I mercati finanziari riflettono oggi sia l'incertezza propria sia quella dell'economia reale. In un mondo complicato i mercati “cercano le informazioni”, ma non sempre le forniscono giuste e per tempo. Da qui l'incertezza.

 

 

 

Intanto, il rallentamento cinese ha innescato la caduta dei prezzi delle materie prime, e, attraverso questo canale, ha frenato la crescita dei paesi che le esportano. Poi, la pressione al ribasso delle materie prime sui prezzi, ossia la riduzione dell'inflazione corrente e attesa, alimenta le difficoltà dei debitori. Il debito è, infatti, meno oneroso, se i prezzi salgono. Infine, il rallentamento della crescita in generale spinge a post porre i piani di investimento, e quindi frena la spinta degli investimenti nella crescita del PIL. L'economia, alla fine, cresce meno con un'inflazione più bassa. In sostanza, quanto ha ricordato oggi Mario Draghi durante la conferenza stampa della Banca Centrale Europea.

Detto del rallentamento, resta la prima domanda: di quanto l'economia rallenta? Se rallenta poco, oppure molto. Cui segue la seconda domanda: il rallentamento durerà molto?

  • E' difficile avere delle stime attendibili. Le previsioni econometriche funzionano, infatti, quando le cose vanno “normalmente”, ma, quando si hanno delle mutazioni importanti, di solito “non ci pigliano”. Ciò avviene non per l'incapacità degli economisti, ma perché le previsioni sono ancorate alla struttura economica passata. Inoltre, le previsioni “macro” non sono in grado di “acchiappare” per tempo quelle “micro”. Per esempio, le connessioni fra una banca mal messa e tutte le altre banche, come avvenuto ai tempi della Lehman.

  • Si potrebbe allora cercare rifugio nella previsione implicita nell'andamento dei mercati finanziari. Il mercato delle azioni tende a ruotare frequentemente ed anche molto intorno al “giusto valore” (dato dallo sconto dei dividendi futuri). A parte questo, che non è poco, oggi i mercati delle azioni ruotano intorno ai loro massimi rispetto ai fondamentali (capitalizzazione in rapporto all'utile, al flusso di cassa, al fatturato, al patrimonio netto). Massimi che sono stati toccati nel 2000 e nel 2007. Perciò i mercati delle azioni “hanno in pancia” l'aspettativa di una ulteriore crescita, ma osserviamo i loro trascorsi, quando erano ai massimi. Dai loro massimi sono poi seguite una recessione morbida – nel 2001 - ed una recessione pesante – nel 2009. Gli investitori che deridono gli econometrici non hanno fatto molto meglio.

  • Resta, come rifugio, la curva dei rendimenti, che in passato, a differenza delle previsioni e delle borse azionarie, ha dato una buona prova di sé nell'anticipare gli andamenti dell'economia reale. Se i rendimenti a lungo termine sono maggiori di quelli a breve, allora l'aspettativa è quella di un rialzo dei tassi, rialzo che si ha quando l'economia cresce. Oggi i rendimenti a lungo termine sono molto più alti di quelli a breve, ma sono molto bassi rispetto alle medie storiche. Essendo così bassi – per esempio il Bund rende meno dell'uno per cento – non si può dire che incorporino chissà quale aspettativa di crescita futura, che porti le banche centrali a rialzare i tassi di interesse.

Insomma le previsioni non sono efficienti quando le cose mutano troppo, mentre le azioni sono care, perché scontano una crescita decorosa, di cui si dubita, e le obbligazioni sono care - ossia i prezzi sono alti in rapporto alle cedole, perché scontano una crescita modesta, di cui si dubita meno. Oppure anche: le azioni sono care, perché le obbligazioni rendono molto poco, e quindi sono care, non perché riflettano una qualche crescita decorosa, ma perché sono diventate il rifugio degli investimenti, in un mondo di rendimenti delle obbligazioni bassissimi. Non a caso, ogni volta che si annuncia una continuazione di politiche monetarie ultra espansive, quelle che schiacciano i rendimenti delle obbligazioni, le azioni salgono. In questo secondo caso, fosse mai quello giusto, sia le azioni sia le obbligazioni sconterebbero una crescita piuttosto modesta.