In Italia le diseguaglianze salariali sono basse. È quanto sostenuto da alcuni recenti contributi che hanno confrontato le divergenze di reddito tra lavoratori dipendenti in diversi paesi Europei – tra questi interventi anche uno di Boldrin e Fatello sulla nostra testata. Il risultato va però preso con molta cautela, in quanto frutto di un dato Eurostat che cattura solo il 45% circa dei lavoratori Italiani, coloro che sono cioè impiegati come dipendenti nel settore privato e in imprese con almeno dieci addetti.
Rimangono quindi escluse ampie categorie di lavoratori. In Italia, infatti, il 20% circa dei lavoratori è impiegato nel settore pubblico (il dato è ricavato dai settori Ateco Istat), il 15% circa è impiegato come dipendente privato in imprese con meno di dieci addetti, il restante 20% circa è infine impiegato come lavoratore non dipendente nel settore privato (dati Istat, 2022).
Con questo intervento mostriamo come il campione Eurostat dei soli lavoratori alle dipendenze nelle imprese private con almeno dieci addetti sottostimi in maniera più o meno importante – a seconda delle categorie escluse – le diseguaglianze nel nostro mercato del lavoro. Per farlo ci affidiamo ai microdati sui bilanci delle famiglie forniti da Banca di Italia.*
I dipendenti nelle piccole imprese
Tra i lavoratori alle dipendenze nel settore privato, il 14% risulta impiegato in imprese con meno di 5 addetti e il 22% in imprese che contano tra i 5 e i 15 addetti. Focalizzandoci sul salario dei dipendenti impiegati nelle grandi imprese con più di 15 addetti, otteniamo un dato sulle diseguaglianze molto simile a quello che emerge dai dati Eurostat per il 2018 (purtroppo il dato di Banca di Italia non considera la soglia dei 10 addetti, quella invece utilizzata da Eurostat per la definizione del campione di analisi). In particolare, nel 2020, per questo campione di dipendenti il rapporto tra il 90esimo e il decimo percentile salariale (P90/P10, nel seguito) è risultato pari a 2.7. In altre parole, le persone con salari più alti guadagnano circa 2.7 volte tanto quanto guadagnano le persone con i salari più bassi.
Come cambia quindi il dato se allarghiamo il campione anche ai lavoratori dipendenti impiegati nelle imprese più piccole? Il rapporto P90/P10 sale leggermente da 2.7 a 2.8 se consideriamo i lavoratori impiegati nelle imprese private con almeno 5 addetti, e cresce ulteriormente a 3.1 se consideriamo tutti i lavoratori dipendenti, anche quelli impiegati nelle imprese private con meno di 5 addetti. Questi numeri mostrano quindi come il dato sulle diseguaglianze salariali cresca man mano che il campione di analisi si allarga anche ai lavoratori dipendenti impiegati nelle piccole imprese.
I lavoratori autonomi
Un’altra importante categoria di lavoratori esclusa dal campione Eurostat fa riferimento ai lavoratori non dipendenti. Secondo i dati di Banca di Italia, l’80% circa dei lavoratori indipendenti è costituito da lavoratori professionisti, imprese individuali o da artigiani in proprio – nel seguito ci riferiamo a questa categoria indicandola come quella dei cosiddetti lavoratori autonomi. Il restante 20% circa dei lavoratori indipendenti è invece composto da soci o gestori di società. Considerando i lavoratori autonomi, è interessante notare come nel 70% dei casi questi non abbiano alcuna persona impiegata alle proprie dipendenze – è quindi fuorviante riferirsi alla categoria degli indipendenti come a quella dei cosiddetti datori di lavoro.
Se da un lato, nella disamina delle diseguaglianze nel mercato del lavoro, è opportuno escludere coloro che ricevono un reddito da capitale e non da lavoro – è questo verosimilmente il caso dei lavoratori indipendenti impiegati come soci o gestori di società – dall’altro lato risulta poco utile escludere persone che ricevono comunque un reddito da lavoro, pur non essendo impiegate alle dipendenze. Si pensi ad esempio a due lavoratori che svolgono la stessa identica mansione. Il primo è impiegato come architetto da una impresa, e risulta quindi un lavoratore dipendente il cui salario è incluso nel dato Eurostat sulle diseguaglianze. Il secondo è invece un architetto con partita IVA, che non viene quindi catturato da quel campione di analisi.
Gli autonomi senza dipendenti
A rafforzare l’idea che sia importante considerare questo gruppo di lavoratori nella disamina delle diseguaglianze nel mercato del lavoro, vi è anche un recente lavoro accademico di Boeri, Krueger, Giupponi e Machin (2020), in cui gli autori studiano la condizione dei lavoratori autonomi senza dipendenti. Nel loro studio sottolineano come questi contratti di lavoro autonomo nascondano spesso condizioni di lavoro dipendente de facto, con scarsa, se non del tutto assente, flessibilità nella scelta dell’orario di lavoro.
Utilizzando i dati di Banca di Italia abbiamo quindi ampliato il campione di analisi considerando anche i lavoratori autonomi senza dipendenti – rimangono esclusi gli autonomi con dipendenti e i soci o gestori di società. Quanto emerge dall’utilizzo di questo campione allargato è che la forbice delle diseguaglianze – il rapporto P90/P10 – si allarga ulteriormente, passando da 3.1 a 3.3. Considerando anche gli autonomi con uno o due collaboratori dipendenti – e continuando ad escludere i soci o gestori di società – il rapporto P90/P10 sale a quota 3.6.
Anche questi dati confermano quindi come il campione dei soli lavoratori alle dipendenze nelle imprese private con più di dieci addetti sottostimi in maniera più o meno importante – a seconda delle categorie escluse – le diseguaglianze nel nostro mercato del lavoro. Un aspetto che rimane da indagare – e che al momento va oltre lo scopo di questo contributo – è quanto tale discrepanza vada ad influire sulla posizione dell’Italia nel confronto con altri paesi europei, in termini di diseguaglianze salariali e reddituali nel mercato del lavoro.
* (ndr) Consideriamo in particolare l’ultima survey disponibile, che fa riferimento al 2020, e restringiamo il campione di analisi ai lavoratori tra i 16 e i 64 anni di età. La misura di reddito utilizzata per i lavoratori dipendenti fa riferimento al reddito individuale netto, rapportato al numero di mensilità lavorate durante l’anno. Per gli autonomi, la misura di reddito utilizzata fa riferimento ai proventi netti imputabili alla quota familiare, rapportati a dodici mensilità annuali. Nel calcolare il rapporto P90/P10 vengono esclusi i valori di reddito estremamente alti o bassi – i.e. sotto il primo o sopra il 99esimo percentile. Infine, continuiamo a focalizzarci sui soli lavoratori impiegati nel settore privato, escludendo il settore pubblico.
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