Dal vertice a Palazzo Chigi, presieduto dalla premier Giorgia Meloni, esce la nomina un commissario ad hoc per la siccità. Non solo: il governo punta semplificare le procedure e crea una cabina di regia tra i vari ministeri d'intesa con le regioni per monitorare il quadro. Una serie di misure che confermano la criticità della situazione, soprattutto al Nord dopo un altro inverno molto mite che ha accentuato la crisi idrica e già si parla di razionamenti. Forse prima dell'estate: c'è chi abozza per Pasqua.
A mettere nero su bianco il rischio è stato Francesco Vincenzi, presidente dell’Anbi, l’associazione che riunisce i consorzi irrigui del Paese: «Dati alla mano, è lecito ritenere che per almeno tre milioni e mezzo di italiani, l’acqua del rubinetto non può essere data per scontata. E’ la dimostrazione del clamoroso errore che fa ritenere la siccità un problema prettamente agricolo. Invece tocca tutti». Soprattutto se non cambia il quadro meteorologico. Servirebbero piogge intense nei mesi primaverili per dare respiro alla terra e alle falde sotterranee, stressate da oltre un anno di siccità. Anche perché, come sottolinea il numero uno di Coldiretti, Ettore Prandini, quando piove non riusciamo a sfruttare l’evento atmosferico come si dovrebbe: «Raccogliamo appena l’11 per cento delle acque piovane».
Eppure l’Italia è tutto fuorché un Paese povero d’acqua. Lo sottolinea Endro Martini, geologo, membro dell’Osservatorio sulle risorse idriche dell’Appenino centrale: «Oltre a otto mila chilometri di coste bagnate dal mare, abbiamo più di 1200 fiumi e oltre 500 laghi. E si stimano in 23 milioni i metri cubi immagazzinati nel sottosuolo, acque invisibili. Servono progetti e cantieri per mitigare gli estremi atmosferici: raccogliere acqua quando ne abbiamo troppa, restituirla quando ne abbiamo troppo poca».
«Precedenza al piano laghetti»
Un appello che ricalca quello di Massimo Gargano, direttore generale dell’Anbi: «Settimana dopo settimana si aggrava la situazione idrica di un Paese penalizzato dalla mancanza di infrastrutture capaci di contrastare la crisi climatica. Accade così che al Sud si sia costretti a rilasciare in mare quantitativi d’acqua che esuberano la capacità di raccolta degli invasi e che al Nord si capitalizzi solo una piccola parte dello scioglimento delle neve iniziato in anticipo. Ecco perché è necessario dare via ad interventi a cominciare dal "Piano laghetti" che abbiamo proposto insieme con Coldiretti».
Il dossier dell'Uncem a Meloni
E sul tavolo della premier e dei ministri mercoledi è arrivato il dossier siccità dell’Uncem, l’unione degli enti montani. Perché questa crisi comincia proprio dalle terre alte. Dice Marco Bussone, presidente nazionale Uncem: «Un documento che ruota attorno a cinque verbi: efficientare, pianificare, incentivare, concertare, realizzare. Ecco, soprattutto, bisogna accorciare i tempi: il piano nazionale che prevedeva 800 invasi appare assopito. Con un punto fermo: la pianura dovrà pagare cifre adeguate alla montagna. Cosa che adesso non accade». Questo il quadro che si sono trovati di fronte a Palazzo Chigi la premier e i sei ministri coinvolti nell'emergenza. Con almeno tre nodi da sciogliere. Proviamo a riassumerli.
L'agricoltura pagherà il prezzo più alto
Per effetto della grave siccità che ha colpito soprattutto il Centro Nord, è a rischio un terzo del Made in Italy a tavola che si produce nella food valley della Pianura Padana, dove si concentra anche la metà dell'allevamento nazionale. Parola di Coldiretti. Che aggiunge: «E’ a rischio la produzione degli alimenti base della dieta mediterranea, dal grano duro per la pasta alla salsa di pomodoro, dalla frutta alla verdura fino al mais per alimentare gli animali per la produzione dei grandi formaggi e salumi. Senza parlare del riso, le cui previsioni di semina prevedono un taglio di ottomila ettari e risultano al minimo da 30 anni».
Nel Veneto il presidente della Regione Luca Zaia parla di sette miliardi di produzioni agricole a rischio e invoca un piano Marshall. E c’è allarme anche dalle Langhe, patria di grandi vini da export come Barolo e Barbaresco: il caldo ha sempre garantito ottime vendemmie, ma la siccità prolungata mette in allarme i produttori. E c’è chi ipotizza che«se continua cosi il prossimo autunno avremo ben poco da vendemmiare». Degli effetti della siccità in agricoltura se ne sta occupando anche Ludovica Gullino, docente di patologia all’università di Torino, direttrice di Agroinnova e ideatrice di “ColtivaTo” il festival dell’agricoltura in programma in centro città a cavallo tra marzo e aprile: «Alcuni ortaggi spariranno, altri verranno coltivati più in alto, nella mezza montagna, dove è meno arido. Noi è dal duemila che studiamo gli scenari del futuro legati al cambiamento climatico. Peccato che ci si muova sempre nell’emergenza. Stavolta però si può contare sui fondi del Pnrr per passare in fretta dalla ricerca all’applicazione pratica. Per esempio nell’irrigazione: quella ad aspersione è obsoleta, bisogna cambiare sistema e irrigare meno».
L'idroelettrico gira a velocità ridotta
Il timore di un bis di quel che è accaduto un anno fa è più che mai concreto. Anzi, c’è il rischio che il quadro possa ancora peggiorare. Nel 2022 la produzione idroelettrica in Italia è scesa del 37,7 per cento per effetto della siccità. Certificato da Terna, gestore della rete. La produzione si è quasi dimezzata per le piogge ridotte del 46% rispetto alla media degli ultimi 30 anni e per le scarse nevicate. E il 2023 è cominciato anche peggio. Manca il 70% dell’acqua accumulata nella neve, un deficit maggiore rispetto a dodici mesi fa. Gli invasi sono semivuoti, aprendo le porte a un doppio problema: una nuova riduzione nella produzione di energia pulita e meno acqua da dirottare alla pianura in emergenza idrica. E il quadro è più preoccupante al Nord – compresa una regione delle acque come la Valle d’Aosta – che al Sud dove per esempio gli invasi della Basilicata hanno riserve superiori ai 30 milioni di mc rispetto al 2022 secondo l’Anbi. Al governo le società che gestiscono gli invasi insistono perché si potenzino gli impianti esistenti -l’80% dei quali ha più di 70 anni - e se ne realizzino di nuovi per migliorare le condizioni di stoccaggio.
Autobotti in giro in pieno inverno
Occorre rendere subito più efficienti le reti idriche che hanno perdite che vanno dal 20 al 60%. «Inammissibile», bolla l’Uncem, chiedendo che si investano cinque miliardi nei prossimi cinque anni. Attingendo innanzitutto ai fondi Pnrr, ma non solo. Il quadro però appare complicato: finora dei due miliardi stanziati con il Piano di resilienza e ripresa per finanziare 25 progetti ne sono stati bloccati solo 300 milioni. Ma difficile che entro settembre si aggiudichino tutti gli appalti. Così il rischio di vedere sempre più spesso in giro le autobotti per rifornire le vasche degli acquedotti si fa concreto.
Anzi, lo è già. Proprio dove non te lo aspetti. Nel Cuneese, circondato dalle Alpi ma dove manca all’appello un intero anno di piogge negli ultimi tre tanto è stata intensa la siccità, sono già una dozzina i paesi dove l’Acda, la società che gestisce l’acquedotto di oltre cento comuni, dalla Val Tanaro a quella del Po, tampona con rabbocchi impianti in affanno. Anche qui si invoca un piano Marshall perché Andrea Ponta, direttore della società, dice che «noi abbiamo varato un piano per ridurre le perdite delle condotte. Come già è avvenuto un anno fa quando intervenendo con l’impiego dei geofoni – sensori che segnalano le perdite – si sono recuperati quasi tre milioni di metri cubi d’acqua ma poi per interventi più complessi sugli acquedotti servono fondi che un’azienda da sola non ha».
La mappa della sete
Mette i brividi a scorrere il bollettino dell’Anbi sullo stato di salute (?) di fiumi e laghi italiani. Vero che il governo non può far piovere per decreto ma capire quanto è grave il quadro può aiutare a muoversi con tempestività dopo che i nove mesi passati dall’emergenza dell’estate scorsa sono sfilati senza che sia invertita la rotta in modo significativo. Il lago di Garda già oggi è sotto di un metro e mezzo rispetto alla norma, l’anno scorso era sceso a questo livello a luglio. Al lago Maggiore mancano quasi i due quinti dell’acqua, quello di Como sta anche peggio. I fiumi spesso sono ridotti a rigagnoli.
Prendiamo il Po, il re dei corsi d’acqua: a Piacenza è sotto di un 25%, ma è monte che va anche peggio. A Torino la portata è di 15,7 mc/s, quella normale è 60 mc/s. Fate voi. Ma in Piemonte – una delle regioni più colpite dalla siccità – se la passano male tutti i corsi d’acqua, qualcuno peggio degli altri: Sesia, Stura di Demonte, Toce. In Lombardia – dove il manto nevoso è dimezzato rispetto a un anno fa – l’Adda è ai minimi storici. Preoccupano anche Serio e Oglio. In Toscana il Serchio è quasi un rigagnolo. Nel Lazio costante la decrescita del Tevere e la portata dell’Aniene è più che dimezzata.
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