Nel corso del 2016 la percentuale di italiani che dichiara di praticare sport con continuità nel proprio tempo libero ha raggiunto il 25,1%
Se nel 1959, alla vigilia delle Olimpiadi di Roma, lo sport in Italia era praticato da poco più di un milione di persone, quasi esclusivamente maschi adulti, e la caccia era al primo posto, oggi la cultura degli italiani nei confronti della pratica sportiva è sicuramente cambiata.
Quei giochi olimpici diedero spunto alla prima indagine Istat su sport e tempo libero nel nostro paese, la più recente delle quali è stata presentata dal CONI il 23 febbraio 2017.
Dopo la netta flessione registrata soprattutto fra il 2010 e il 2013, i dati sono tornati fortunatamente a salire nel 2014 e indicano che, nel corso del 2016, la percentuale di italiani, sopra i 3 anni d’età, che dichiara di praticare sport con continuità nel proprio tempo libero ha raggiunto il 25,1%, cifra che arriva al 34,8% se si aggiungono coloro che dichiarano di fare sport saltuariamente (Figura 1).
Tra il 2013, anno delle precedenti rilevazioni, e il 2016, la crescita è stata in media di circa 1,4 punti percentuali all’anno, per un totale di 2 milioni e 519 mila italiani che si sono avvicinati alla pratica sportiva.
Nel 2016 sono complessivamente 14.792.000 le persone che dichiarano di praticare una o più attività sportive in forma continuativa e 5.693.000 in forma saltuaria (9,7%), mentre sono 15.108.000 gli italiani che hanno scelto la più vaga opzione di praticare solamente qualche attività fisica (25,7%), per un totale che si attesta dunque a 35 milioni 593 mila individui che si giudicano “fisicamente attivi”.
Il dato più positivo, in proiezione futura, è quello della fascia di età tra i 6 e i 10 anni, che raggiunge oggi la percentuale più alta fra i praticanti sportivi in forma continuativa: ben il 59,7% (+ 6,4% rispetto al 2013) dei bambini sarebbe sportivo (Figura 2), soprattutto quelli con genitori a loro volta attivi.
Anche altre fasce di età risultano in crescita rispetto al 2013: 18-19 anni (+7,1 punti percentuali); 15-17 anni (+6,4); 20-24 (+5) e 60-64 anni (+5) e, in generale, sono in aumento gli sportivi praticanti con continuità, sia tra le donne sia tra gli uomini, rispettivamente il 20,8% e il 29,7%, anche se resta significativo il gap di genere.
A livello territoriale la pratica sportiva è più diffusa al Nord-Est (30,5%) e nel Nord-Ovest (29%) rispetto al resto del Paese. Nelle regioni del Centro Italia la quota di popolazione che pratica attività sportiva è pari a 27,3% mentre al Sud e nelle Isole è, rispettivamente, di 17,5% e 18,9% (Figura 3).
Nel 2016 le prime tre regioni con la maggior concentrazione di praticanti sportivi con continuità sono Trentino Alto Adige (36,2%), Emilia Romagna (31,1%) e Lombardia (30,5%), mentre Calabria (16,5%),Sicilia (16,5%) e Campania (13,9%) si collocano in coda alla graduatoria regionale.
La situazione attuale ha le sue radici negli anni Ottanta del secolo scorso, quando il benessere fisico e la ricerca di uno sport con cui rendere più “vivace” il proprio tempo libero iniziò ad assumere dimensioni prossime a quelle degli altri paesi sviluppati, con la diffusione capillare di palestre nelle città e la volontà di avvicinare i bambini già da piccoli a un’attività fisica ritenuta utile sia per il corpo che per la mente. Il fenomeno, in forte crescita per tutti gli anni Novanta, ha però iniziato a rallentare nel nuovo secolo e le cifre del 2016 restano comunque lontane dai buoni livelli raggiunti in passato per quasi tutte le fasce d’età (Figura 4).
Nel 2016, d’altra parte, il 39,2% di italiani dichiara di non praticare alcuna attività fisica o sportiva nel proprio tempo libero, cioè oltre 23 milioni di persone: rispetto al 2013 la percentuale di sedentari è scesa di 2 punti percentuali, in valore assoluto circa 1 milione e 70 mila in meno, cifra che continua a essere troppo alta rispetto alle altre nazioni europee (Figura 5), per quanto il CONI affermi che la stabilizzazione del tasso di sedentarietà attorno al 39%, in un Paese che però continua progressivamente ad invecchiare (l’indice di vecchiaia passa da 151,4 nel 2013 a 161,4 nel 2016) si può considerare un buon risultato.
Il nostro Comitato Olimpico vanta oggi 11 milioni 198 mila persone che fanno sport all'interno di società sportive del suo sistema, attraverso le affiliazioni alle Federazioni Sportive Nazionali (FSN), Discipline Sportive Associate (DSA) ed Enti di Promozione Sportiva (EPS).
Tra gli atleti tesserati delle FSN-DSA circa il 55% ha meno di 18 anni mentre la proporzione tra atlete e atleti è sbilanciata verso il genere maschile (73,1% contro 26,9%); sono oltre un milione gli operatori sportivi (dirigenti, tecnici, ufficiali di gara e altre figure che collaborano a vario titolo all’interno delle organizzazioni societarie e federali) delle FSN-DSA.
L’associazionismo sportivo in Italia è distribuito capillarmente su tutto il territorio nazionale, con 118.812 società sportive che rappresentano il cuore del sistema, soprattutto per la pratica sportiva giovanile, senza sottovalutare l’importanza dei gruppi sportivi militari in alcune importanti discipline come l’atletica, il nuoto e lo sci. Lo stato del nostro sport professionistico non è peraltro soddisfacente e i tagli finanziari succedutisi in questi anni di crisi, oltre alla quasi totale scomparsa degli introiti legati al Totocalcio, non sono stati d’aiuto: le medaglie olimpiche ci vengono per lo più da sport minori, come scherma o tiro al piattello, poco praticati a livello nazionale e mondiale, dove spesso vantiamo antiche tradizioni, mentre per esempio nella più universale delle discipline, l'atletica leggera, su 141 medaglie in palio alle Olimpiadi di Rio non ne abbiamo conquistata nemmeno una (non accadeva da Melbourne 1956).
La Commissione Europea negli ultimi anni ha molto insistito, con programmi e investimenti specifici, per cercare di far aumentare la pratica sportiva dei suoi cittadini, ma in Italia solo una famiglia su cinque spende per attività sportive, e questa spesa rappresenta appena l’1,48% di quella che l’intera famiglia affronta mensilmente. Anche il sistema politico italiano dovrebbe migliorare i suoi incentivi: se infatti nel 2014 ci sono città (tra quelle sopra i 200.000 abitanti) che hanno speso più di 30 euro pro capite per attività sportive (come Trieste, Torino, Firenze), al Sud la media è al di sotto dei 15 euro: meno della metà, con l’eccezione positiva di Catania; la stessa Roma presenta dati deficitari.
La lotta contro la sedentarietà non è comunque una questione solo d’immagine, ma anche di tutela della salute pubblica, come è ormai risaputo: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, fare attività fisica potrebbe aiutare a evitare fino a un milione di morti all’anno in Europa.
E lo stesso Sistema Sanitario Italiano ne beneficerebbe. Il Centro Studi del CONI ha quantificato che il risparmio sulla spesa sanitaria diretta e indiretta, con gli attuali livelli di pratica sportiva e fisica rilevati nel 2015, è di oltre 1,5 miliardi di euro all’anno rispetto al 2013. L’attività fisica, infatti, riduce le probabilità di insorgenza di patologie cardiovascolari, ictus, tumori al colon, tumori al seno e diabete tipo 2. Inoltre, si stima che la riduzione dei sedentari di 1 punto % (circa 215 mila persone) porterebbe un risparmio annuo di circa 80 milioni di euro della spesa sanitaria e indiretta.
Tuttavia il nostro Paese, malgrado i progressi, si colloca al terzultimo posto per numero di sportivi che seguono le linee guida del OMS, che consigliano 150 minuti di attività fisica a settimana (Figura 6) e deteniamo uno dei gap più elevati in Europa tra maschi e femmine nel seguire uno stile di vita attivo e teso a evitare i rischi della sedentarietà.
Oltre all’educazione e all’esempio familiare un fattore importante è, come spesso accade, il reddito: con l’eccezione di Danimarca e Svezia, dove l’attività fisica nella fascia d’età 18-29 anni è praticata dalle persone più indigenti in misura uguale o superiore a quelle più benestanti, in genere per tutti gli altri paesi dell’Unione Europea il reddito continua ad avere un peso decisivo per la frequentazione di centri sportivi o la partecipazione a qualche tipo di sport, e in conclusione dunque per mantenersi in buona salute.
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