ma se un vaccino è dichiarato efficace e sicuro da tre agenzie di regolazione, quella britannica, europea e italiana, poi non ci dovrebbero essere scuse.
Pesi e misure diverse
Non si possono avere pesi e misure diverse nelle limitazioni provvisorie dei diritti. Il vaccino, in altri termini, in queste condizioni non dovrebbe poter essere rifiutato, in forza della stessa responsabilità di stare in salute per proteggere la salute degli altri che si invoca quando si chiudono a chiave le aule delle scuole. Chi lo rifiutasse avendo un’occupazione che comporti il contatto con il pubblico dovrebbe essere rimosso dalla sua responsabilità. A maggior ragione se si trattasse di personale sanitario o di assistenza, vicino ai più fragili tra noi.
È questione non solo di emergenza, ma di efficacia e di coerenza tra le misure temporanee di sacrificio che si chiedono in funzione di un ritorno alla pienezza dei diritti e delle libertà per tutti.
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