Il 2024 si annuncia come l’anno delle elezioni a livello globale: urne aperte a livello nazionale e locale in 76 paesi. Più della metà della popolazione a livello mondiale che potrà recarsi ai seggi. Si voterà in paesi chiave come Usa, Russia, India, Indonesia, oltre all’intera UE e a 18 paesi africani.

La democrazia scoppia di salute? Dopo anni di preoccupazioni sulla sua ritirata a livello globale, dobbiamo invece rilevarne una sorprendente persistenza? Ciò sarebbe vero solo se non ci interroghiamo su cosa intendiamo per "democrazia". Elidiamo spesso il termine che, a livello storico e teorico, la qualifica: liberale.

Le due logiche

Quando diciamo democrazia, in epoca moderna, intendiamo un regime dove le elezioni sono una parte fondamentale di un sistema più ampio e articolato. In questo sistema, costituzionalismo, separazione dei poteri, riconoscimento di libertà universali individuali, pluralismo di valori e protezione di minoranze sono pure condizioni necessarie per costruire un regime pienamente (liberal) democratico.

Il processo (democratico) elettorale decide chi governa; principi (liberali) indicano i limiti di legittimità di tale potere.

Il connubio tra la logica democratica (il governo dei molti, o addirittura, di tutti) e logica liberale (il governo secondo principi non soggetti a voto o decisioni popolari) si può considerare un sorprendente risultato – come mischiare olio e acqua – della tradizione storico-politica ottocentesca europea. Risultato che alle nostre latitudini consideriamo naturale in virtù della nostra abitudine ad esso.

In realtà, il liberalismo ha ben poco di democratico – se per democratico intendiamo l’ingresso delle masse nella storia politica. Ma soprattutto, la democrazia non ha nulla di intrinsecamente liberale. Pensatori (liberali) come Keynes o Croce ne erano pienamente consapevoli.

Appurato questo, possiamo riflettere su cosa rappresenti l’indigestione di elezioni nell’anno venturo: la democrazia (senza qualifiche) sta benissimo; il liberalismo no.

Detto altrimenti: dato che il liberalismo è componente essenziale della democrazia liberale, questa sta necessariamente male; altre forme di democrazia, più o meno illiberali, stanno bene. Analizziamo tre possibili variazioni su questo tema.

Prima variazione sul tema

Il caso più eclatante è un fenomeno studiato da tempo dai politologi. Le ‘democrazie illiberali’ (secondo un famoso articolo di Fareed Zakarya apparso su Foreign Affairs ormai 26 anni orsono) sono regimi ibridi: hanno caratteristiche della democrazia (elezioni regolari e abbastanza libere), ma non altre (rispetto di diritti civili, specie delle minoranze). Pensiamo alla Turchia e al suo trattamento dei curdi e, ultimamente, degli oppositori politici; all’India di Modi, islamofoba e violenta nel Kashmir; o addirittura all’Ungheria, dove Orban ha recentemente violato uno dei capisaldi del costituzionalismo liberale, ovvero l’indipendenza della magistratura.

Seconda variazione sul tema

Un secondo scenario sono regimi più propriamente autoritari: in Iran si vota per il rinnovo del majlis, il parlamento. In Russia ci sono le presidenziali. In entrambi i casi, elezioni non libere: nessuno trattiene il fiato per sapere chi sarà al Cremlino l’anno prossimo. Ma in controluce, anche regimi che non tengono elezioni libere vogliono tuttavia tenere elezioni. Anche qui, la politologia indica vari motivi per cui Putin perde tempo con consultazioni dal risultato già scritto: un modo per presentarsi con un’aura di legittimità a livello domestico e internazionale; e un sintomo del fatto che dichiararsi esplicitamente come anti-democratici (ovvero, deficienti di legittimazione popolare) non è qualcosa molto accettata in questa fase storica (diverso, per esempio, il discorso nell’Europa degli anni Trenta, dove regimi fascisti deridevano l’intera retorica democratica). Addirittura paesi come la Cina, certo tra i regimi più illiberali e anti-democratici al mondo, sostiene di avere in realtà un sistema ancor più democratico di quelli occidentali – una compiuta democrazia proletaria sotto l’egida del partito.

Terza variazione sul tema

Veniamo infine alla casa madre della democrazia liberale, l’Occidente. Il caso Trump, e la sua possibile rielezione, è solo la punta di un fenomeno più ampio, che in Europa conosciamo come ‘sovranismo’ – l’esasperazione di una retorica democratica e ‘sovrana’, ovvero scevra dei limiti imposti ad essa dal liberalismo. Per quanto detto sopra, è difficile pensare che vi possa essere effettiva democrazia senza la qualificazione di liberale. Anche in Occidente, dunque, assistiamo alla crisi del liberalismo.

Il grandangolo 

Possiamo ora cogliere una visione d’insieme. Il liberalismo non è solo un ingrediente di una effettiva democrazia. È stato anche, allo stesso tempo, un progetto politico che ha sostenuto lo sforzo dell’impero americano dopo la Second Guerra Mondiale, e ancor di più dopo la fine della Guerra Fredda. I principi fondamentali che dovevano regnare a livello domestico nelle democrazie liberali erano gli stessi che gli Usa facevano propri nel darsi una missione a livello globale. Per esempio, istituzioni come ONU, Fondo Monetario, Banca Mondiale e Organizzazione del Commercio sono tutte fondate tutte su principi liberali – persino la NATO.

Fenomeni come la globalizzazione e l’interdipendenza economica sono pure manifestazione di tali principi. Quando giustamente rileviamo le difficoltà dell’America nella gestione del suo potere, dei fronti aperti con altre grandi potenze, nei suoi conflitti interni, rileviamo una crisi del suo progetto liberale. Non vi è da stupirsi quindi se tale progetto conosce in questo periodo storico una fase di stanca: transitoria o sistemica che sia, non può essere nascosta da miriadi di tornate elettorali che indicano, in controluce, lo stato di sofferenza profonda dei principi liberali.