Sanità italiana stretta tra disponibilità finanziarie insufficienti e personale medico (103mila unità) e infermieristico (260mila soggetti) sempre più scarso. Ma se, in qualche modo, essenzialmente facendo debito pubblico o chiedendo più denaro ai privati (anche attraverso lo scellerato meccanismo del payback che costringe i fornitori a ripianare il debito contratto dalle varie aziende sanitarie, anche se ora il governo pare intenzionato a bloccare il pagamento e alcuni emendamenti sono stati presentati a tal proposito nei giorni scorsi), quella della scarsità del personale medico e paramedico è forse l’urgenza più evidente che, per ora, si sta verificando con da una parte la fuga dai pronto soccorso e dall’altra con la sempre minore numerosità dei medici di base.
Sotto il primo profilo, l’indice di gradimento delle scuole di specializzazione in Emergenza-Urgenza (vale a dire Pronto Soccorso) e in quelle discipline che si sono rivelate fondamentali nella pandemia da Sars-Cov-2, è in caduta libera. L’analisi condotta dall’Anaao Assomed rivela, infatti, che nell’ultimo concorso di specializzazione non è stato assegnato il 74% dei contratti di microbiologia, il 63% di patologia clinica, il 54% di medicina di comunità e cure primarie e soprattutto il 50% di medicina d’emergenza ed è probabile che nei prossimi concorsi queste percentuali siano destinate ad aumentare. E queste mancate assegnazioni si tradurranno inevitabilmente nella cronicizzazione della carenza di medici specialisti in medicina d’emergenza e provano il fallimento dell’attuale impianto formativo dei futuri medici specialisti perché non basta aumentare i posti a disposizione se poi i medici non si presentano.
Caccia al medico di famiglia
Sul fronte dei medici di famiglia, nel 2019 in Italia lavoravano 42.428 dottori. A fine 2021 erano scesi a 40.250 unità; in pratica, non si è riusciti a sostituire 2.178 professionisti, il 5% del totale. Una situazione che ha fatto sì che circa 2,7 milioni di italiani siano rimasti senza medico di base e si siano così dovuti spostare su un medico diverso e già in attività; con la conseguenza che il numero massimo di pazienti (1.500 persone per medico) è stato portato a 1.800 per far fronte all’emergenza con carichi di lavoro supplementari per i medici in questione.
II problema è che la prospettiva non è buona in generale perché le cose sono destinate a peggiorare ancora visto che i medici che vanno in pensione sono molti più di quelli che entrano ogni anno. Nel 2021 hanno lasciato in 3.337 medici di famiglia e ne sono entrati 973. Nei primi sei mesi di quest'anno, a dimostrazione che la tendenza proseguirà, sono usciti 2.173 medici di famiglia e ne sono entrati 226.
Stesso discorso se allarghiamo lo sguardo agli specialisti. Negli ultimi 3 anni, spiega il sindacato Anao Assomed, il Servizio sanitario nazionale ha perso quasi 21mila medici specialisti. Dal 2019 al 2021 hanno abbandonato l’ospedale 8mila camici bianchi per dimissioni volontarie e 12.645 per pensionamenti, decessi e altro. Di fatto, ogni giorno 7 medici e dirigenti sanitari rassegnano le dimissioni e se il trend dei licenziamenti volontari fosse confermato anche nel triennio successivo, dal 2022 al 2024 si licenzierebbero altri 9mila medici, arrivando a una perdita complessiva di 40mila specialisti che non sono sostituibili nell’immediato. Peraltro, il 58,7% dei medici ha più di 50 anni e così il 47% degli infermieri, e il rapporto con la popolazione è decisamente inferiore a quello di Paesi come la Germania e la Francia. In prospettiva non potrà che andar peggio, perché, secondo le stime di Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) entro la fine di questo anno andranno in pensione 29.300 medici specialisti, oltre 11.800 medici di medicina generale e 21.050 infermieri. E tutto questo mentre, secondo le proiezioni di The European House-Ambrosetti, per garantire lo stesso livello di servizio sanitario pubblico attuale il numero di operatori dovrebbe aumentare del 50%.
Una categoria di capelli grigi
“I medici sono stanchi, disillusi e arrabbiati – spiega il segretario nazionale Anaao Assomed, Pierino Di Silverio – e quel che ci preoccupa è l’assenza di misure importanti nella manovra del Governo per il personale. Così come nulla si dice dei fondi per il rinnovo del contratto e non vi è ancora stata nessuna convocazione da parte del ministero della Salute nonostante le nostre richieste”. Con il pericolo, aggiunge Di Silverio, che con l’estensione della flat tax si finisca per favorire la fuga dagli ospedali verso le cooperative dei medici che lavorano a chiamata. Queste alcune delle ragioni che hanno indotto i medici a scendere in piazza a Roma oggi (15 dicembre) per contestare il Fondo sanitario di quest'anno che ammonta a circa 124 miliardi, ritenuti decisamente insufficienti.
Del resto, per la sanità spendiamo già oggi meno di Germania e Francia, e nei prossimi anni tenderemo a spendere ancora meno. E invece dovrebbe accadere il contrario, perché il rapido invecchiamento della popolazione e l'aumento delle malattie croniche degli anziani comporteranno, a meno di non decidere di tagliare i livelli di assistenza attuali, una spesa sanitaria sempre maggiore, che nel 2050 dovrebbe raggiungere i 220 miliardi, il 9,5% del Pil, dall'attuale 7,2%.
A calcolare gli scenari futuri della sanità pubblica è The European House-Ambrosetti, nello studio Meridiano Sanità - Le coordinate della salute. Attenendosi allo scenario demografico realizzato dall'Istat, l'età media della popolazione dovrebbe passare dagli attuali 46,2 anni a 52,1, con una quota di over 65 che arriverà a toccare il 36,7%, mentre ora si ferma al 23,8%, e un'aspettativa di vita che sfiorerà i 90 anni. Ciò significa che il bisogno di assistenza crescerà rapidamente e in maniera massiccia: con la conseguenza che gli anziani assorbiranno il 75% della spesa sanitaria contro l'attuale 60%, ma il tutto si spalmerà su un numero di gran lunga inferiore di lavoratori rispetto all'attuale; infatti, la popolazione attiva, tra i 15 e i 64 anni, scenderà dell’8,8%, attestandosi al 54,8%.
La dinamica della spesa
La pandemia ha fatto esplodere la spesa sanitaria, ma quella privata corre ancora più forte della pubblica, anche se i volumi sono, ovviamente, diversi. Infatti, anche nel 2021, nel secondo anno di pandemia, la spesa sanitaria del Servizio sanitario nazionale, seppur con minore slancio, ha proseguito la sua salita fino a quota 126,6 miliardi di euro (erano 110,3 miliardi nel 2012, con un incremento medio annuo dell’1,5% ma nell’ultimo anno la crescita è stata del 2,7%; a questa somma vanno aggiunti i 37,16 miliardi (+20,7% su base annua) per prestazioni sanitarie pagate direttamente dai privati al di fuori del perimetro del Servizio sanitario nazionale. Un dato che dimostra quanto il servizio pubblico sia in forte affanno nel garantire prestazioni sanitarie a tutti.
I dati emergono dal report sul monitoraggio della spesa sanitaria redatto nel corso del 2022 dalla Ragioneria generale dello Stato e reso noto nei giorni scorsi. Secondo la Ragioneria generale dello Stato «esistono margini di efficientamento e di razionalizzazione del sistema». Ma, «come emerge da alcuni indicatori elaborati dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico e dall’Organizzazione mondiale della sanità, la performance del nostro Servizio sanitario nazionale si colloca ai primi posti nel contesto internazionale. Il miglioramento del livello generale delle condizioni di salute e la salvaguardia dello stato di benessere psico-fisico della popolazione costituiscono un risultato importante sotto il profilo del soddisfacimento dei bisogni sanitari. Inoltre, presenta risvolti positivi anche in termini di contenimento della spesa sociale».
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