Lo scenario 2011 non è, secondo noi, diverso da quello del 2010. Esso sarà dominato dalla dinamica dei debiti pubblici. Nel 2010 sono emersi i problemi dei paesi europei periferici, non quelli dei paesi centrali con i bilanci pubblici messi peggio, come gli Stati Uniti e il Giappone. Riportiamo, sintetizzandolo, lo scenario 2010. Esso era diviso in sette parti. 1) Dove sta il problema. 2) Come si è arrivati alla crisi. 3) Le politiche monetarie e l’assorbimento dei titoli. 4) La concentrazione delle aspettative di crescita degli utili. 5) Tre scenari. 6) Le ragioni dello scetticismo sulla ripresa a «V». 7) Appendice – L’importanza del saldo primario: l’esperienza italiana. Saltiamo le parti 2) e 7), che sono «storiche». Proponiamo prima una sintesi del vecchio testo – pubblicato il 31 dicembre 2009 – cui aggiungiamo in corsivo un breve commento. Poi mostriamo la previsione per il 2011. Essa differisce poco da quella del 2010. Insomma, vi sono, secondo noi, molte più «continuità» che «discontinuità».

 

di Giorgio Arfaras

 

 

Parte prima – Il 2010

 

1) Per arrivare alla giugulare del problema. I deficit pubblici – cresciuti per contenere la crisi – difficilmente saranno messi sotto controllo. La crisi si è riverberata sui bilanci degli stati. E qui si annidano molti pericoli. Il terzo blocco di dati mostra il deficit prima del pagamento degli interessi, corretto dagli effetti del ciclo (il saldo primario corretto è poi diviso per il Pil che si avrebbe con la piena occupazione). La crescita del deficit pubblico non è un problema fintanto che non è emesso debito per pagare gli interessi. Dunque è il terzo blocco di dati che rileva. Un’impresa che abbia un margine operativo lordo positivo prima del pagamento degli interessi è più sana di una che abbia un margine operativo lordo negativo prima del pagamento degli interessi. Come farà, infatti, l’impresa che ha un margine operativo lordo negativo a coprire le perdite? Indebitandosi. E poi, come farà a pagare gli interessi sul debito in essere? Aumentando ancora il debito. Le tabelle mostrano come gli Stati Uniti e il Giappone abbiano, a differenza dell’Europa dell’euro, un deficit significativo prima di pagare gli interessi – l’Europa dell’euro, invece, è in pareggio. Ossia, essi sono i paesi messi peggio. Le famiglie statunitensi nei prossimi anni ridurranno i consumi, e non saranno i tassi a breve e a lungo termine – per quanto bassi – a fermare la spinta a contenere il debito. La leva finanziaria è, infatti, troppo elevata. Per bilanciare la caduta dei consumi privati – ossia per evitare che l’economia si avviti – si espande il deficit pubblico. Solo che lo si espande in maniera pericolosa, perché si ha un deficit prima del pagamento degli interessi.


Nel 2010 il debito degli Stati Uniti e del Giappone non è stato portato sotto controllo, mentre quello europeo dei paesi maggiori è sotto controllo. È sfuggito in parte di mano quello dei paesi europei periferici. Sono state poi intraprese delle azioni per portarlo sotto controllo. Infine, la Gran Bretagna ha intrapreso delle azioni per portare il debito sotto controllo.

 

3) La prima condizione per la tenuta dei mercati finanziari (obbligazionari pubblici e privati ed azionari) è la stabilità dei rendimenti a lungo termine dei titoli del debito pubblico. Si sono avuti nel 2009 dei segnali di difficoltà, per ora nei paesi minori, come la Grecia. Il debito pubblico greco è però una frazione del debito pubblico emesso in euro. I paesi maggiori messi peggio sul versante del debito pubblico sono nientemeno che la Gran Bretagna, il Giappone e gli Stati Uniti.


Sono intervenute le banche centrali per comprare il debito. Negli Stati Uniti si è avuto il Quantitative Easing 2. In Europa l’intervento della banca centrale in acquisto del debito dei paesi periferici.

 

4) Sul versante delle azioni, la maggior parte delle previsioni sostiene che vi sarà una forte crescita degli utili nel 2010. A ben guardare le previsioni stesse, la crescita verrà quasi tutta dal settore finanziario e da quello energetico. Quello energetico guadagna a partire da un barile sopra i 40 dollari e quindi abbiamo poco da aggiungere. Siamo scettici sul fatto che il settore finanziario sia in grado di produrre grandi utili. Intendiamo utili «veri», ossia utili che emergono da bilanci che tengano conto per davvero dei prezzi delle obbligazioni che si hanno all’attivo e della crescita dei crediti di cattiva qualità. A proposito di crescita degli utili: gli utili dovrebbero crescere come il reddito nazionale nominale, supponendo che la distribuzione fra salari e profitti sia costante nel lungo termine. Quest’ovvietà è stata smentita negli ultimi anni. Gli utili sono cresciuti di più. Guardando meglio la dinamica, si vede che gli utili del settore finanziario sono cresciuti di più, mentre quelli degli altri settori sono cresciuti come «da manuale», ossia come il reddito nazionale. Infine la domanda: la borsa è cara? L’indice Standard & Poor’s diviso per la media degli utili dei dieci anni precedenti (il P/E depurato degli effetti del ciclo) mostra come siamo ancora sopra la media – dal 1880 al 2009 – e come eravamo nella media anche a marzo, ai tempi del cosiddetto minimo. Si noti che la media è alzata dalla bolla del 2000. Senza la bolla, la media sarebbe più bassa e il P/E corrente più elevato. Dunque la borsa statunitense, che guida tutte le altre, non è a buon mercato.


Le borse dei paesi emersi sono salite nei primi mesi del 2010, poi sono cadute in primavera, poi sono ricadute durante l’estate. Sono cresciute da agosto, quando è stato annunciato il Quantitative Easing 2. Fino a quel momento erano sui livelli di inizio anno. Ossia il salvataggio del debito pubblico ha spinto le borse.

 

5) Ecco i tre scenari. Migliore – La crisi è quasi finita e quindi la borsa anticipa la ripresa, salendo. La ripresa genererà un gettito fiscale tale che il debito pubblico sarà sotto controllo; e dunque i rendimenti sono giustamente bassi. Il dollaro, infine, è debole perché si vendono dollari per comprare le attività più lucrative. Le materie prime industriali salgono perché in Asia c’è ripresa.
Medio – La crisi è quasi finita, ma la ripresa sarà stentata perché le famiglie statunitensi non consumeranno come prima, in quanto debbono ridurre il debito. La ripresa stentata della domanda per consumi frenerà la crescita degli utili. Inoltre, non alzerà molto il gettito e quindi i deficit pubblici resteranno elevati e le obbligazioni in offerta saranno cospicue. La crescita della borsa è stata eccessiva. I rendimenti sono ancora bassi, ma saliranno, dunque i prezzi delle obbligazioni scenderanno. Le materie prime industriali salgono perché in Asia non ci si fida del dollaro. Inoltre, la domanda di oro rafforza il sospetto che vi sia timore diffuso sulla tenuta del dollaro.
Peggiore –  La crisi sembra finita, e la ripresa non ci sarà. La politica economica non ha forza propulsiva e le famiglie statunitensi non consumeranno come prima, perché debbono ridurre il debito. La crescita asiatica è figlia della spesa per infrastrutture e non per consumi e dunque non sarà in grado di trainare la domanda mondiale. Il gettito fiscale sarà modesto e quindi i deficit pubblici resteranno molto elevati e le obbligazioni in offerta saranno sempre cospicue. I rendimenti non saliranno inizialmente perché si avrà crisi. Le materie prime industriali, infine, scenderanno per carenza di domanda.
La nostra idea è che il futuro stia fra lo scenario medio e quello peggiore.

 

6) Le ragioni dello scetticismo sullo scenario migliore. Chi prevede una ripresa a «V» pensa che tutto tornerà velocemente al livello antecedente la crisi. Con gli utili ante-crisi la borsa statunitense non è cara, avendo un rapporto prezzo/utile intorno a 15. Con una crescita economica simile a quella passata, i debiti pubblici non vanno fuori controllo, perché le uscite volte a contenere la crisi si riducono in fretta, mentre aumentano le entrate fiscali. Alla base delle previsioni a «V» si ha l’idea che, come accaduto in passato, il rimbalzo arrivi in fretta, anche grazie alle politiche economiche espansive. Quello che le previsioni dette a «V» non tengono nella dovuta considerazione sono le differenze rispetto al passato. Le differenze rispetto al passato sono cinque: 1) il credito è erogato con fatica; 2) il risparmio delle famiglie è risicato e dunque non può essere usato per aumentare i consumi; 3) il mercato del lavoro è meno elastico; 4) la domanda di abitazioni, prima di rilanciare l’economia, dovrà assorbire le molte case costruite e non vendute; 5) i bilanci degli stati e delle municipalità sono mal messi e non potranno essere usati per espandere la domanda.


La crescita economica del 2010 dei paesi sviluppati è stata modesta, con l’eccezione della Germania. Non ci fosse il rischio di una crescita modesta, il Quantitative Easing 2 non sarebbe stato intrapreso. Le cose sono andate come nello scenario peggiore, con la differenza che, da agosto, le azioni sono salite, mentre nel corso dell’anno, tranne il mese di dicembre, le obbligazioni dei paesi meglio messi (o supposti tali) non sono scese.

 

 

Parte seconda – il 2011

 

Continuiamo a pensare che il nodo sia il debito pubblico. Nel 2010 abbiamo approfondito il lavoro intorno al debito pubblico. Nel passato la fortuna economica e politica dei paesi oggi ricchi ha avuto a che fare con il debito pubblico sottoscritto dai cittadini con diritto di voto (1). Nel presente questa caratteristica accresce le difficoltà di una soluzione delle vicende della Grecia e dell’Irlanda. Non ci sarebbero problemi se avessimo a che fare con una crisi di liquidità, ma forse abbiamo a che fare con una crisi di solvibilità (2). In questo secondo caso, dobbiamo tener conto che il costo del risanamento non si distribuisce in misura eguale: la finanza e i meno abbienti sono quelli che ne sopportano il costo maggiore (3). Nel futuro la spesa pubblica legata all’invecchiamento della popolazione sarà quasi pari alla metà di quella totale (4). Il debito pubblico statunitense è diverso da quello europeo dell’euro, perché lo stato federale può ripartire gli oneri fiscali fra cittadini che appartengono a un unico stato (5). Inoltre nel 2010 gli Stati Uniti hanno goduto di un mercato delle obbligazioni «benevolente», mentre l’Europa ha avuto a che fare con un mercato «occhiuto» (6).

 

La ripartizione degli oneri del debito pubblico prima o poi prenderà il centro della scena politica.

 

Il 2011 potrebbe essere l’anno in cui i nodi vengono al pettine. I debiti messi peggio sono quello degli Stati Uniti e dei paesi europei periferici (oltre al solito Giappone). Non immaginiamo una grande crescita economica, alla fine per le stesse ragioni per cui non lo pensavamo per il 2010. Dunque il 2011 potrebbe essere l’anno della resa dei conti. Il segnale dell’inizio della resa dei conti è la crescita dei rendimenti sulle obbligazioni statunitensi a dieci anni.

 

Nel 2000, all’apice del boom della tecnologia, nei paesi sviluppati il controvalore delle azioni era eguale a quello delle obbligazioni. Oggigiorno il controvalore delle azioni è diventato il 40% di quello delle obbligazioni. La crescita dei debiti pubblici e la flessione dei corsi azionari sono all’origine del fenomeno. Se pensiamo le obbligazioni come una sorta di «protezione» e le azioni come una sorta di «scommessa», allora possiamo affermare che il mondo ha meno fiducia. Più precisamente, possiamo affermare che il mondo sviluppato ha meno fiducia in sé stesso, non nel resto del mondo, perché gli investimenti nelle azioni dei paesi emergenti continuano imperterriti.

 

Nelle obbligazioni si cerca una «protezione» che potrebbe non esserci, per effetto dei rendimenti di partenza e delle emissioni future. Se non conviene avere obbligazioni, allora potrebbe convenire avere azioni. E qui il ragionamento di chi vuole le azioni è legato agli utili delle imprese che sono – nonostante la recessione – robusti, anzi sono, negli Stati Uniti, ai picchi storici. Innanzitutto, insegna l’esperienza che quando gli utili sono a un picco, nei successivi cinque anni flettono. Poi, i prezzi delle azioni non sono bassi. In rapporto agli utili, sono in linea con la media storica.

 

Infine, l’invecchiamento della popolazione gioca un ruolo. Quando la fascia forte d’età – coloro che hanno i redditi maggiori – in rapporto alla popolazione è elevata, allora le azioni sono pagate molte volte gli utili che comandano. Altrimenti detto, si ha fiducia nel futuro. Quando la fascia forte d'età, invece, è modesta, allora le azioni sono pagate poche volte. Gli anziani non scommettono sul futuro, e i fanciulli non hanno i mezzi per farlo.

 

Nelle azioni dei paesi emersi si cerca una «scommessa» che potrebbe non esserci. Gli utili potrebbero flettere per ragioni cicliche, con i moltiplicatori degli stessi bassi, per effetto della popolazione che invecchia. Restano i paesi emergenti, dove molti sostengono che la crescita vorticosa dell’economia produce gli utili che faranno salire il prezzo delle azioni. Concentrandoci sulla sola Cina, si osserva che i fatturati crescono con un fattore di 3 rispetto agli utili. Ossia, la Cina è un paese con le imprese che hanno margini contenuti. Nelle azioni dei paesi emergenti si cerca una «scommessa» che potrebbe non esserci. Le loro economie crescono più degli utili.

 

Che fare, alla fine? Investire soprattutto nel debito pubblico a breve termine in euro e comprare le azioni che possono distribuire un dividendo elevato anche in condizioni avverse.

 

 

Link per approfondire:


(1) Il debito del Tiranno e delle Repubbliche Marinare

(2) La crisi in corso in Europa / I

(3) La crisi in corso in Europa / II

(4) Vecchiacci-metria

(5) Le obbligazioni europee e quelle statunitensi

(6) Il coro si allarga