Fuffa o solido futuro? Sta qui la questione. Se è tutto effimero, allora lasciamo perdere e non raccontiamoci storie. Se è vero e c'è del fondamento, come sembra, allora bisogna tirare fuori le carte e fare sul serio. Non è un caso se abbiamo messo sotto la lente l'esperienza di Torino Social Impact. Non è per orgoglio subalpino, ma perché se si vuole cambiare questo benedetto paradigma dell'economia, cioè la prospettiva, la visione, bisogna fare sul serio e anche un po' in fretta.

L'economia d'impatto è ciò che civicamente è necessario per i prossimi anni? Non è questione di Greta, di mode o di ideologie, ma soltanto di concretezza. La massimizzazione del profitto ha fallito come anche, ne sono più che convinto, il bene totale predicato come obiettivo dall'economia politica tradizionale. Dunque, un cambio di passo ci vuole. Però, chi è impegnato sul fronte del social investing e della transizione (sia green sia blue) ne avverta tutta la responsabilità e la smetta di parlarsi addosso, in quell'insopportabile linguaggio per iniziati che rende antipatica ogni riflessione e non aiuta a capire. E si formino professionalità che si facciano capire dagli imprenditori,

Dall'altra, chi non è convinto - specie tra gli economisti più tradizionali - parli e si esprima, perbacco, senza scivolare in simpatie o antipatie, mugugni e corollari. For profit, no profit, o imprese "ibride"? That's the question.

Il professor Mario Calderini, punto di riferimento in Italia (e non solo), nel campo della Impact economy dice bene nell'intervista del nostro Primo Piano: non sta a noi, adesso, l'onere della prova, ma dobbiamo essere molto selettivi, anzi diventare "buttafuori" di furbi e approfittatori.

Gli imbucati ci saranno sempre, va da sè. Torino Social Impact sia dunque rigorosissimo come ecosistema, senza indulgenze, perché i boomerang fanno male e molto. Calderini, sullo scacchiere di questi temi, è comunque un catalizzatore: c'è chi lo ama e c'è chi lo detesta. Succede. Però, dico, intavoliamo il discorso, lasciando perdere gli aspetti personali. Già i decisori pubblici sono quello che sono e le leggi sono dannatamente complicate. Imprenditori che si ispirano alla economia civile ne esistono, fanno profitti e crescono, li vogliamo lasciare soli?

Sugli ESG - mantra su cui gli istituti di credito e non solo stanno sbarellando - c'è un fatto nuovo. Larry Fink, il guru di BlackRock,  si tira fuori. Ha dichiarato di "vergognarsi" di far parte del dibattito sull'ESG e che il termine è stato "strumentalizzato" da estremisti politici di entrambi gli schieramenti. Biosgna tirare fuori le carte e non raccontarsi frottole. La transizione ecologica è necessaria, ma costa un mucchio di soldi. E proprio i grandi gruppi bancari hanno tuttora in pancia investimenti enormi sul fronte delle energie fossili. Dove intendiamo andare?

Sarebbe interessante - ed è una proposta - che economisti, politici e intellettuali si confrontassero su questi temi sulle colonne di Mondo Economico. Mettendo sul tavolo le carte. Ci proviamo?