L'Arabia Saudita avrebbe voluto tagliare la produzione in accordo con gli altri Paesi che fanno parte del cartello petrolifero (l'OPEC), ma la Russia (che non fa parte del cartello, ma partecipa, infatti, si usa dire OPEC+) si è opposta. Il taglio (la riduzione dell'offerta) proposto dai sauditi sarebbe servito a tenere in alto i prezzi. Come mai la Russia si è rifiutata?

La previsione per il prossimo futuro è che vi sia e vi sarà una flessione, se non una caduta della domanda di energia, come frutto di una minor crescita dell'economia, che peraltro si manifesta da prima dell'arrivo del famigerato corona virus. Se l'offerta è elevata e cade la domanda, ecco che i prezzi cadono, a meno di tagliare l'offerta. L’Arabia ha allora deciso - a fronte del rifiuto russo di tagliare la produzione - di aumentare la produzione, ciò che ha fatto crollare i prezzi. Facendo crollare i prezzi, e quindi gli introiti fiscali dei petro-stati nonché la loro capacità di importare grazie alle esportazioni di energia, i sauditi contano di spingere verso "più miti consigli" la Russia.

Non è detto che ci riescano. La ragione è nei diversi prezzi del barile che portano in pareggio il bilancio dello stato e la bilancia commerciale di Russia ed Arabia. Andiamo per gradi. 

Quanto si parla di petrolio si deve, infatti, tenere a mente quel prezzo che consente il pareggio del bilancio pubblico dei Paesi petroliferi. I quali ottengono il consenso politico grazie al bilancio pubblico centrato sul petrolio. Il gettito del petrolio consente, infatti, di avere un gettito fiscale ex-petrolio minimo, ciò che non mette in moto il “no taxation without representation”. I Paesi petroliferi sono tutti autocratici, e non per caso. Salvo quelli che erano democratici da prima che scoprissero il petrolio, come gli Stati Uniti e la Norvegia.

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Per chi volesse approfondire l'impatto dei redditi da petrolio sul bilancio pubblico si veda la tavola numero 6:

https://www.imf.org/~/media/Files/Publications/REO/MCD-CCA/2019/April/English/Statistical-Appendix.ashx

Per chi volesse approfondire l'impatto dei redditi da petrolio sulla bilancia commerciale si veda questo studio:

https://cdn.cfr.org/sites/default/files/report_pdf/Discussion_Paper_Setser_Frank_Breakevens_OR_1.pdf

Fatti i conti, la Russia è in pareggio con il bilancio dello stato così come con l'estero con il petrolio a 40 dollari a barile. L'Arabia Saudita è in pareggio con il bilancio dello stato a 80 dollari e con l'estero a 60 dollari al barile.

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Il mondo del petrolio e del gas da qualche tempo è sconvolto da una nuova tecnologia che rende possibile l'estrazione frantumando le rocce (shale oilshale gas). Tecnologia che è in uso soprattutto negli Stati Uniti, dove si ha, a differenza dell'Europa, sia la proprietà privata del sottosuolo sia un sistema finanziario propenso a favorire le innovazioni. Una combinazione che incentiva l'iniziativa privata nel campo della materie prime.

Una volta che la produzione di shale sia diventata cospicua ed una volta che il prezzo del petrolio e del gas di si sia stabilizzato ad un livello abbastanza elevato, in modo che anche i pozzi meno efficienti possano continuare a produrre, ecco che sorge Oltre Atlantico la tentazione di far leva sull'offerta di petrolio e gas per cambiare nel mondo i rapporti di forza in campo politico. Una volta che lo shale oil e lo shale gas statunitense, infatti, sostituisse anche in parte il petrolio e il gas estratto dai paesi autocratici, che sono la quasi totalità dei produttori di materie prime, questi ultimi finirebbero col perdere, per effetto della nuova offerta a fronte di una domanda che cresce meno che in passato, una parte cospicua della loro maggiore fonte di reddito e quindi di potenza.

La mossa russa sembra avere questa motivazione (peraltro non nuova, se non altro perché qualche anno fa questa sembrava essere la strategia dei sauditi). Gli Stati Uniti grazie allo shale oil possono mettere – certo non oggi ma in un futuro non troppo lontano - in difficoltà le esportazioni energetiche russe e il potere di condizionamento che ne deriva. Con il prezzo del petrolio in caduta l'estrazione dello shale diventa difficile, perché ha dei costi elevati ed è finanziata a debito. Se le cose si mettono male in questo settore, ecco che viene meno una fonte di finanziamento importante del concorrente della Russia.

Mette conto ricordare i punti di forza e di debolezza dei contendenti. Il bilancio dello stato russo è in pareggio con il petrolio intorno 40 dollari, quello saudita al 80, ma i sauditi hanno a disposizione un'enorme ricchezza che possono disinvestire per finanziare per un tempo non breve dei deficit pubblici che – proprio per la caduta del prezzo del petrolio – possono diventare elevati. Anche i russi dispongono di una enorme ricchezza accumulata negli ultimi anni, come si evince qui:

https://www.ft.com/content/ce35945a-62dc-11ea-b3f3-fe4680ea68b5

E' quindi molto difficile prevedere chi fra russi e sauditi potrà vincere il braccio di ferro.

Come che sia, intanto i prezzo del petrolio, come mostra il grafico,  è caduto da 65 a 35 dolari al barile.

 

petrolio 12 marzo
petrolio 12 marzo

 

Questo per la cronaca ultima. La quale va vista in un contesto più ampio, che è quello del ruolo del petrolio nell'economia. Ecco il contesto nel secondo box.

 

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L’ultimo secolo e mezzo ha avuto come co-protagonista il petrolio: basta immaginare che cosa sarebbe il mondo d’oggi senza i trasporti, i fertilizzanti, la plastica. Ci muoveremmo meno, saremmo meno numerosi, e non potremmo avere molte comodità. Il petrolio si è formato in “tempi geologici”, ed è consumato in “tempi storici”. Non è possibile produrre nuovo petrolio in “tempi storici”, perciò si consuma quello esistente. Si è consumato velocemente quello che ad oggi costa meno estrarre – che è pari a circa un terzo delle riserve. Quello che costerebbe molto estrarre non si è ancora consumato – ed è pari a circa due terzi delle riserve. Dunque il petrolio disponibile per via “economica” fino ad oggi è stato inferiore al petrolio disponibile per via “fisica”.

Le alternative al petrolio – le energie alternative – sono meno efficienti: un barile produce più energia dei molti giri di pale dei moderni mulini. Quando il petrolio era l’energia alternativa, era più efficiente del carbone, l’energia allora dominante. Quando il carbone era l’energia alternativa, era più efficiente delle energie allora dominanti: il legname e la forza degli animali e degli umani. Insomma, per la prima volta, l’energia “nuova” è meno efficiente dell’energia “vecchia”.

La prima conclusione è che il petrolio è la miglior energia di cui disponiamo, allo stato delle nostre conoscenze.

Il consumo di petrolio aumenta, se gli umani diventano più numerosi, e se diventano più ricchi, e se diventando più ricchi ecco che consumano di più. Il consumo di petrolio, invece, diminuisce (precisamente il consumo per unità di PIL, non quello assoluto) con il progresso tecnico. Nel prossimo futuro, dovremmo (noi umani) diventare più numerosi ed i Paesi in via di sviluppo dovrebbero diventare più ricchi. Resta - per frenare gli effetti sui prezzi della crescita della domanda di petrolio – solo lo sviluppo della tecnologia. La quale tecnologia (non quella delle energie alternative) assume la forma delle migliori tecniche d’estrazione e del risparmio energetico. La conclusione è che il prezzo del petrolio ha un movimento “lungo” al rialzo con delle forti escursioni intermedie al ribasso, come quella del 2014, e quella odierna.

La seconda conclusione ha come implicazione la forte escursione della forza e della debolezza politica dei petro-stati.

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Una versione ristretta della nota è apparsa su: https://www.linkiesta.it/it/article/2020/03/12/opec-prezzo-petrolio-arabia-saudita-russia/45788/