Ogni anno, quando ci si avvicina alla manovra economica – o legge finanziaria o legge di bilancio o legge di stabilità – ed emerge con più chiarezza l’imponenza del nostro debito pubblico, si torna a parlare in modo preponderante di innovazione. Tutti scoprono che per ripagare il debito bisogna crescere e per crescere bisogna sviluppare nuovi prodotti e nuovi processi ovvero fare innovazione. E come ogni anno ci si pone la domanda se la politica sia davvero tifosa dell’innovazione di schumpeteriana memoria che, con la teoria della “distruzione creatrice”, prevede che essa distrugga l’economia esistente – portando al declino e alla scomparsa di vecchie industrie e modelli di business – ma, nel farlo, ne costruisca una nuova, più efficiente ed avanzata – creando nuove opportunità e settori –, spingendo il sistema economico verso un costante rinnovamento e progresso.

L’innovazione è il motore del progresso economico, tecnologico, sociale. Al centro di questo processo si trova la ricerca che gioca un ruolo chiave nello sviluppo di nuove idee e tecnologie. La ricerca è il fondamento su cui si costruisce l’innovazione. Non solo stimola la crescita economica, ma è anche fondamentale per affrontare le sfide globali contemporanee come il cambiamento climatico, la transizione ecologica, la trasformazione digitale. La ricerca è il cuore pulsante dell’innovazione ed essa sarà sempre più in grado di avvalersi da un lato della sua capacità di creare reti di collaborazione che vanno oltre i confini settoriali e nazionali e dall’altro della capacità di preparare gli studenti alle sfide future con competenze pratiche e interdisciplinari.

Un elemento chiave dell’ecosistema dell’innovazione è la cooperazione tra pubblico e privato. L’innovazione offre infatti possibilità straordinarie ma senza un’adeguata regolamentazione e collaborazione tra settore pubblico e privato i rischi di polarizzazione sociale e diseguaglianza possono crescere. In molti Paesi, questa collaborazione si è concretizzata in programmi di finanziamento mirati attraverso i quali le imprese possono trarre vantaggio dall’accesso ai talenti universitari e alle infrastrutture di ricerca, mentre le università e i centri di ricerca beneficiano di investimenti e della possibilità di vedere le proprie scoperte applicate su larga scala. I governi devono quindi creare politiche che incentivino l’investimento nella ricerca e nell’innovazione, promuovendo una maggiore integrazione tra mondo pubblico e mondo privato. I finanziamenti alla ricerca pubblica, così come quelli destinati a start-up tecnologiche nate in ambito accademico, sono fondamentali per mantenere la competitività internazionale e favorire la crescita di un’economia basata sulla conoscenza.

Spesa in ricerca e sviluppo (% del PIL) - Fonte: Eurostat 2023

La politica si trova di fronte a una sfida cruciale: creare un ambiente normativo che permetta all’innovazione di prosperare senza minare i diritti dei lavoratori o compromettere il bene pubblico. Le istituzioni devono infatti giocare un ruolo proattivo nel garantire che i benefici dell’innovazione siano distribuiti equamente, mitigando gli impatti negativi che le nuove tecnologie possono avere sul mercato del lavoro e sulla società. La politica deve agire come garante di questo equilibrio, stimolando l’innovazione ma mantenendo sempre come priorità il benessere collettivo. L’innovazione non può e non deve sacrificare i diritti umani e la giustizia sociale. La sfida per i governi è quindi quella di mettere in campo politiche educative e di riqualificazione professionale per permettere a chi perde il proprio posto di lavoro di inserirsi in nuovi settori evitando che l’innovazione diventi sinonimo di diseguaglianza. L’automazione che vedremo applicata nei prossimi anni, infatti, ridurrà l’occupazione in settori tradizionali ma al tempo stesso creerà nuove opportunità in ambiti emergenti. Il lavoro sta cambiando e cambierà sempre più in modo radicale. Le mansioni quotidiane verranno trasformate ed è necessario essere preparati a questo nuovo scenario.

L’innovazione è inoltre il motore che alimenta la crescita e la competitività delle imprese nel contesto globale. Essa rende le imprese più agili, capaci di reagire meglio agli imprevisti, e le posiziona in modo più vantaggioso per affrontare il futuro, in una parola (abusata) le rende più resilienti. L’innovazione non è solo una scelta strategica, ma una necessità per sopravvivere e prosperare. In un’epoca nella quale il cambiamento è l’unica costante, le imprese devono diventare sempre più agenti di cambiamento, impegnate a creare valore non solo economico, ma anche sociale e ambientale. Devono quindi essere pronte ad abbracciare l’innovazione non solo come un obiettivo economico, ma come un imperativo sociale: solo così potranno costruire un ecosistema in cui la tecnologia e l’umanità coesistono in armonia, promuovendo un futuro sostenibile e prospero per tutti.

Ma se si vuole che l’innovazione entri veramente nel lessico della nostra quotidianità è necessario dotarsi di un metodo sia a livello istituzionale sia a livello imprenditoriale.

A livello istituzionale è necessario costruire una filiera che vada dalla scienza al mercato passando attraverso il trasferimento tecnologico. E’ fondamentale, a livello di sistema Paese, investire nella ricerca scientifica prodotta dalle università, dai centri di ricerca, dalle fondazioni e sviluppare il venture capital. La ricerca per l’industria, negli anni, è diventata sempre più indispensabile e “vicina” alla realizzazione del profitto per le aziende. E’ necessario che essa sia alimentata mediante opportuni finanziamenti da parte dei governi allo scopo di generare nuova conoscenza e individuare nuove applicazioni industriali. Solo avvicinando scienza e mercato attraverso il trasferimento tecnologico, generando ecosistemi virtuosi (si pensi a titolo di esempio alla Silicon Valley), saremo in grado di costruire il “nuovo mondo” atteso dalla realizzazione delle transizioni gemelle. Per fare questo è necessaria una politica industriale che tenga nella massima considerazione le grandi imprese ma che al contempo sappia parlare alle piccole e alle medie, alle filiere, ai cluster industriali e che ponga la massima attenzione al rafforzamento del sistema di trasferimento tecnologico, dei Digital Innovation Hub, dei Cluster Tecnologici Nazionali, allo sviluppo di Green Innovation Hub, alla formazione e allo sviluppo delle competenze, alle start-up e PMI innovative.

A livello imprenditoriale è necessario più che mai investire in digitale e sostenibilità stimolando la governance dell’innovazione all’interno delle imprese.

La trasformazione digitale è diventata di dominio pubblico a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso con i computer di IBM e Olivetti in quella che è stata battezzata come la “prima era delle macchine” e si è poi completamente trasformata con la connessione alla rete globale del web o internet nella “seconda era delle macchine” che ha prima portato al successo Microsoft e Apple e poi Amazon, Google, Facebook etc. Oggi la “terza era delle macchine”, se ancora vogliamo chiamarla così, è rappresentata dalla frontiera dell’intelligenza artificiale (generativa) che ha il suo paladino in OpenAI e la sua parola chiave in “algoritmo” e che permetterà un salto quantico nella velocità e nella creatività delle soluzioni che verranno proposte al mercato. La trasformazione digitale ha sicuramente impersonificato, negli ultimi cinquant’anni, quell’innovazione a tutto tondo che non ha significato solo nuovi prodotti e processi ma anche l’invenzione di nuovi modelli di business che hanno ridisegnato i modelli organizzativi e permesso di raggiungere nuovi traguardi. Oggi, come abbiamo avuto modo di trattare a più riprese su questa testata, la vera sfida che ci attende è una sfida etica e non tecnologica.

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Stessa cosa dicasi per la sostenibilità e la transizione energetica. Il Paese dovrebbe accelerare la propria transizione green attraverso una politica industriale incentrata sulla sostenibilità anche per ridurre la dipendenza dalle importazioni energetiche. Ciò significa promuovere l'integrazione della sostenibilità in tutte le fasi di produzione, dalla progettazione alla fine del ciclo di vita attraverso l'adozione di tecnologie avanzate.

L’innovazione, il livello istituzionale (la politica), il livello imprenditoriale (le imprese) sono i tre pilastri su cui si costruirà il futuro della nostra società. Se questi attori riusciranno a collaborare efficacemente, potremo affrontare le grandi sfide dell’attualità – dal cambiamento climatico alle diseguaglianze economiche – con nuove soluzioni che valorizzano il potenziale umano e tecnologico. Tuttavia, questo richiederà un ripensamento profondo delle nostre priorità, un impegno condiviso per il bene comune e una visione chiara di come vogliamo plasmare il nostro futuro. L’innovazione non è solo una questione tecnologica, ma una questione politica e sociale che riguarda tutti noi.

L’innovazione, comunque ed in ogni caso, non può più essere demandata ad una strategia economica dettata dai singoli Paesi ma, in una competizione tra piattaforme continentali – e soprattutto in riferimento agli Stati Uniti e alla Cina –, essa deve essere riportata alla sua dimensione europea. Deve essere trattata con una strategia complessiva dall’Europa come ci stimolano a porre in essere i recenti rapporti di Mario Draghi e di Enrico Letta che ci pongono dinanzi ad uno scenario per il quale l’Europa può avere una capacità di influenza mondiale sull’innovazione solo a patto che sappia che la giusta dimensione è quella di perseguirla a livello continentale.

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L’Europa deve investire molto di più in innovazione: negli ultimi anni, il gap con il resto del mondo si è allargato. Oggi l’Europa è in difficoltà, ripiegata su sé stessa, dominata dalla frammentazione della piccola dimensione. In questo contesto è molto difficile contendere un ruolo di leadership nei settori strategici destinati a giocare un ruolo sempre più centrale nell’economia e nelle strategie del futuro. Siamo piccoli, piccoli, soprattutto perché siamo divisi in ventisette frammenti. Tutto questo rende difficile tutto ciò che nella corsa all’innovazione è cruciale a partire dall’attrattività dei capitali: la quantità di investimenti negli Stati Uniti e in Cina non è minimamente comparabile con quello che stiamo facendo e possiamo fare qui in Europa; e noi, spesso, non ce ne rendiamo conto.

L’innovazione è figlia della ricerca, dello studio, della qualità del capitale umano. Ma anche della fame e della voglia di riscattarsi come comunità nazionali ed europea. E la sfida che abbiamo di fronte andrebbe affrontata con lo spirito delle generazioni del dopoguerra, non con l’accidia indispettita dei sussidiati a vita o con la miopia egoista e gretta di tante corporazioni, o con la fuga all’estero di una classe dirigente solo a parole. Non vi sono solo diritti, vi sono anche e soprattutto doveri. Nei confronti degli altri e delle prossime generazioni. Umanità, solidarietà, responsabilità.

 

 

Fonte immagine copertina: imagoeconomica.it