La crisi pandemica e i successivi piani di ripresa nazionali hanno accentuato l‘importanza del settore pubblico nelle nostre economie – si pensi all’ambito sanitario o ai piani di investimento previsti dal PNRR, che andranno a ridisegnare i sistemi economici dei prossimi decenni. Questa ritrovata centralità si è accompagnata all’esigenza di attrarre nuove competenze nelle pubbliche amministrazioni, ed è proprio in questa direzione che il Governo Italiano si è mosso sin dai primi mesi del 2021, con interventi legislativi e con successive campagne di comunicazione. L’ultima di queste in ordine di tempo aveva proprio l’obiettivo di promuovere il settore pubblico come un ambiente di lavoro figo, andando oltre la narrazione che associa il pubblico impiego esclusivamente ad un posto di lavoro fisso e stabile.

La necessità di assumere nuove professionalità appare in effetti quanto mai urgente nel nostro paese. Da un lato, in Italia la percentuale di lavoratori occupati nel settore pubblico risulta relativamente bassa, in confronto con altri paesi dell’area OECD. Nel 2019 la percentuale di occupati nel pubblico impiego nel nostro paese si è fermata a quota 13%, mentre la stessa percentuale è risultata più alta in altri paesi Europei quali la Francia (21%), il Belgio (18%) e la Spagna (oltre il 15%), con una percentuale media di dipendenti pubblici nell’area OECD di circa il 18%. In termini assoluti, nel 2022 il numero di dipendenti pubblici in Italia si è attestato sulla cifra di 3,31 milioni di occupati, in leggero calo rispetto ai 3,34 milioni dell’anno precedente (Rapporto INPS 2023). Dall’altro lato, l’occupazione pubblica in Italia risulta caratterizzata da un’età della forza lavoro significativamente più alta rispetto a quella che si osserva in altri paesi OECD. Nel 2020, quasi il 50% dei lavoratori impiegati nella Pubblica Amministrazione italiana aveva almeno 55 anni di età, contro una media OECD che si attesta invece intorno al 26% (Figura 1). Allo stesso tempo, nel 2020 il settore pubblico italiano ha impiegato una percentuale di giovani tra i 18 e i 34 anni inferiore al 5%, contro una media OECD del 19%.

Figura 1. Percentuale di dipendenti pubblici con più di 54 anni di età
Figura 1. Percentuale di dipendenti pubblici con più di 54 anni di età
Fonte: OECD

Uno degli aspetti comunemente più efficaci su cui fare leva per attrarre nuove figure professionali è senza dubbio quello delle retribuzioni. Qual è quindi la situazione salariale nel pubblico impiego? Alcuni nuovi dati messi a disposizione dell’INPS (Rapporto INPS 2023) permettono di rispondere a questa domanda mettendo a confronto le dinamiche salariali nel pubblico impiego e nel settore privato.

Le differenze di reddito

Una fotografia dei salari lordi medi reali che si osservano tra lavoratori pubblici e lavoratori privati restituisce come i dipendenti delle pubbliche amministrazioni beneficino di salari annuali nettamente più generosi. Nel 2021, il salario annuale reale medio tra i dipendenti pubblici è infatti risultato più alto di circa il 31% rispetto al salario reale medio dei dipendenti privati – 24mila euro annui nel privato contro 31mila euro annui circa nel pubblico.

Questa importante differenza nei redditi annuali a favore del pubblico impiego può essere spiegata sia da paghe più generose, a parità di tempo lavorato, sia dal fatto che nel pubblico impiego si lavori per più tempo durante l’anno. Utilizzando le settimane lavorate come unità di misura del tempo lavorato, il reddito annuale complessivo si ottiene infatti moltiplicando il reddito settimanale per il numero di settimane lavorate durante l’anno – considerando le settimane equivalenti full-time, in caso di contratti part-time. Quale dei due margini spiega quindi questa differenza nei redditi annuali?

In maniera forse sorprendente, dai dati emerge come entrambe queste due dimensioni giochino un ruolo. Nel 2021, il salario settimanale medio è infatti risultato più alto nel settore pubblico rispetto a quello privato, di circa il 7% – 630€ contro 590€ circa. A determinare tuttavia le maggior parte del divario osservato nei salari annuali sembra essere la quantità di tempo lavorato, che risulta nettamente più alta nel pubblico impiego. Nel 2021, le settimane lavorate in media durante l’anno dai dipendenti pubblici sono state pari a 50, mentre la stessa cifra scende ad una media di 38 settimane annue – sempre considerando le settimane equivalenti full-time – per gli occupati nel settore privato. I dipendenti nel settore privato sono in media soggetti ad un più alto rischio di rimanere senza alcun impiego per alcuni periodi dell’anno o di essere occupati in impieghi part-time, riducendo così le settimane lavorate e quindi il salario complessivo guadagnato durante l’anno – il minor tempo lavorato è infatti dovuto al tempo trascorso nella non-occupazione o ad occupazioni part-time.

Se quest’ultimo dato sulla stabilità lavorativa rispecchia dinamiche ampiamente note quando si tratta di pubblico impiego, l’evidenza che restituisce salari settimanali più alti per i lavoratori pubblici – a parità di tempo lavorato – merita di essere approfondita.

Composizione della forza lavoro e classi dimensionali

Il primo aspetto che può spiegare salari medi più alti nel pubblico impiego riguarda una diversa composizione della forza lavoro. Nel settore pubblico la forza lavoro è infatti relativamente più anziana rispetto al privato, e i lavoratori più anziani guadagnano in media salari più alti a causa di semplici dinamiche dovute a progressioni di carriera, indipendentemente dal loro settore di occupazione – pubblico o privato. Tenendo quindi in considerazione questa dimensione anagrafica possiamo confrontare il salario settimanale medio tra settore pubblico e settore privato per lavoratori con la stessa età. Così facendo troviamo differenze salariali minime. La Figura 2 compara in particolare il salario medio settimanale per i dipendenti pubblici e privati in base alla loro età – e genere. Dal grafico emerge come per ciascuna età considerata il salario medio settimanale sia molto simile tra pubblico e privato. Il salario settimanale aggregato medio – calcolato cioè tenendo assieme i lavoratori di tutte le età – è quindi più alto nel pubblico impiego principalmente a causa di una più alta percentuale di lavoratori anziani impiegati nelle pubbliche amministrazioni.

Figura 2. Salario settimanale medio per età (e genere)
Figura 2. Salario settimanale medio per età (e genere)
Fonte: XXII Rapporto INPS

Il secondo aspetto che può spiegare perché i salari nel settore pubblico siano in media più alti – sempre a parità di tempo lavorato – è infine legato alla classe dimensionale dei datori di lavoro. In questo contesto, il dato empirico di partenza riguarda il fatto che imprese più grandi – indipendentemente dal fatto che siano pubbliche o private – garantiscono in media ai propri dipendenti retribuzioni più alte. Andando quindi a confrontare le dimensioni, per numero di addetti, delle imprese pubbliche e di quelle private notiamo come gli enti pubblici – considerando la sede di servizio e non l’ente contributivo – siano in media realtà occupazionali più grandi. In particolare, nel settore privato il 16% circa dei contratti osservati fa riferimento ad imprese con meno di 6 dipendenti. La stessa percentuale nel pubblico impiego scende allo 0,4%. Al contrario, nel settore pubblico circa il 43% dell’occupazione è coperta da datori di lavoro con oltre 250 dipendenti, mentre nel privato la stessa percentuale scende al 31% circa. Anche questa diversa composizione della forza lavoro tra pubblico e privato dovuta alla classe dimensionale dei datori di lavoro spiega quindi parte dei differenziali salariali tra i due settori.

Da questa breve panoramica emerge quindi come i salari annuali più alti nel pubblico impiego siano anzitutto dovuti ad una maggiore stabilità lavorativa. A parità di tempo lavorato, i salari settimanali risultano invece molto simili tra pubblico e privato, e le differenze che emergono in aggregato sono quasi interamente dovute ad una diversa composizione della forza lavoro. Salari annuali mediamente più alti nel pubblico impiego suggeriscono inoltre come il fenomeno della povertà lavorativa – ossia di lavoratori con redditi annuali relativamente bassi rispetto alla popolazione – interessi principalmente il settore privato. In questo senso, recenti simulazioni hanno proprio mostrato come la povertà lavorativa sia in primo luogo trainata dalla quantità di tempo lavorato durante l’anno – maggiore nel pubblico impiego – e solo in seconda istanza dal salario corrisposto per unità di tempo.

Le prospettive di carriera per giovani lavoratori

Tenendo a mente queste dinamiche, è infine interessante restringere l’attenzione ad un particolare gruppo di lavoratori, focalizzandoci su coloro che entrano per la prima volta nel mercato del lavoro. I dati forniti da INPS permettono infatti di studiare quali siano le diverse prospettive di carriera tra pubblico e privato per giovani lavoratori impegnati nella loro prima esperienza lavorativa. In questo caso il campione di analisi viene quindi ristretto ai soli giovani lavoratori tra i 25 e i 34 anni al loro primo impiego, tra il 2014 e il 2021. Questi lavoratori vengono seguiti nel tempo, per un massimo di otto anni.

I dati permettono in particolare di osservare come evolvono in media i salari settimanali dei giovani lavoratori che si affacciano per la prima volta nel mercato del lavoro, differenziando tra coloro impiegati nel pubblico e coloro impiegati invece nel settore privato. Il salario medio settimanale durante il primo anno di lavoro è pari a circa 420€ nel settore privato e a 320€ nel settore pubblico. Oltre al diverso salario medio di ingresso, dai dati emerge come i salari medi nel settore privato crescano in maniera pressoché lineare nel tempo, superando i 600€ settimanali al settimo anno di carriera. Al contrario, i salari medi nel pubblico mostrano una progressione più lenta nel tempo, per appiattirsi già a partire dal quarto anno e stabilizzarsi in media sotto i 500€ settimanali. A parità di tempo lavorato, il settore privato retribuisce quindi meglio i giovani lavoratori durante i loro primi anni di carriera.

Tuttavia, il settore pubblico garantisce una maggiore stabilità occupazionale durante l’anno anche per i nuovi occupati che entrano nel mercato del lavoro. Le settimane lavorate in media durante l’anno – equivalenti full-time – sono infatti sistematicamente più alte per i giovani che fanno il loro ingresso nel mercato con un’occupazione nel pubblico impiego, sia durante il primo anno di lavoro sia per i primi sette anni di carriera osservati. Dopo sette anni di carriera, i lavoratori entrati nel privato sono impiegati in media 37 settimane durante l’anno a fronte di oltre 45 settimane lavorate nel settore pubblico.

Combinando quindi queste due dinamiche – salario settimanale e settimane lavorate – e considerando il salario medio annuale tra pubblico e privato per i giovani lavoratori, quello che emerge è come fino al terzo anno dall’ingresso nel mercato del lavoro i salari medi annuali siano pressoché simili tra i due settori. A fronte di salari settimanali più bassi, il pubblico impiego garantisce infatti un maggior numero di settimane lavorate durante l’anno. Dal quarto anno di lavoro in poi, tuttavia, il più alto numero di settimane lavorate nel pubblico non è più sufficiente per compensare i salari settimanali in media più bassi. Il reddito annuale complessivo a partire dal quarto anno cresce quindi in maniera più marcata nel settore privato, arrivando a superare i 25mila euro annui al settimo anno dall’ingresso nel mercato del lavoro – durante lo stesso periodo, il salario medio annuale nel pubblico impiego si ferma invece a circa 22mila euro.

Figura 3. Salario annuale medio ed esperienza nel mercato del lavoro
Figura 3. Salario annuale medio ed esperienza nel mercato del lavoro
Fonte: XXII Rapporto INPS

I dati sin qui mostrati, seppur parziali – non tengono per esempio in conto delle diverse tipologie di occupazioni tra pubblico e privato – evidenziano chiaramente come la stabilità occupazionale rimanga il punto di forza del settore pubblico. Questa maggiore stabilità occupazionale – in termini di occupazioni full-time o in termini di minore rischio di disoccupazione – è garantita anche ai giovani che entrano per la prima volta nel mercato del lavoro, a scapito però di avanzamenti salariali nel tempo. A meno di interventi sul fronte salariale, il trade-off tra stabilità lavorativa e livelli salariali è quindi al momento l’aspetto chiave in base al quale diversi lavoratori, guidati dalle proprie preferenze ed esigenze, andranno a scegliere di intraprendere una carriera nel pubblico o nel privato.