In molti pensano che l'Europa diventerà Eurabia (1), a meno di una forte reazione per impedire che questo avvenga. Se questo evento avesse un qualche probabilità – una probabilità diversa da zero va sempre riconosciuta – dovremmo registrare – assumendo che gli eventi siano anticipati – una catastrofe in campo economico – e non solo. Così però non è. La conclusione finanziaria è che possiamo avere delle escursioni dei prezzi in seguito alle tensioni in corso, ma che è ben difficile che si vada molto oltre. L'argomentazione a favore della tesi della tenuta dell'Europa è meta-economica.

Semmai diventassimo Eurabia, il nostro sistema fiscale per la parte volta a finanziare lo stato sociale sarebbe sostituito dalla Zakat. Invece dei diritti di cittadinanza finanziati dalla fiscalità progressiva, avremmo l'aiuto ai “bisognosi” che si attua con una imposta “purificatoria” molto bassa e, si noti, non progressiva. Si avrebbe come conseguenza la “crisi fiscale” degli stati europei, che continuerebbero a dover erogare servizi, raccogliendo delle imposte minime, almeno fino a quando gli europei di antico radicamento non accettassero di diventare dei “bisognosi”, invece che dei “portatori di diritti”. Perciò, se diventassimo Eurabia, il nostro debito pubblico non sarebbe più sostenibile. I rendimenti - di conseguenza - esploderebbero. Se non esplodono, allora abbiamo a che fare o con una “miopia” dei mercati o con degli investitori che non credono nell'Eurabia.

Semmai diventassimo Eurabia, avremmo la religione ed il diritto sullo stesso piano, anzi con il secondo che deriva dalla prima. Le imprese si muoverebbero con una minor “certezza del diritto”, e perciò smetterebbero di investire, o, al massimo, rinnoverebbero le tecnologie in uso. Le borse dovrebbero quindi crollare. Se non crollano, allora abbiamo a che fare o con una “miopia” dei mercati o con degli investitori che non credono nell'Eurabia.

Insomma, l'Eurabia-filia e l'Eurabia-fobia sembrano confinate ad alcuni ambiti del mondo politico e del mondo intellettuale, con tutti gli altri mondi che seguono gli accesi dibattiti, ma che non credono nella tragedia, e continuano a vivere come prima. E perché non credono nella tragedia? Esiste una argomentazione che spieghi questa sicurezza che le cose così come sono oggi in Europa e negli Stati Uniti, così saranno domani? Un'argomentazione è quella di Raymon Boudon: Il relativismo, Il Mulino, 2009, che riduco in poche pillole.

Gli umani hanno le stesse strutture di pensiero, che, solo astraendo dal contesto, possono sembrare diverse. Per esempio, a noi la danza della pioggia pare ridicola, ma essa si svolgeva nei periodi in cui la pioggia aveva la massima probabilità di palesarsi. Commettendo l'errore di confondere una correlazione spuria con un andamento causale, i primitivi potevano credere nello stregone come uno dotato di poteri particolari. Col tempo queste usanze sono scomparse, ed oggi si assiste ai programmi di previsione del tempo, dove ci sono, forse, dei divi, ma non degli stregoni. Va detto - per correttezza verso i primitivi - che ancora oggi le correlazioni spurie hanno un gran seguito.

Se assumiamo che col passare del tempo sia possibile avere un progresso – si hanno le stesse strutture di pensiero, ma si sa molto di più - allora possiamo arrivare alla conclusione che i valori della nostra civiltà possano essere condivisi. “Il porto è il punto di riferimento per coloro che si trovano su una nave; ma dove troveremo mai un punto fermo nella morale?” - si chiede Pascal. “In questa unica massima accettata da tutti i popoli: non fate agli altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi” - risponde Voltaire. Si noti di passaggio che la religione cristiana è posta da Voltaire nei limiti della semplice ragione, o, potremmo dire, del buon senso.

Vi sono delle verità (con la “v” minuscola) che a noi ormai paiono banali, ma che sono sorte a fatica nel corso dei millenni, e che hanno accelerato la propria diffusione solo negli ultimi secoli (con una forte eccezione nel secolo scorso, quello dei Totalitarismi). In breve, in quattro passaggi, le verità divenute banali.

Nulla impedisce di cercare nella religione “il senso” della vita e della morte, anche perché la scienza non è in grado di definirlo. Le religioni offrono il senso, e lo definiscono entro i confini della fede. Se così non fosse, se si potesse rispondere alla domanda di senso fuori dalla fede, anche la scienza potrebbe offrire il senso.

Non si può dimostrare (attenzione “dimostrare” non “rivelare”) che la risposta all'offerta di “senso” di una religione sia meglio di quella offerta da un'altra. Ammettendo questo, si rispetta l'Altro.

E qui arriva la parte complessa. Non siamo, come potrebbe sembrare, nel campo in cui tutto si equivale. Se la religione offre senso, ma non si ha modo di affermare che una religione è meglio di un'altra, ecco che si deve accettare la separazione del campo spirituale da quello temporale. Laddove ognuno può comportarsi come meglio crede.

In questo modo tutto ciò che non nuoce ad un altro è lecito. Siccome il qualcun altro è un individuo, non sono ammesse le limitazioni alle sue libertà, come avviene con gli umani di genere femminile in alcune religioni. Questa, a ben guardare, è un'idea liberale. Si fondano le proprie valutazioni su delle ragioni che si vede che possano essere condivise, e condivise perché razionali

Fin qui Boudon.

Oggi abbiamo un forte scontro – la “guerra civile” islamica fra sciiti e sunniti, che, portata in ambito europeo, spinge alcuni a temere che potremmo essere fagocitati attraverso la combinazione di una religione estranea che si espande e di un terrorismo che ci inibisce. E potremmo essere fagocitati, perché, alla fine, non crediamo nei “nostri valori”. Questa è la conclusione dibattuta concitatamente – chiamiamola di ciclo, dell'Eurabia e dei suoi avversari.

E, invece, nei “nostri valori” ci crediamo. I nostri valori sono quelli che le “società aperte”, alla fine, possono prevalere proprio perché ragionevoli, e gli umani – nonostante tutto – sanno ragionare. Questo ci rende imbelli? Si, nel senso che l'”eroico” dell'aristocratico è diventato – peraltro dopo due Grandi Guerre - il “prosaico” del borghese occidentale (2). Ma il prosaico ha intanto prodotto delle tecnologie militari e di sicurezza che l'eroico non riusciva ad immaginare. (Se così non fosse, il terrorismo non sarebbe “low cost” - coltelli, mitragliatori, eccetera - ma combatterebbe su un piano militare maggiore).  Perciò abbiamo il borghese che vuole vivere in pace, dedicandosi alla propria felicità, ma che è difficilmente scalzabile, sia sul piano morale, perché crede in quello che sta facendo, sia su quello militare. Questa è la conclusione meno dibattuta – chiamiamola di trend, ed è quella condivisa dalla maggioranza (“silenziosa”) della popolazione.

Postilla

L'Islam è arretrato – arretrato è qui inteso in senso “occidentale”, ossia ha un mediocre sviluppo sia civile sia economico. In senso “non occidentale” il concetto di arretratezza non è poi chiaro, perché quel che conta – secondo i fondamentalisti - è il vivere secondo la “rivelazione”.

Per molti l'arretratezza dipende dal colonialismo occidentale, senza il quale ci sarebbe stato sviluppo – qui va inteso in senso occidentale - anche nell'Islam. E questo perché non è nella “natura” dell'Islam essere arretrato, visto che fino al XII secolo era una civiltà molto avanzata. Dunque, se non è nella sua natura, allora la causa dell'arretratezza non può che essere esterna – come l'arrivo dei Mongoli prima, e degli Europei poi. Il ragionamento porta addirittura alla conclusione che quel che di orribile accade oggi in Europa ha delle lontane radici europee – delle “colpe”.

Secondo altri l'arretratezza dell'Islam si è, invece, prodotta per cause interne (3), (4). In breve, l'assenza di “certezza del diritto”, che inibiva ogni attività che avesse un orizzonte temporale di una qualche consistenza e la subordinazione della cultura alla “rivelazione”. La stagnazione dell'Islam si è, infatti, palesata da ben prima che Napoleone arrivasse in Egitto ad osservare la storia dall'alto delle Piramidi millenarie.

L'arretratezza civile ed economica dell'Islam – che, alla fine, diventa scientifica e tecnologica – spiega il divario militare.

Infine, chi emigra tende a mantenere in una prima fase i propri costumi, per poi assimilarsi (mai completamente) nel tempo (non breve). Questo insegna la storia dell'emigrazione non islamica, ma europea ed asiatica (5).

 

(1) https://it.wikipedia.org/wiki/Eurabia

(2) http://www.amazon.com/Where-Have-Soldiers-Gone-Transformation/dp/054708633

(3) Luciano Pellicani, Dalla società chiusa alla società aperta, Rubettino, da pagina 369

(4) Dan Diner, Il tempo sospeso, Garzanti, da pagina 177

(5) Thomas Sowell, Migrations and Cultures, Basic Books, da pagina 46

 

Pubblicato anche su:

http://noisefromamerika.org/articolo/eurabia-societa-aperta