«Il salario minimo come antidoto contro il lavoro povero? Anche. Ma non è l'unico strumento per affrontare la questione salariale». Simone Gamberini, da cinque mesi al timone di Legacoop, il colosso delle cooperative con oltre diecimila imprese, 82 miliardi di fatturato e 7 milioni di soci, interviene su uno dei temi chiave del dibattito politico di questa estate.

Presidente come pensa vada affrontata la questione salariale?

«È la vera sfida che dovremo affrontare nel breve medio termine per garantire una retribuzione equa e dignitosa, proporzionata alla quantità di lavoro svolta. Guardiamo con interesse al progetto di legge presentato dalle opposizioni, soprattutto per il riferimento al ruolo centrale della contrattazione collettiva come strumento per determinare i trattamenti economici minimi e quelli complessivi».

Siete disponibili al confronto?

«Certo. Però per affrontare in modo efficace la questione credo si debbano risolvere alcuni problemi. Il primo: la rappresentanza delle parti sociali, che potrebbe trovare soluzione con un'adeguata serie di norme, che rispetti le specifiche identità dell'impresa cooperativa. Poi la contrattazione di secondo livello attraverso percorsi di qualificazione e incentivazione. Terzo nodo: i contratti pubblici, con l'adeguamento degli appalti riconoscendo gli importi contrattati in sede di rinnovo degli accordi collettivi. Infine, dar forza alla contrattazione collettiva puntando anche su strumenti di detassazione degli aumenti contrattuali».

La normativa del settore cooperativo come esempio di fissazione dei minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva può essere un buon punto di partenza?

«È una prova evidente di come estendendo questa previsione a tutti i lavoratori, si può arrivare attraverso la contrattazione a stabilire dei minimi che abbiano valore di legge: regolamentare la rappresentanza, il disboscamento della giungla contrattuale e il riferimento ad accordi leader sono la strada da seguire».

Voi lo avete fatto?

«Dal 2020 a oggi la cooperazione ha rinnovato oltre il 75 per cento dei contratti collettivi siglati da Cgil, Cisl e Uil».

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Quando dice che il salario minimo non è l'unico strumento per affrontare la questione salariale cosa intende?

«Che bisogna dire basta agli appalti al massimo ribasso. La riduzione dei costi non può essere l'unico metro da applicare a un servizio. E invece spesso è ancora così anche se magari ufficialmente si rispettano tutti i crismi. Alla fine però giocando sui coefficienti continua a vincere la logica del ribasso».

E da dove si dovrebbe partire?

«Dal pubblico. Lo Stato e le altre amministrazioni pubbliche potrebbero contribuire a costruire buone pratiche che davvero consentano una retribuzione equa e dignitosa. Cosa che spesso oggi non accade. Ma bisogna intervenire anche sui modelli organizzativi. Le faccio un esempio. La pulizia delle scuole. Un Comune organizza il servizio in due turni di due ore: dalle 5 alle 7 del mattino e dalle 19 alle 21 di sera. Ci pensiamo a quali salti mortali è costretto l'addetto per mettere insieme quattro ore di lavoro?».

Che cosa bisogna dunque fare?

«Ripensare la partnership tra pubblico e privato per creare quella fiducia che si è persa e che invece è alla base di un modello che voglia essere virtuoso. Credo sia giunto il momento di dare un segnale».

Critiche alle due banche centrali di Stati Uniti e Europa per il continuo rialzo del costo del denaro per frenare l'inflazione

Presidente, quanto pensa peserà sulle imprese cooperative il continuo rialzo del costo del denaro? L'ultimo, il decimo da luglio di un anno fa, appena varato.

«Senza dubbio entrambe le banche centrali, intendo la Bce per l'area euro e la Fed per gli Stati Uniti, sono intervenute in ritardo per frenare l'inflazione. Che peraltro ha origine differente: legata alla domanda negli States, all'offerta in Europa. Gli effetti dei continui rialzi dei tassi li vedremo tra poco. Mediamente passa un anno prima che si definiscano nella loro interezza. In realtà, gli italiani hanno già cominciato a farci i conti. Secondo un sondaggio Ipsos sette famiglie su dieci hanno già rinunciato a qualcosa che va oltre il bene durevole. Insomma, non si taglia solo l'acquisto di una nuova auto o del divano, ma si cancellano altre voci della vita quotidiana. Un altro termometro è il calo che c'è stato nei depositi bancari. Le famiglie stanno erodendo i risparmi per fronteggiare l'inflazione».

E le imprese?

«Le imprese si trovano ad affrontare gli stessi problemi, ingigantiti anche dall'impennata dei costi dell'energia che continuano a essere ancora alti anche adesso seppur in sensibile discesa rispetto a un anno fa. Di fronte a una simile situazione le aziende cooperative per non rinunciare agli investimenti senza dover ricorrere al debito bancario hanno drenato la liquidità. Temo che tra la fine dell'anno e l'inizio del 2024 dovremo farci i conti».

Che cosa serve?

«Che il sistema bancario faccia la sua parte, batta un colpo. Deve essere di supporto in questo momento delicato perché l'aumento dei tassi non cura l'inflazione: anzi, ne protrae gli effetti su famiglie e imprese».