Crescita moderata nel 2023 per l’Eurozona (+0,7%), recessione per la Germania (-0,5%), Stati Uniti (+2,1) e Cina (+5%) in crescita. Queste le previsioni del Fondo monetario internazionale rese note poche ore prima dello scoppio del conflitto tra Israele e Hamas che ha messo ancora più incertezza nell’economia, già alle prese con lo spettro dell’inflazione che non molla, di tassi che non scendono (anzi, salgono) e della guerra Russia-Ucraina tutt’altro che conclusa. E c’è chi - Daniel Hartmann, economista capo di Bantleon, società zurighese di gestione patrimoniale - vedeva, sempre prima della guerra in Palestina, una recessione mondiale, con forte impatto sui mercati finanziari e una caduta dei corsi azionari del 20-30%.

L'ombra di una recessione mondiale

E adesso, dall’andamento economico all’immobiliare passando da valute e materie prime, ovunque si guardi è l’incertezza a regnare sovrana. E se l’incertezza è normale ed è il “sale” necessario della speculazione,  da un paio d’anni nulla è più certo. A partire dalla guerra in Ucraina tutti i fragili equilibri mondiali sono saltati e ora l’escalation della tensione tra israeliani e palestinesi aumenta non di poco il tasso di incertezza globale. Per l'Europa, la guerra tra Hamas e Israele rappresenta uno dei rischi geopolitici più significativi per i mercati del petrolio e del gas dall'invasione dell'Ucraina da parte della Russia. Tuttavia, il gas naturale è stata la commodity che ha visto un aumento dei prezzi in modo anomalo, registrando un incremento del 5% nei giorni successivi all’attacco di Hamas a Israele con le quotazioni future scattate in avanti (con un + 15% a 43,95 euro al MWh al 10 ottobre scorso) visto che una significativa parte del gas naturale utilizzato a livello globale proviene dal Medio Oriente e dal Nord Africa, in particolare da paesi come l’Iran, l’Arabia Saudita, il Qatar e l’Algeria.

Il nuovo conflitto in Medio Oriente rischia di far ripartire la spirale dei prezzi dei carburanti

Tuttavia, anche per quanto riguarda il petrolio, la situazione è tutt’altro che definitiva. Potrebbe complicarsi ulteriormente se i principali produttori di petrolio nel Medio Oriente decidessero di agire come fecero durante la guerra dello Yom Kippur del 1973. In quel frangente, i paesi arabi membri dell’Opec (l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio) innalzarono artificialmente il prezzo del petrolio greggio e interruppero le forniture ai paesi filoisraeliani. Se l’Iran, il settimo produttore mondiale con una produzione giornaliera di 3,3 milioni di barili, adottasse una simile misura, il prezzo del petrolio potrebbe salire in modo significativo. Se però la guerra fosse lunga e allargata al Golfo Persico, secondo il presidente di Nomisma Energia Davide Tabarelli, il rialzo dei prezzi potrebbe essere "senza fine", con la possibilità che il barile di greggio salga fino a 150 dollari al barile (dagli 85 che quotava il 17 ottobre) con la benzina a 2,5 euro al litro.

Calano gli ordini di rame

Sempre in tema di materie prime anche il rame si mantiene su prezzi elevati, seppure in calo rispetto ai picchi della prima metà del 2022. Nonostante questo calo, le esportazioni cilene mensili di rame sono scese sotto ai 3,5 miliardi di dollari. Dalle auto ai cavi high-tech, il rame è elemento chiave di molti prodotti e la nazione andina è il maggior produttore mondiale. Se la domanda per il rame cileno è debole, è probabile che lo sia anche la crescita dell’economia mondiale.

Oltre al settore energetico e delle materie prime, le compagnie aeree sono state anch’esse influenzate dalle conseguenze economiche del conflitto in Israele. I titoli di compagnie come Delta, United, American Airlines, International Airlines Group (proprietaria di British Airways) e Lufthansa hanno subito un calo in risposta all’instabilità generata dalla guerra.

Il parere degli esperti

Gli investitori stanno cercando di proteggersi dalle conseguenze economiche del conflitto, e questo è evidenziato dal fatto che l’oro, tradizionalmente considerato un bene rifugio, ha registrato un aumento del 3,5% dall’inizio della guerra in Israele e i future sull’oro viaggiano (al 17 ottobre) intorno ai 1930 dollari. «Va comunque detto – spiega Daniele Caroni, responsabile finanza del Gruppo Bcc Iccrea - che un aumento prolungato del prezzo del petrolio avrebbe ripercussioni negative sull'inflazione e potrebbe costringere le banche centrali a mantenere i tassi di interesse in territorio restrittivo per più tempo di quanto scontato oggi dai mercati».

«Lo scoppio del conflitto tra Israele e Hamas ha aggiunto un ulteriore fattore di forte incertezza ad un contesto macro economico già di per sé estremamente complicato –  spiega Massimiliano Maxia, senior product specialist di Allianz Global Investors- e ci si può attendere che possa portare alla cosiddetta  “Fly to Quality” che significa ridurre al massimo il rischio all’interno dei loro portafogli con prodotti di elevata certezza». Oppure di breve durata; in questo senso, gli esperti di Zest, società di gestione indipendente con sede a Lugano inoltre, rilevano come «Il rischio geopolitico spinga il reddito fisso a breve termine a diventare nuovamente un rifugio sicuro»

. Sempre sul fronte obbligazionario, se guardiamo agli Stati Uniti, e non solo, più la scadenza del titolo di Stato è a lungo termine, più alto è il suo rendimento. Di conseguenza, la curva che misura la differenza tra i rendimenti dei bond a 10 anni con quelli a 3 mesi ha generalmente valori positivi. Invece, la curva è scesa nel quadrante negativo (ovvero, gli investitori sono più pessimisti circa le prospettive a lungo termine). In passato a periodi con valori negativi è quasi sempre seguita una recessione.