La Regione Emilia-Romagna ha disposto la sospensione del pagamento del payback – una sorta di restituzione da parte dei fornitori privati della maggiore spesa sostenuta dal settore sanitario rispetto a quella in budget - da parte di un'azienda, in attesa che il Tar chiarisca la correttezza del prelievo sulle imprese fornitrici di dispositivi medici (e, a quel che risulta, sarebbe stata fissata per il prossimo 24 ottobre un’udienza pilota per affrontare le questioni nel merito).  

Ora si tratta di capire se quello dell’Emilia-Romagna sia un primo (e isolato) provvedimento o se, come chiedono i fornitori, si possa pensare ad estendere lo stop al pagamento da parte di tutte le Regioni; e, come si legge in una richiesta agli enti del 10 luglio da parte di tutti i presidenti delle associazioni regionali aderenti a Confcommercio Fifo, si passi alla «immediata e prolungata sospensione dell’esecutività dei provvedimenti regionali adottati in esecuzione della norma in oggetto, nonché di tutte le conseguenti azioni di recupero delle somme ivi quantificate a titolo di payback, all’indomani dello scadere del termine di pagamento previsto per il prossimo 31 luglio» Entro quella data, infatti, le circa 1.800 aziende dei dispositivi medici che hanno presentato al Tar altrettanti ricorsi sull'attuazione del payback dovranno scegliere se ritirare i ricorsi e pagare con uno sconto la parte relativa al periodo 2015-2018 o andare avanti sul piano legale. Lo sconto deriva dal fondo di 1,1 miliardi messo a disposizione dallo Stato.

La posizione del Tar

Intanto il Tar, l’11 luglio, ha accolto le istanze cautelari di alcune aziende produttrici di dispositivi medici che hanno chiesto l'annullamento delle disposizioni ministeriali sulle quote payback dovute alle rispettive Regioni. Di fatto, fino a che non ci sarà una decisione nel merito, spiega l'ordinanza cautelare del Tar, le 17 aziende che hanno fatto ricorso ai Tar non devono rimborsare le Regioni. La sentenza definitiva potrebbe arrivare entro la fine dell'anno. Di fatto, sono oltre 1.400 le aziende e 190mila i posti di lavoro che potrebbero essere a rischio a seguito della congiuntura non favorevole e della richiesta di payback per dispositivi medici.

È quanto si apprende dallo Studio Nomisma “L’impatto del payback sulle imprese della filiera dei dispositivi medici”, commissionato da PmiSanità e da Fifo Sanità Confcommercio. Lo studio ha interessato 4.000 società della filiera dei dispositivi medici attive in tutta Italia. Si tratta di imprese che, per altro, hanno già versato imposte per 3,8 miliardi di euro nei quattro anni interessati dalla richiesta di ripiano, ai quali si aggiungerebbe la relativa quota di payback (pari a 704 milioni di euro). L’impatto risulterebbe particolarmente gravoso sulle Pmi, tipicamente più fragili e meno capitalizzate, che sarebbero chiamate a versare un importo pari a oltre 1/3 dei margini lordi e oltre il 60% degli utili prodotti nell’ultimo esercizio. Per non dire il payback si applica solo alle forniture non inventariabili (tipicamente il monouso come le siringhe) mentre chi vende macchinari (come i robot) o servizi (come il lava-nolo e la sicurezza) non deve pagare nulla (altra cosa logicamente molto discutibile).  

Le aziende in campo

«Abbiamo notizia – spiega Giorgio Sandrolini Cortesi, presidente dei fornitori sanitari dell’Emilia-Romagna  – di un'azienda in Sardegna che su 12 milioni di fatturato nel periodo 2015-2028 ne deve 8,9 di payback, mentre in Toscana si profilano diverse chiusure, così come molti hanno chiuso e poi riaperto cambiando linee di prodotto e scegliendo di non lavorare più con il pubblico, visto che il payback  si applica solo alle forniture pubbliche. Da parte nostra apprezziamo che la Regione Emilia-Romagna abbia in un caso sospeso l’esazione e confidiamo che la cosa possa essere estesa almeno a tutte le aziende che hanno fatto ricorso».

Massimiliano Boggetti, presidente Confindustria dispositivi medici

Intanto, secondo Massimiliano Boggetti presidente di Confindustria dispositivi medici «la sospensiva del Tar rappresenta una prima importante presa di posizione e va nella logica di quanto abbiamo sempre sostenuto, ovvero che la norma del payback è ingiusta e incostituzionale. Chiediamo pertanto ancora al governo di spostare ulteriormente i termini di pagamento del payback a fine anno per poter trovare soluzioni efficaci di governance del settore che consentano di superare la norma e cancellarla. Inoltre, le istanze cautelari del Tar Lazio, a cui immaginiamo ne seguiranno delle altre, rischiano di mettere in ulteriore difficoltà le piccole imprese che non sono ricorse al Tribunale amministrativo perché non in grado di affrontare il contenzioso. È fondamentale cancellare questa norma con urgenza per salvaguardare non solo la vita di tante imprese, ma soprattutto per garantire che ai pazienti arrivino le cure necessarie possibili solo grazie all'utilizzo dei dispositivi medici».

Regioni sommerse dai debiti

Da parte loro anche le Regioni sono in difficoltà sia sul versante economico sia su quello operativo. «La norma sul payback per farmaci e dispositivi medici – spiega  il coordinatore della commissione Salute delle Regioni, Raffaele Donini - sarebbe ridicola, se non fosse drammatica. È stata approvata anni fa e rimase ferma per anni e si è 'risvegliata' quando le Regioni si sono ritrovate al collasso, con le spese sostenute per la pandemia Covid-19. Ora c’è un decreto esecutivo e le Regioni, se non lo applicano, sono colpevoli di danno erariale: questo è un sistema inaccettabile». D’altra parte, il deficit delle Regioni galoppa e i fondi dei payback servono per tappare parzialmente la falla: si pensi che la sola Emilia-Romagna, che nel periodo 2015-2018 aveva fatto registrare un disavanzo di 460 milioni, è arrivata a 500 milioni nel 2022. D’altra parte è però folle chiedere alle imprese di partecipare alla copertura del buco: «Come gruppo Lanzoni – spiega Giorgio Sandrolini Cortesi – nel periodo 2015-2018 abbiamo fatturato circa 8 milioni e ci troviamo a doverne pagare 1,3; considerando che la marginalità si è ridotta a meno del 30%, su cui poi dobbiamo pagare le tasse, significa che con il payback ci mangiamo tutto l’utile. I partiti sono tutti, giustamente, scandalizzati, anche quelli che hanno proposto il payback, ma nessuno fa nulla».